Athletes di Simona Bertozzi: un’haka di libertà tra danza e sport

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ph Luca Del Pia

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Il pubblico seduto in una disposizione ad arena in cerchio attende l’ingresso delle atlete. Potrebbe essere l’inizio di una telecronaca sportiva per mondiali, giochi olimpici, una partita di rugby o, ancora, una gara di atletica. Invece, è la restituzione del primo periodo di residenza di Athletes che la danzatrice e coreografa Simona Bertozzi ha effettuato a Bologna nello spazio Atelier Sì. Si tratta di un progetto che coniuga danza, sport e vocalità, ma anche lavoro di comunità ed empowerment femminile.

A scendere in campo, indossando colorate fogge di t-shirt sportive e disseminando nei loro corpi nastri kinesiologici, sono atlete, danzatrici e altre donne non professioniste che partecipano al processo. Arrivano come una squadra pronta a scendere in campo per portare a casa la partita. Battono il cinque al pubblico, creando da subito un contatto diretto, generando e acquisendo un’energia particolare. Eppure il gesto, ripreso nella sua dimensione coreografica e compositiva non è finalizzato al record, alla medaglia o alla coppa, ma esclusivamente a una riflessione su di sé, sul mondo che ci circonda e sul nostro modo di abitarlo. Comunque non poco. Anzi.

 

ph Luca Del Pia

 

La partitura si compone di gesti sportivi ripresi direttamente dal lavoro delle due indispensabili tutor che Atelier Sì nel progetto di residenza ha affiancato a Simona Bertozzi e alla compagnia: Ester Balassini, ex campionessa di lancio del martello, ed Erika Morri, ex giocatrice di rugby a quindici e allenatrice. Il lavoro si è concentrato nel comprendere come trasmettere e curare il gesto sportivo, risignificandolo in una dimensione coreografica e di danza contemporanea. Il risultato è tangibile in scena. Il gesto sportivo non appare isolato in una sorta di ready-made compositivo, ma al contrario viene risemantizzato in una processualità complessa in cui assume una portata drammaturgica in valore e funzione, estetica e politica, della comunità femminile che lo incarna.

Nel dialogo dopo la performance questo trio dice di essersi trovato in un terreno comune. E, in effetti, la danza ha sempre avuto uno sguardo privilegiato verso la dimensione della cultura del corpo, anche sportiva; basti pensare alla Korperkultur di inizio Novecento (per approfondimenti si guardi a Casini-Ropa: La danza e l’agit-prop), in cui la fascinazione per l’indagine sul movimento naturale deriva proprio dalla riscoperta dell’atletismo di epoca classica. Anche in questo caso Bertozzi inizia a ragionare al progetto da un mosaico del IV secolo d.C. che rappresenta un gruppo di atlete in ‘bikini’ durante l’allenamento presso Villa del Casale in Sicilia. Tuttavia, i corpi di queste atlete non sono ‘convenzionali’ come quelli scolpiti dall’immaginario greco, anzi spesso hanno cicatrici e appaiono in una muscolatura robusta. Ma soprattutto sono in gruppo.

 

ph Luca Del Pia

 

Non stupisce, quindi, che uno degli elementi di riflessione sia proprio il senso di un gesto femminile sportivo e coreografico corale. Molte delle disposizioni coreografiche nascono da una stretta interrelazione tra i corpi in scena, in particolare alcune forme ricreano la mischia del rugby e si ispirano alla danza neozelandese haka con tanto di grido liberatorio per prepararsi alla sfida. La parte vocale è infatti frutto di una cura affidata a Meike Clarelli che, partendo anche dall’urlo di Balassini al raggiungimento del record italiano nel 2005, lavora alla scomposizione e ricomposizione del suono. Chi fa sport sa bene che la vocalità assume un valore fondamentale nella capacità di appoggiare il movimento, un completamento naturale dello sforzo agonistico. Il lavoro di Clarelli ha il merito importante di non addomesticarla in una dimensione estetico-compositiva, ma di scomporla e disporla collettivamente in grani vocali sapientemente incastonati nella partitura coreografica. La conclusione è poi un abbraccio tenero con il coro femminile che si leva per cantare Il mondo di Jimmy Fontana.

L’incontro tra sportività e danza include inevitabilmente uno spazio del rito. La reiterazione è elemento proprio del rituale che spesso – privato di una sua dimensione sacrale – permane nell’evento sportivo (a volte anche come scaramanzia: legare i lacci delle scarpe sempre allo stesso modo e persino il segno della croce quando si entra in campo). La percezione è che il terreno di gioco sia uno spazio mistico, dotato di energie particolari, in cui tutto può succedere esattamente come nello spazio scenico e per abitarlo occorrono risorse più che umane, quasi mistiche. Ed è forse proprio qui che quella follia, che Simona Bertozzi, Ester Balassini e Erika Morri rivendicano come elemento generatore, trova uno spazio d’azione e di liberazione in quell’eterno incontro-scontro di dionisiaco e apollineo che compone il processo performativo.

 

ph Luca Del Pia

 

Il periodo di residenza di Atelier Sì appena concluso lascia quindi diverse strade da percorrere che Simona Bertozzi e le sue danzatrici intendono proseguire incontrando altre donne e sportive in più territori italiani. Potrebbe emergere una interessante mappatura di comunità femminili sul territorio nazionale che ragionano su questa energia di liberazione e di potenziamento mediante il prezioso incontro tra danza e sport. Un connubio che se condiviso con vari soggetti, può aiutare a generare modelli positivi e pratiche interdisciplinari diffuse in più parti della società.

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