Il taccuino del critico: Momix, ad usum populi

W Momix Forever: titolo un po’ autocelebratrivo (e un po’ da scuole medie) per il divertente spettacolo della celeberrima Compagnia di Moses Pendleton, visto al Teatro Alighieri di Ravenna.

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Da un po’ di tempo sperimento, per una parte dei lavori che incontro, una modalità di restituzione che funziona così: durante gli spettacoli prendo alcuni appunti sul mio taccuino. Inevitabilmente (anzi: intenzionalmente) frammentari.

A seguire li ricopio qui.

Nessun approfondimento.

Alcuni lampi.

Qualche artista vanitoso ogni tanto si offende, perché la sua ricerca «richiederebbe ben altra attenzione» rispetto a queste poche righe.

Pazienza.

Mi consolo in anticipo con Ennio Flaiano: «Il segreto è raggiungere da professionisti la disinvoltura dei dilettanti, non prevalere, far credere che la cosa sia estremamente facile, un divertimento che trova la sua ragione di esistere nel fatto di essere più leggero dell’aria».

Buona lettura.

 

 

W Momix Forever

Mille lucine bianche, un fondale di stelle.

Barocco. Organizzare la meraviglia.

Aste basculanti. Sincroni. Linee allungate. Morbidezza. Rotazioni: corpi come pianeti.

Musica suadente, che fa battere il piede a ritmo.

Spettacolo-contenitore, sequenza di brevi “numeri”, montaggio delle attrazioni: Sergej Michajlovič Ėjzenštejn corretto ad usum populi.

Un intrattenimento facile facile, a suo modo molto (molto!) ben fatto, ben congegnato. Ce lo si potrebbe aspettare in un gran teatro di Las Vegas, W Momix Forever. O a Parigi, ad uso di turisti americani affaticati dalla giornata spesa in giro a veder monumenti.

Leggerezza, fluidità: tutto sembra facile, in questa mirabolante macchina scenica. Pare non comportino alcuna fatica, queste acrobazie.

Idea pre-novecentesca di danza come simmetria, equilibrio, compostezza. Di danzatore/danzatrice con corpo eccezionale (al solito: lui/lei è artista e io no perché lui/lei sa fare cose che io non so fare. Identificare l’arte con la téchne. Il pubblico, grato per questa rassicurante chiarezza, applaude e annuisce).

 

 

I corpi nello spazio creano lo spazio: in questo Moses Pendleton è un maestro.

Arte spensierata, art déco: stile sintetico e al tempo stesso volumetricamente aerodinamico, turgido e opulento.

Il corpo è sempre “aumentato” da oggetti di scena (aste, leve, tavoli, specchi, costumi/scenografia, altre attrezzerie).

Naturale vs artificiale: gli accessori servono a camuffare, e al contempo a enfatizzare, alcune caratteristiche somatiche.

C’è anche Loïe Fuller, qui, molto vicino.

 

 

Caleidoscopio: forme in movimento, che valgono in quanto tali.

Invenzioni tutte visive. 

Una quantità di posture aliene e indecifrabili: il movimento di corpi, luci e oggetti compone e scompone con fluidità linee e forme non antropomorfe.

Piroette e immobilità, disequilibri e segmentazioni, tonfi e rotazioni.

È una danza che, ben lontana dal porsi come narrazione, simbolo o psicologia, vale nel qui e ora della propria oggettività.

Una vivace e al contempo implacabile macchina spettacolare. Tre sere sold-out a Ravenna, per dire.

Il pubblico si diverte, termine che, vale ricordarlo, nell’etimo rimanda al deviare, al distogliersi. Da sé.

 

 

Momix, the show must go on.

 

MICHELE PASCARELLA

  

Visto il 6 aprile 2017 al Teatro Alighieri di Ravenna –info: 0544 249244, teatroalighieri.org