Io c’ero: Mariangela Gualtieri e Lorenzo Jovanotti al Teatro Bonci di Cesena

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Brevi note su un incontro commovente.

Coup de théâtre.

Alla quarta edizione della rassegna cesenate di poesia, filosofia, arti e scienza Ciò che ci rende umani, voluta e curata dal Teatro Valdoca, fuori programma e in anteprima arriva un incontro quanto meno inusuale: Mariangela Gualtieri e Lorenzo Jovanotti.

In un Bonci stracolmo, sold out in mezza mattina di prenotazioni, a ragionar di metrica e parole, di poesia e silenzio.

A fare un passo a lato da sé, dal proprio stile, in barba a tutte le spocchiose categorie di cultura alta e bassa, di serie A e di serie B. A sbilanciarsi l’una verso l’altro.

Due umani che più diversi non si può che davvero e in diretta, davanti a qualche centinaio di persone, provano a scoprirsi a vicenda.

Il suono delle parole porta anche il senso, il significante contiene il significato, dice lui. Poi prende la chitarra e propone una canzone su un testo di lei, tratto dallo spettacolo Giuramenti: non c’è metrica in appoggio, spiega, questo è difficile, mi disorienta ma mi piace, il disorientamento è situazione gravida di possibilità.

Spostarsi da sé. Nutrirsi di ciò che è altro.

La lingua son le parole, mentre il linguaggio è tutto.

Racconta della voglia di abbracciare gli sconosciuti in ascensore a Vienna dopo aver visto le opere di Egon Schiele.

Mariangela Gualtieri parla delle poesie che scriveva fino ai sette anni. Dell’enorme attenzione a qualcosa che ha tutta l’aria di venire da fuori. Come selezioni, le chiede lui. Tolgo ciò che più direttamente riguarda me.

Dopo che avrete letto quella poesia sarete diversi, sarete più voi.

Vien fuori il Cantico delle creature di Francesco d’Assisi, lui a ragionare su quel per che non significa “a causa di”, ma “attraverso”: tu sia lodato attraverso l’acqua, attraverso il fuoco.

Mariangela Gualtieri dice il suo Bello mondo, che contiene Francesco d’Assisi e Borges e Whitman. Lorenzo Jovanotti finisce con una canzone, devo fare la più semplice che ho, dice.

Neanche un’ora.

Ridere, piangere, pensare, immaginare.

Commuoversi, nel senso letterale di muoversi assieme a due umani. Che si muovono un po’ a lato da sé.

Dire grazie, almeno.

 

MICHELE PASCARELLA