Rolling Stones, blues a scacchi

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Uscita la notizia che con Lonesome And Blue gli Stones si sarebbero dati al blues, subito ci siamo chiesti: a che blues? Di blues ne esistono tanti, quello rurale del Sud, quello peculiarmente texano di Lightnin’ Hopkins, quello di BB King forgiato a Memphis, quello unico e ipnotico di John Lee Hooker, anche quello bianco, aristocratico e poco battuto di Mose Allison – e naturalmente quello di Chicago, elettrico e metropolitano. Ecco, Lonesome And Blue non è solo un disco blues, è un disco Chess – ed è proprio per quello che consigliamo a chiunque non sia interessato a un ascolto di sottofondo, di andare a ripescare le incisioni che Mick Jagger, Keith Richards e compagni fecero nei leggendari studi di 2120 South Michigan Avenue che consacrarono al massimo della mitologia americana la musica dei vari Muddy Waters, Howlin’ Wolf, Etta James, Willie Dixon, Little Walter – qualche traccia ufficiale si trova in 12 X 5 (1964) ma esistono i bootleg, sempre benedetti. Piccola nota-stranezza: chi sviscererà il lavoro noterà la mancanza di almeno un numero del repertorio di Muddy Waters – che per essere roba degli Stones dediti al blues made in Chess fa strano.

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Un album in presa diretta, dicono i protagonisti registrato in tre giorni – e si sente! Lonesome And Blue è monocromatico nel senso che l’intento era di fare un tributo alla musica ammaliò gli Stones imberbi, loro come tanti altri Brits del resto, dai ragazzi Yardbirds a quelli Pretty Things: naturalmente quello dell’etichetta Scacchi. Lo produce Don Was, ma a voler viaggiare con la fantasia sarebbe stato molto bello se dietro la console Mick & Keith avessero chiamato Jon Spencer: già, perché il signor Blues Explosion di quella roba lì è un conoscitore sopraffine, contando anche che è in assoluto un fanatico degli Stones – chi ricorda il tributo Exile On Main St EP (1986) al tempo dei Pussy Galore? Va bene, lo sappiamo: il big business certi gesti nel 2016 non li consente – men che meno il brand Rolling Stones, che oltre a Was gioca sul sicuro nel dare colore coinvolgendo vecchi collaboratori/amici come Eric Clapton, Jim Keltner, Chuck Leavell e Matt Clifford.

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Cuba The Rolling Stones

Suonato bene e con la giusta urgenza, sebbene lo attendessimo un po’ così Lonesome And Blue sorprende più di tutto nella scelta dei pezzi. Anzi, se prendiamo ciò che fece il loro ospite Manolenta in un’operazione analoga di un paio di decenni or sono, ossia con From The Cradle (1994), qui gli Stones sorprendono scegliendo brani non abusati – vedi, per contro, Clapton che nel suo album non risparmiò le solite Motherless ChildHoochie Coochie ManIt Hurts Me Too. Semmai, se proprio si vuol essere un po’ maliziosetti, lascia un po’ perplessi che da A Bigger Band (2005), la bellezza di undici anni dopo gli Stones riescano a produrre solo un disco di pezzi altrui registrato in poche ore – tanto più che se l’album non fosse intestato a Mick Jagger e soci ma con eguale contenuto, giurateci che non leggereste gli stessi auto compiaciuti peàna scritti qui e là (spesso previo pagina pubblicitaria). Poi, sì, bisogna accettare che le nostre amate Pietre siano oramai dei settantenni – e quindi è pure giusto che guardino a un passato che tanto ha pesato sulla loro formazione artistica.

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La scelta monochrome in molti passaggi comunque è azzeccata, vedi come spingono sull’acceleratore in Hate To See You Go e I Gotta Go, entrambe di Little Walter, nell’oscura Hoo Doo Blues del grande ma dimenticato Lightnin’ Slim, in Just Your Fool di Buddy Johnson – questa ha l’apparenza addirittura d’arrivare dalle leggendarie session di Jagger con i Red Devils, prodotte oramai quasi venticinque anni fa da Rick Rubin – in Blue And Lonesome di Memphis Slim dove brilla una gran bella cacofonia di chitarre a dodici battute, nella minacciosa Little Rain del sommo Jimmy Reed – bluesman con un ascendente lungo così, come testimoniano da sempre proprio gli Stones, Neil Young, Jerry Garcia e persino Elvis – in I Can’t Quit You Baby di Willie Dixon con ospite Clapton, molto più rilassata rispetto alla versione dei Led Zeppelin che tutti conoscono, e nell’atro numero con l’ex Cream Everybody Knows About My Good Thing, che dall’originale tendenza soul di Little Johnny Taylor diviene un robusto slow blues. Qualche manierismo, dobbiamo dirlo, ci pare comunque che affiori, specie nel modo di cantare di Mick, come per esempio in Commit A Crime (Howlin’ Wolf) oppure All Of Your Love (Magic Sam) – o anche nei riff-oni spinti eppure convenzionali di Ride ‘Em On Down (Eddie Taylor) e di Just Like I Treat You (Willie Dixon) – ma si tratta sempre di un buon sentire dove la firma Stones, brand o non brand che sia nel 2016, si sente comunque.

CICO CASARTELLI

THE ROLLING STONES – Lonesome And Blue (Polydor-Universal)

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