Periferico Festival, tra femminismi e femminicidi

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Caterina Moroni, Mettiti al riparo. Ti amo - ph Davide Piferi de Simoni

 

Succede, a volte, che gli spigoli del reale sopravanzino il reale che spesso dell’arte, così come dei processi curatoriali che ne fanno oggetto, è il motore.

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FACCENDE PERSONALI

Un mese fa, il 21 e 22 ottobre 2023, sono stato a Modena, alla quindicesima sfolgorante edizione del Festival di pratiche performative site-specific Periferico, avventura del Collettivo Amigdala che da anni seguo e stimo con slancio.

È stata peraltro la mia prima uscita fuori città, dopo mesi di acciacchi: il che ha reso per me ancor più speciale l’esserci. Più festosa la festa dell’incontro.

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FACCENDE PERSONALI, MA NON SOLO PERSONALI

Succede che il lavoro culturale del creare discorsi a partire dai discorsi dell’arte (leggi: l’attività critica) oggi in Italia per il 99% di chi lo fa non sia un lavoro pagato.

Dunque non sia propriamente un lavoro.

Dunque lo si fa meglio che si può ma anche quando si può: dopo il lavoro che serve a pagar le bollette.

E su questo si potrebbe (dovrebbe) aprire un discorso.

Ma andiamo avanti.

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FACCENDE COMUNI

Succede che passano i giorni, e le settimane.

E quando finalmente è possibile mettersi allo scrivere le cronache hanno al centro l’omicidio della giovanissima Giulia Cecchetin da parte (presumibilmente) dell’altrettanto giovanissimo ex fidanzato Filippo Turetta.

Succede che i social trabocchino di maledizioni: si invocano pena di morte, castrazione, morte per annegamento con pietra al collo.

E via di giudizi sommari e definitivi sullo sguardo e la faccia di lui (guarda chi si rivede, anche nella bolla pseudo-colta e progressista di cui faccio parte: Cesare Lombroso).

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ALTRE FACCENDE COMUNI

In questo 2023 sono molte decine, purtroppo, le donne che sono state uccise in Italia.

Detto con parola oggi d’uso comune: son ben oltre il centinaio, solo nel 2023, i femminicidi.

Uno ogni 3 o 4 giorni.

Un’infernale follia.

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà, ci ricordava l’amato Calvino.

Certo ci si potrebbe domandare perché vi è tutta questa attenzione mediatica proprio ora e non tre vittime fa.

Una persona uccisa a vent’anni è più notiziabile (termine tanto feroce quanto diffuso nel gergo giornalistico) di una uccisa a cinquanta, così come un atto violento che accade nel nostro quartiere ci interessa molto di più di un atto analogo avvenuto a 10.000 chilometri da noi: non ci sono attitudine progressista, concezione inclusiva o livello d’istruzione che tengano.

E poi: sul potere che il quarto potere ha sul nostro dire, pensare e inveire si potrebbe (dovrebbe) aprire un discorso.

Ma andiamo avanti.

L’andare avanti per me in questa occasione è, alla luce di tutto questo, interrogare ancor più radicalmente il pensiero in azione che Collettivo Amigdala continua da anni, con visionaria pervicacia, a porre in essere e a condividere.

Interrogare il loro modo linguistico, dunque politico, di costituire un’alternativa al modello dominante (ah, quanto omologante perbenismo, anche nei mondi della cosiddetta sperimentazione performativa!).

Interrogarmi ancora e ancor di più sull’opera dell’arte, sulla sua funzione.

Il rischio, a un primo sguardo forse superficiale, è quello di discutere del sesso degli angeli mentre fuori il mondo esplode.

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CHE FARE, DUNQUE?

Tra l’annichilimento e l’entusiasmo, torno col pensiero a un mese fa, nella periferia operaia di Modena dove tante volte son stato in passato a onorare il sommesso e al contempo roboante lavorio di Amigdala a rendere i tanti protagonisti attivi di processi culturali.

Processi culturali: definizione ondivaga in questo caso usata per significare allenamenti di civiltà che certo farebbero bene tanto a chi questi delitti tremendi li compie quanto a chi sbrigativamente e ferocemente li condanna (e, altrettanto sbrigativamente, si autoassolve).

Siamo esseri complessi che danno luogo a un sistema complesso di relazioni col circostante: ogni brutale semplificazione abbruttisce tanto chi la mette in atto quanto chi ne è oggetto.

Al contrario, azzardo a sintetizzare, da quindici edizioni Periferico si e ci getta con delicata ferocia, con mite radicalità in un femminile creaturale e interrogante, colto e selvatico, processuale e altero.

O meglio: altro.

Ecco, se dovessi sintetizzare con una parola l’esperienza vissuta nelle ventiquattr’ore modenesi direi: alterità.

