Sedicicorto Film Festival: quello che ci è piaciuto

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Un frame di cella zero

 

Un frame di Oripeaux
Un frame di Oripeaux

Apollo. Che strano, tutti i cinema si chiamano così. Proprio in questi giorni l’omonimo milanese sta creando scompiglio sui social per la sua imminente chiusura, e invece l’Apollo forlivese, che ha cessato (sebbene in maniera più discreta) le proiezioni ufficiali nel 2012, riapre proprio in questi giorni per ospitare il Sedicicorto International Film Festival (fino al 17 ottobre).

Io sono andato a godermi la proiezione di alcuni cortometraggi. Ecco cosa mi è piaciuto di più.

Una volta seduto in sala, tra diversi via vai degli spettatori e chiacchiericci prima di scegliere la poltrona “perfetta”, le immagini animate hanno iniziato a scorrermi davanti agli occhi, ed è stato piacevole ritrovare Oripeaux dei francesi Sonia Gerbeaud e Mathias de Panafieu. Il corto d’animazione, realizzato in HD con disegni a mano, racconta le gesta coraggiose di una ragazzina, paladina di un branco di coyote, che riesce a prevaricare l’influsso funesto dei fucili del padre. Una metafora interessante quella che i due giovanissimi registi hanno voluto evidenziare: la paura ancestrale può tramutarsi in forza emancipata attraverso l’abitudine di vivere in un contesto nuovo. Riuscendo, così, ad affrontare tutto quello che prima non si era capaci nemmeno di pensare con la propria testa.

Del blocco successivo (numero 16), ho trovato interessanti i lavori del rumeno Mihai Ghita e dell’italiano Salvatore Esposito.

Il primo, dal simpatico titolo De ce au dispărut dinozaurii (Perché i dinosauri scomparvero), ci pone davanti a due rapporti specifici: genitori-figli e genitori-insegnanti. Al primo impatto possono suonare scontati, triti, banali, ripetuti, ma grazie al sarcasmo dei dialoghi, alla freschezza della musica e al calore avvolgente della fotografia, il corto di Ghita risulta una fusione bilanciata tra commedia svaporata d’oltreoceano e cinema autoriale europeo, senza tralasciare qualche guizzo goliardico nelle due o tre sequenze degne di nota: leggere e godibili, mai sconfinanti nella volgarità più grossolana (e il rischio poteva essere proprio quello). Un quarto d’ora abbondante dove la risata si fa imperante. Nulla viene lasciato al caso.

Un frame di cella zero
Un frame di cella zero

Il secondo lavoro, invece, è ben di altro genere. Con La cella zero, il napoletano Salvatore Esposito ha sviluppato un documentario che raccoglie diverse testimonianze di ex detenuti della casa circondariale di Poggioreale. Gli uomini raccontano, senza censure, le violenze subite dagli agenti del penitenziario. Un viaggio infernale sulla condizione umana nelle carceri italiane. La videocamera di Esposito cattura, scruta, osserva, indaga attraverso le espressioni segnate di persone che hanno accettato di denunciare una verità scomoda per molti. Come Nobila Scafuro detta “Nina”, madre di Federico Perna, morto l’8 novembre 2013 proprio nel medesimo carcere campano.

Durante l’intervista alla donna, Esposito mostra al pubblico alcune immagini forti del corpo senza vita del giovane. Il medico legale dichiarò che la causa della morte fu dovuta a un’ischemia, oltre il danno anche la beffa. La madre non si rassegna, perché le foto scattate al cadavere valgono più di mille cartelle cliniche: «Voglio giustizia! Non si può morire così a 34 anni». Esposito ha realizzato un racconto forte, onesto, puro, focalizzandosi su un grave problema che ha sempre interessato anche l’Italia. Cercando, inoltre, di sensibilizzare quelle persone che ancora ignorano, anche solo parzialmente, temi delicati come questo.

Francesco Foschini

Fino al 17 ottobre, Sedicicorto Festival, Forlì, Cinema Apollo, info: sedicicorto.it