Beethoven e le piume

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Il Teatro Bonci di Cesena ieri sera ha accolto il concerto del pianista Filippo Gamba. Che ha impresso un’inaspettata levità a tre sonate del «compositore più ammirato nella storia della musica occidentale».

«Ti piace vincere facile?» si potrebbe dire con il tormentone pubblicitario di un celebre gratta e vinci nel leggere il programma di sala del concerto che il blasonato Filippo Gamba ha tenuto ieri sera al Teatro Bonci di Cesena: tre sonate di Beethoven e alcuni Préludes di Debussy, a cent’anni dalla morte.

Un repertorio che chiunque apprezzerebbe -c’è anche il celeberrimo Chiaro di luna– un po’ perché gli anniversari dal punto di vista comunicativo sono sempre efficaci e un po’ perché «il titato di Bonn» è davvero «il compositore più ammirato nella storia della musica occidentale», come ebbe a dire un’autorevolissima enciclopedia musicale britannica qualche decennio fa. Perfino il suo aspetto fisico è familiare anche ai non esperti: chioma leonina tumultuosamente scarmigliata, ampia fronte corrucciata, naso largo e carnoso, mento volitivo, bocca contratta quasi in una smorfia di disgusto, occhi infuocati. Un volto perfetto per sintetizzare ad usum populi una certa idea di Romanticismo: arte come espressione di sentimenti, lotta con i propri fantasmi, genio e sregolatezza.

È dunque facile la scelta del pluripremiato pianista veronese. E al contempo difficilissima. Come se un critico d’arte dei giorni nostri volesse fare una recensione della Gioconda: cos’altro ci sarà mai da dire, che non sia già stato detto?

Dal punto di vista interpretativo, Gamba libera le composizioni beethoveniane dal peso, che la Storia ci ha consegnato, delle tensioni laceranti caratterizzanti le sonate del Maestro: ampie falcate degli avanbracci sospesi (come non pensare a Gould alle prese con le Variazioni Goldberg?) restituiscono con levità un suono che il Teatro Bonci, con i suoi 172 anni di storia gloriosa, fa risuonare terso e ficcante, inaspettatamente minimale.

C’è aria, fra le note. Silenzio, attesa.

Una prospettiva affatto sorprendente, forse figlia di una concezione -tutta novecentesca- secondo cui l’opera non è un’essenza frutto di un atto creatore che la produce una volta per tutte, ma un’entità che prende vita nella molteplicità delle interpretazioni possibili: il rapporto interprete-opera non è pertanto incidentale, ma costitutivo.

Un analogo trattamento subiscono i Préludes di Debussy, composizioni per pianoforte solista che nel titolo si riferiscono all’opera omonima di Chopin, il quale si era a sua volta ispirato ai preludi del Clavicembalo ben temperato di Bach.

Ma questa -come dicono nei film americani- è un’altra storia.

 

MICHELE PASCARELLA

 

Visto al Teatro Bonci di Cesena il 7 aprile 2018 – info: teatrobonci.it