Radicale, non pacificata, non consolatoria alterità.

Dei e nei molti femminismi che muovono il loro fare, o meglio il loro farsi luogo di ciò che enunciano, si potrebbe dire parafrasando Michel De Certeau.

E attraverso l’imbattermi in accadimenti che mi han ricordato, con la forza interrogante dell’arte, quanto sia stratificato, complesso e irriducibilmente altro, ciò che è altro da me.

[ per inciso, e a proposito di femminismi, invito con calore alla lettura di due illuminanti articoli di Elena Sorbi, una corsa a perdifiato su questo tema smisurato apparsa in due puntate sulla sua rubrica Fuori posto sulla nostra rivista: #1 e #2 ]

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È SUCCESSO

È successo nell’abitare il paesaggio metafisico-cimiteriale à la De Chirico che al tramonto non può non continuare a mutare colori e temperature, sorta di allenamento zen a consegnarsi pienamente e senza freni a un qui e ora eloquentissimo ancorché muto.

Ad affacciarsi a vite che non sono la mia, evocate dai mille nomi e dalle mille facce nelle lapidi, lasciando in bocca un sapore amarognolo di insoddisfazione, di non abbastanza: per il non sapere, il non completare, il non chiudere alcun cerchio.

Che è poi ciò che l’arte dovrebbe sempre fare, forse: inappagarci.

È successo nelle scintille immaginate da Francesca Grilli e curate e trasdotte in parola da Azzurra D’Agostino: tra le automobili di una polverosa officina affidare la nominazione fragilissima e spavalda del proprio avvenire a uno spiritello adolescente, in uno straniante ribaltamento di significanti e significati.

È successo negli Esercizi di allerta curati e voluti da Isabella Bordoni, da Amigdala e da Maria Nadotti, che conoscevo indirettamente per aver lei tradotto e curato due saggi sullo sguardo di John Berger che ho letto e riletto.

Attorno a un tavolo.

E, prima, a raccogliere tracce di parole, come briciole sparse per intuire un possibile sentiero. Tra le molte, quelle di Meike Clarelli e Daina Pignatti, tra le anime pulsanti di Amigdala: «Questa nudità dubbiosa è il mio gesto certo contro il patriarcato, la mia parola nasce nel fondo dei talloni, nel camminare la notte, nell’avere sempre meno paura».

È successo nel rituale lirico e umanissimo, dolce e dolente curato da Caterina Moroni e messo in vita da un manipolo di donne con molta vita vissuta.

Un tavolo, ancora (come sarebbe bello, scrivere una storia dell’arte -performativa e non- che ha avuto un tavolo come occasione e trampolino).

Lì attorno donne e spettatrici e tazze da tè, a fare cose stupide e care.

Mentre suona la musica struggente e saltellante dei Bevano Est penso all’Eliot del Canto d’amore di J. Alfred Prufrock: «Poiché li ho conosciuti tutti, conosciuti tutti: / conosciuto i pomeriggi, i crepuscoli, i mattini / ho misurato la mia vita a cucchiaini / e ho conosciuto tutti gli occhi, conosciuti tutti / e ho conosciuto tutte le braccia, conosciute tutte / braccia ingioiellate e bianche e nude / È il profumo che viene da un vestito / che mi fa divagare a questo modo?». E ancora: «E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto / dopo le tazze, la marmellata e il tè / e fra le porcellane, fra i discorsi di me e te / ne sarebbe valsa la pena / di troncare netto la cosa con un sorriso… / E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto / ne sarebbe valsa la pena / dopo i tramonti e i cortili e le strade spruzzate / dopo i romanzi, dopo le tazze da tè…».

E lì, sullo stesso tavolo, un rituale tremendo e lieto di morte infiorata, e poi a un altro tavolo con Paola, sorta di Tiresia ipovedente e valorosa che per sette preziosissimi minuti con me indovina il futuro e abita il presente.

Stare insieme a un altro essere umano con commozione, che nell’origine della parola è muoversi insieme.

Poi, a un certo punto, finisce.

È successo con Kin, atto di parola e di presenza che ho visto crescere, e che qui ho trovato maturo e (perché) esposto in nudità piena, zeppo di sfumature e segni e suoni e mondi, nell’atto minuscolo e smisurato di prender parola.

Dalla materia vocale affiorano domande, la phoné erotizza l’esperienza trasparente di un cerchio di esseri umani che stanno.

Esperienza concreta e volatile, estroflessa e magmatica, collocata e interrogante, questo Kin: come l’arte dovrebbe sempre essere.

E poi, a un certo punto, finisce.

Come la vita.

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NOMI

Desidero ora nominare le donne che in questo anno in Italia sono state uccise da uomini.

