Io capitano di Matteo Garrone, un docufilm lirico

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È stata prevalentemente percepita, essendola anche in fondo, questa ultima prova di Matteo Garrone presentata a Venezia e uscita nelle sale lo scorso 7 settembre, come un film sulla tragedia, mai così attuale, delle migrazioni e dei migranti, abbandonati in quanto irregolari o meglio irregolari in quanto abbandonati, ma secondo me è qualcosa di più, oltre che di diverso.

Infatti la sua narrazione, che nulla nasconde peraltro degli aspetti concreti e più terribili che caratterizzano quei cosiddetti viaggi della speranza, non so se più per i viaggi o più per la speranza, intercetta qualcosa che noi, irretiti ormai a pensare le cose e gli eventi soprattutto in termini economici (securitari o capitalistici poco importa) sembra abbiamo dimenticato, cioè l’umanità custodita e così donata da quella Umanità che emigra, spesso drammaticamente morendo nei nostri mari e fin sulle nostre coste.

 

 

Questa umanità, che in tutti noi dovrebbe almeno sopravvivere, non si esprime, nella parabola che il film racconta, in termini politici (pur essendo profondamente politica), sociali, ideologici o ideali, si esprime attraverso il sogno, il sogno ad occhi aperti di un esserci che deve dinamicamente cercare per evolversi e tentare di diventare migliore.

Così non è tanto o soltanto la ricerca del benessere, o tanto meno la ricchezza falsificata del denaro, a muovere il nostro giovane protagonista e il suo coetaneo, dalle terre assolate e assetate del loro Senegal sino al profondo del nostro mare.

È piuttosto, appunto, il sogno di conquistare una identità nuova che si forgia nelle difficoltà, assai più consapevolmente affrontate di quanto inizialmente sembra, il sogno di essere finalmente qualcosa di più, la guida di sé stesso che il racconto cinematografico esteticamente metaforizza in quel grido gridato con passione, forza e convinzione, nella scena finale, quando il protagonista alza la testa e la voce verso l’elicottero della guardia costiera italiana.

Quel grido rivendicato è lo stesso che da titolo all’opera: “Io capitàno, Io capitàno, Io capitàno” e su cui si chiude la vicenda, e che ne sia il senso ultimo forse lo dimostra lo stesso fatto che Garrone interrompe qui il suo film, senza mostrarci quello che sarà, se potrà essere, l’esito successivo e conseguente.

Qualcuno ha scritto che sono un grido ed una conclusione inverosimili, poiché nella realtà purtroppo storica e legale del nostro Bel Paese, nessuno rivendicherebbe quel ruolo che immediatamente lo farebbe individuare ed arrestare come “scafista”.

 

 

Questo è vero, ma appunto per questo quella espressione rivendica il senso profondo del film che è appunto di raccontare, come in una fiaba o in una parabola evangelica, i sentimenti che percorrono anche quelle vicende, la loro umanità come dicevo, che forse dimentichiamo perché non potremmo avere il coraggio di respingere.

Il film nelle sue stesse cadenze narrative non tralascia di ricordarci questo filo interiore che lo e ci percorre, dal delicato e intenso rapporto con la madre, agli intermezzi onirici e metafisici che suggeriscono come gli spazi della vita non possono limitarci al piccolo orizzonte che ci circonda, ma vanno oltre quasi in religiosa processione.

Ma c’è un ultima suggestione che richiama l’attenzione, una suggestione forse in principio solo di assonanze e corrispondenze sonore ma che poi mostra anch’essa altro. È la memoria di una famosa poesia di Walt Whitman di cui propongo i primi versi:

O Capitano! mio Capitano! il nostro viaggio tremendo è terminato;
la nave ha superato ogni ostacolo, l’ambìto premio è conquistato;
vicino è il porto, odo le campane, tutto il popolo esulta,
mentre gli occhi seguono l’invitto scafo, la nave arcigna e intrepida;

I versi, come noto, sono stati scritti per e dopo la morte di Abraham Lincoln alla fine della guerra civile americana a seguito dell’Emendamento per la liberazione degli schiavi neri.

Niente che riguardi il nostro tempo, si dirà, ma in realtà il segno che ciò che accomuna le nostre vicende di uomini e donne nel mondo va spesso oltre ogni apparenza, storicamente e ideologicamente irrigidita.

 

 

Io capitano vive di orizzonti aperti (bellissima la fotografia) ma anche di oscure prigioni, che i due giovani protagonisti giocano bravamente, insieme all’intero cast, un film in fondo di storie piccole che divengono paradigmatiche.

Un film, per chiudere, che non nasconde nulla della realtà contemporanea, ma che insieme aggiunge qualcosa perché meglio possiamo comprenderla ed esserne consapevoli, anche perché ciò che aggiunge ci consente di guardare con più profondità dentro quella stessa tragedia, sopportandola senza la tentazione di fuggirla.

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IO CAPITANO. Anno:2023. Regia: Matteo Garrone Attori:Seydou Sarr, Moustapha Fall, Issaka Sawagodo, Hichem Yacoubi, Doodu Sagna, Khady Sy, Venus Gueye, Oumar Diaw, Joe Lassana, Mamadou Sani, Bamar Kane, Beatrice Gonko. Paese:Italia, Belgio Durata:121 min Distribuzione:01 Distribution Sceneggiatura:Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini, Andrea Tagliaferri Fotografia:Paolo Carnera Montaggio:Marco Spoletini, Andrea Farri Produzione:Archimede con Rai Cinema, in coproduzione con Tarantula, con la partecipazione di Pathé

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Ho conseguito la Laurea in Estetica al DAMS dell'Università di Bologna, con una tesi sul teatro di Edoardo Sanguineti, dando così concretezza e compimento alla mia passione per il teatro. A partire da quel traguardo ho cominciato ad esercitare la critica teatrale e da molti anni sono redattrice e vice-direttrice di Dramma.it, che insieme ad altri pubblica le mie recensioni. Come studiosa di storia del teatro ho insegnato per vari anni accademici all'Università di Torino, quale professore a contratto. Ho scritto volumi su drammaturghi del 900 e contemporanei, nonché numerosi saggi per riviste universitarie inerenti la storia della drammaturgia e ho partecipato e partecipo a conferenze e convegni. Insieme a Fausto Paravidino sono consulente per la cultura teatrale del Comune di Rocca Grimalda e sono stata chiamata a far parte della giuria del Premio Ipazia alla Nuova Drammaturgia nell'ambito del Festival Internazionale dell'eccellenza al femminile.

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