Il reale bisogno di raccontare la vita: David è morto di Babilonia Teatri

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Babilonia Teatri, David è morto - foto di Eleonora Cavallo
Babilonia Teatri, David è morto - foto di Eleonora Cavallo
Babilonia Teatri, David è morto – foto di Eleonora Cavallo

 

David, Iris, i loro genitori e Alex sono tutti personaggi d’immaginazione che appartengono a uno stesso microcosmo reale. Ciò che li accomuna è innanzitutto la lingua frammentata, spezzettata, aggettivante, ipotattica come quelle delle comunicazioni di massa oggi. É pronunciata con voce scandita, urlata, precisa, dettagliata, variabile nelle tonalità e sfumature, per porre l’accento sulle loro esistenze di dolori, disperazioni, sconfitte, rabbia e insoddisfazioni.

Questo è l’elemento linguistico primario su cui Valeria Raimondi e Enrico Castellani hanno scritto e diretto David è morto, spettacolo di Babilonia Teatri.

Sulla scena, quindi, persone comuni raccontano le loro esistenze, presentate con elementi linguistici specifici e singoli. Una canzone accompagna ogni personaggio. Per David (Filippo Quezel) è stata scelta Tender dei Blur; per Iris (Chiara Bersani) The bitter end dei Placebo; Alex (Emiliano Brioschi) canta la sua canzone, perché lui è il re del pop. David, inoltre, si caratterizza perché muove tra le mani un pallone da basket; Iris perché propone il suo fisico; Alex ha la sua chitarra; i due genitori hanno loro stessi e il loro parlare in sincronia. Tutto sono tesi e determinati nelle esposizioni. Appaiono pervasi da un’aggressività linguistica e corporea dettata dalla necessità di azzannare quell’ultimo atto di vita.

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Babilonia Teatri, David è morto - foto di Eleonora Cavallo
Babilonia Teatri, David è morto – foto di Eleonora Cavallo

 

É questo l’elemento che trasforma David è morto da un’apparente narrazione singolare, in una corale. Sul palco sono descritte delle vite già morte, vissute da condannati in attesa di compiere il grande passo a cui però prima è concesso di raggiungere il punto più alto della loro esistenza, il momento più entusiasmante, il ricordo più sentito e vero. David, infatti, si taglia le vene e si mostra sanguinante al padre, sempre odiato, in segno di provocazione, come a volergli dire che lui stesso ha voluto la morte del figlio. Iris si impicca il giorno seguente la morte del fratello dopo aver soddisfatto la sua irrazionale voglia di lussuria. Alex si spara sul palco durante un’esibizione dopo aver raggiunto con la sua canzone il primo posto nelle classifiche di vendita.

C’è un altro elemento che tiene assieme tutte le storie e che permette a David, Iris, Alex e ai genitori di continuare a vivere. É il grande cuore al neon che domina la scena. Vuoto all’interno, descritto solo nel suo contorno, emette una luce fioca e poco riscaldata. Questo oggetto è il grande simbolo delle vite di tutti, è l’amore che non sono mai riusciti a provare.

Narrato in questi termini, dunque, la più recente produzione di Babilonia sembra più una storia di cronaca. L’esigenza narrativa di Raimondi e Castellani è infatti, trasformare la realtà in rappresentazione, portare sulla scena della finzione una percentuale di verità, una storia esistente che per essere manifestata ha bisogno della parola urlata in faccia di chi ascolta. Così facendo, quindi, i due registi veronesi propongono una forma che si compone di dettagli, di immagini, di un linguaggio che è reale e a volte è appositamente non in dizione, perché comune alle chiacchiere di tutti i giorni. I personaggi, infatti, sono innanzitutto attori, come precisa la voce fuori campo la quale nella presentazione precisa il nome dell’attore che successivamente si impossessa del personaggio ripetendo meccanicamente i suoi gesti più caratteristici. Per gli attori è, quindi, un inoltrarsi all’interno di una realtà altra da sé attraverso una consuetudine comune.

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Babilonia Teatri, David è morto - foto di Eleonora Cavallo
Babilonia Teatri, David è morto – foto di Eleonora Cavallo

 

L’immedesimazione da parte del pubblico è totale. Musiche, gesti, parole arrivano direttamente al cuore e al cervello di chi ascolta. Drammaturgicamente, inoltre, lo spettacolo non presenta momenti di distrazione anche perché l’attenzione è tenuta alta a comprendere da parte del pubblico gli intrecci di vita dei personaggi.

É l’apparato linguistico che lascia un po’ di insoddisfazione. L’uso delle canzoni, della voce fuori scena, degli elenchi, l’uso della voce stentorea caratterizzano il teatro di Raimondi e Castellani il quale, probabilmente, avrebbe bisogno di un’evoluzione linguistica così da proporre lo studio della realtà in maniera ancora più diretta.

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DAVIDE PARPINEL

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Visto presso il Teatro Arena del Sole di Bologna il 14 febbario 2016 – info: babiloniateatri.it, arenadelsole.it

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