Follie in bicicletta, il Festival di Colorno

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ph Elisa Contini

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Sono stato a Colorno, in provincia di Parma e, passeggiando per il centro del paese ho visto: due che andavano in bici in mutande, un cammello gigantesco, un pianoforte-tappeto volante, una processione cantante guidata da tre ragazze in rosa, giocolieri, maghi, scalcagnati farabutti, erculei individui, carretti ambulanti, tendoni a strisce.

Non sono diventato matto, lo sono tutti gli altri. Tutti matti per Colorno è il nome del Festival Internazionale di Circo Contemporaneo, Teatro e Musica che invade le strade del paese in questi giorni.

Qui, come dicevo, ho visto di tutto, almeno nel campo “artisti, attori, circo e compagnia bella”.

Forse perché il circo è da sempre il luogo più inclusivo, se vogliamo usare questa parola che va di moda, e sotto il suo tendone trovano casa tante diverse declinazioni dell’essere umano (e dell’essere animale, oggetto, elemento).

Nessuno è fuori luogo, ognuno è ben accetto per quello che è. Questo è il leitmotiv di molti degli spettacoli che ho visto. Spesso è una tiritera che diventa fastidiosa a furia di sentirla e risentirla, ma in alcuni casi l’ho vista trattare con delicatezza, semplicità, minimalismo.

Come nello spettacolo di Alta Gama dove in scena ci sono solamente un uomo, una donna e una bicicletta. Tutti è tre appaiano orgogliosi di quello che sono. L’uomo mostra la sua pancia da “ciccione”, la donna si lascia andare a gorgheggi a briglia sciolta e la bicicletta non dice niente ma si lascia guardare e guidare.

Il loro modo di fare è dolce, curato. A cominciare dal principio.
Non so quanti spettatori fossimo in totale, ma, prima di fare qualunque altra cosa, i due attori, uno alla volta, ci hanno salutati tutti, uno per uno, guardandoci dritti negli occhi, con un “benvenuto” o “benvenuta”.

Già così mi sono sentito accolto.

Poi sono saliti sul palco, in un primo spazio, largo, quadrato, delimitato da una striscia bianca di scotch, e hanno iniziato a fare un giro in bici. Lui pedalava, lei si faceva trascinare, prendere e lasciare. Hanno provato a fare anche il contrario, eh, ma lui era troppo pesante da portare in giro.

A questo punto pensavo di aver capito benissimo che tipo di spettacolo fosse. Semplici acrobazie con qualche gag.

Invece dopo pochi minuti è cambiato tutto.

È cambiato lo spazio, perché hanno tolto la prima striscia bianca e si sono messi a lavorare all’interno di uno spazio più piccolo, delimitato da una seconda striscia di scotch, circolare.

È cambiato il rapporto col pubblico, perché hanno preso diverse persone e le hanno messe a sedere sul palco, proprio attorno al cerchio bianco.

È cambiato il suono, perché, con l’uso di una loop station e un microfono, alcuni suoni (lo sfregamento della stoffa, il frullo di un pedale della bici…) hanno formato una colonna sonora musicale.

È cambiato il vestito di uno dei due, l’uomo, che si è spogliato rimanendo in mutande.

È cambiato il discorso. Dal quasi totale mutismo di prima (eccetto per i “benvenuto”) è stato lanciato un messaggio: “minima dose di verità, la bellezza è una bugia, tutto qua”.

E hanno iniziato una coreografia che sembrava semplicissima, ma che non lo era affatto, dove lui pedalava in cerchio, nello spazio ristretto circondato dalle persone sedute, mentre lei si arrampicava sopra la bici e sopra di lui.

Ma sulla bici non c’erano appigli o appoggi. Né tantomeno sull’uomo seminudo. O almeno, nulla di visibile, esplicito, palese. Eppure questa ragazza si muoveva senza fermarsi mai, assumendo posizioni sempre nuove, percorrendo spazi vastissimi in uno spazio ristrettissimo.
Uno spazio che spaziava, perché a sua volta si muoveva percorrendo grandi distanze lungo una circonferenza di pochissimi metri.

Arrampicarsi sul niente è una cosa che, quando la vedi, ti sembra una magia e ti apre la mente su tantissime cose. Pensieri di spazi invisibili, di occasioni di appiglio e di contatto che sembrano impossibili ma ci sono. Forse si può fare solo se si ha totale fiducia in ciò su cui ci si arrampica.

A guardarli, mi è venuta voglia di imparare.

E poi anche lei si spoglia, parla di sé, si racconta.

E il suono cambia ancora. Dal sound hip hop della loop station si passa ai gorgheggi liberi, mentre lo scotch viene strappato via a ritmo di musica e lo spazio si restringe ancora. Un secondo cerchio, nel primo.

Il pubblico sul palco viene fatto avvicinare ancora e inizia una terza fase, sempre andando in giro, in bici, lungo questa circonferenza piccolissima, con le teste degli spettatori a un centimetro dalla ruota, mentre l’uomo brandisce alternativamente ora la ragazza, ora la bicicletta, e le fa girare, vorticare, volare.

Infine, anche il secondo cerchio di scotch viene tirato via. Non c’è più nessuna linea bianca sul palco nero. Solo un cerchio strettissimo composto dalle persone sedute, fatte avvicinare ancora. La bicicletta non ha più spazio per girare. Girano le ruote, stando ferme sul posto. E i due attori si arrampicano, mentre gli spettatori tengono fermo il telaio con le loro mani. Si crea una composizione di persone e bicicletta. E da questa composizione, con eleganza, i due attori svicolano, lasciando al centro del palco nero la loro opera d’arte fatta di braccia, ruote, raggi, mani e facce che si girano interrogative per capire cosa devono fare.

Un bel modo per finire uno spettacolo con una call to action. Sostenere una bicicletta.

Ma anche un proseguimento del minimalismo che ha portato a ridurre lo spazio, il movimento e, infine, a eliminare anche gli attori, passando da un’opera performativa a quella che sembra una scultura.

Il titolo dello spettacolo è proprio un invito al minimalismo: Mentir lo minimo, cioè mentire il minimo. Togliere tutto per arrivare alla verità.

Lo spettacolo viene dalla Spagna e dall’Argentina ed è solo uno degli esempi di come il Festival di Colorno richiami artisti di tutto il mondo e apra lo sguardo.

 

ph Elisa Contini

 

Tra i partecipanti infatti ci sono anche il rinomato Cirque Bidon, che dal 1970 si sposta ancora per tutta l’Europa solo grazie alla forza motrice dei cavalli che trainano le carrozze (cosa c’è di più ecologico?), la compagnia olandese De Stijle Want, che da quarant’anni confeziona spettacoli da un minuto, i clown Los Galindos dalla Catalogna con uno spettacolo comico che inizia con un omicidio, il cammello gigante meccanico Chamôh, della compagnia Paris Bénarès, un miracolo della tecnica che ricorda i più celebri giganti di Nantes.

Ma questi sono solo alcuni dei tanti.

Il consiglio è quello di andare a vedere con i propri occhi, per aprire lo sguardo.

Il Festival sarà attivo ancora il prossimo fine settimana, a Colorno, fino al 10 settembre.

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