Non sapendo nulla di loro, delle loro storie.

Certo non esaurendo, né tanto meno risolvendo, alcunché.

Neanche, ahinoi, questo elenco, certo destinato ad allungarsi.

Semplicemente tenendole a fianco per qualche istante: come interrogazioni senza consolazione, come invocazioni senza bersaglio, come alterità che non si riducono.

Nomi che continuano a scoppiare, direbbe Andrea Zanzotto: come quel mistero che l’arte, quando è tale, infittisce e al contempo in parte rivela.

Teresa Spanò 2 gennaio

Giulia Donato 4 gennaio

Martina Scialdone 13 gennaio

Oriana Brunelli 14 gennaio

Teresa Di Tondo 15 gennaio

Alina Cristina Cozac 22 gennaio

Giuseppina Faiella 28 gennaio

Yana Malayko 1 febbraio

Margherita Margani 4 febbraio

Antonia Vacchelli 6 febbraio

Melina Marino 11 febbraio

Santa Castorina 11 febbraio

Cesina Bambina Damiani 12 febbraio

Rosina Rossi 16 febbraio

Chiara Carta 18 febbraio

Sigrid Grober 19 febbraio

Maria Luisa Sassoli 23 febbraio

Giuseppina Traini 25 febbraio

Caterina Martucci 1 marzo

Rosalba Dell’Albani 4 marzo

Iolanda Pierazzo 6 marzo

Iulia Astafieya 7 marzo

Rossella Maggi 8 marzo

Petronilla De Santis 9 marzo

Rubina Kousar 9 marzo

Maria Febronia Buttò 10 marzo

Pinuccia Contin 16 marzo

Francesca Giornelli 28 marzo

Agnese Oliva 29 marzo

Zenepe Uruci 30 marzo

Carla Pasqua 31 marzo

Alessandra Vicentini 31 marzo

Sara Ruschi 13 aprile

Brunetta Ridolf 13 aprile

Rosa Gigante 18 aprile

Anila Ruci 19 aprile

Stefania Rota 21 aprile

Barbara Capovani 23 aprile

Wilma Vezzaro 25 aprile

Antonella Lopardo 2 maggio

Rosanna Trento 3 maggio

Danjela Neza 6 maggio

Jessica Malaj 7 maggio

Anica Panfile 21 maggio

Yirel Natividad Peña Santana 27 maggio

Ottavina Maestripieri 1 giugno

Giulia Tramontano 1 giugno

Pierpaolo Romano 1 giugno

Giuseppina De Francesco 8 giugno

Maria Brigida Pesacane 8 giugno

Floriana Floris 9 giugno

Cettina De Bormida 10 giugno

Rosa Moscatiello 12 giugno

Svetlana Ghenciu 19 giugno

Margherita Ceschin 24 giugno

Laura Pin 28 giugno

Maria Michelle Causo 28 giugno

Ilenia Bonanno 6 luglio

Benita Gasparini 19 luglio

Mariella Marino 20 luglio

Norma 22 luglio

Vera Maria Icardi 24 luglio

Marina Luzi 25 luglio

Angela Gioiello 28 luglio

Mara Fait 28 luglio

Sofia Castelli 29 luglio

Iris Setti 6 agosto

Maria Costantini 9 agosto

Celine Frei Matzohl 13 agosto

Anna Scala 17 agosto

Vera Schiopu 19 agosto

Francesca Renata Marasco 28 agosto

Rossella Nappini 4 settembre

Marisa Leo 6 settembre

Nerina Fontana 16 settembre

Cosima D’Amato 20 settembre

Maria Rosa Troisi 20 settembre

Rosaria Di Marino 20 settembre

Liliana Cojita 21 settembre

Manuela Bittante 25 settembre

Anna Elisa Fontana 25 settembre

Carla Schiffo 27 settembre

Monica Berta 27 settembre

Klodiana Vefa 28 settembre

Egidia Barberio 30 settembre

Anna Malmusi 1 ottobre

Piera Paganelli 4 ottobre

Eleonora Moruzzi 5 ottobre

Silvana Aru 13 ottobre

Concetta Marruocco 14 ottobre

Marta Di Nardo 20 ottobre

Antonella Iaccarino 21 ottobre

Giuseppina Lamarina 24 ottobre

Pinuccia Anselmino 25 ottobre

Annalisa D’Auria 28 ottobre

Etleva Kanolija 29 ottobre

Michele Faiers Dawn 1 novembre

Patrizia Vella Lombardi 14 novembre

Francesca Romeo 18 novembre

Giulia Cecchetin 18 novembre

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Un augurio a tuttə noi, per dirla ancora una volta con Meike Clarelli e Daina Pignatti, di «avere sempre meno paura».

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