Lo Schnitzler espressionista di Teatro Rebis

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Teatro Rebis, Signorina Else - foto di Valentina Seri

 

Accadono incontri.

In una fredda domenica di fine novembre arriviamo in treno a Senigallia, località sulla costa adriatica che se d’estate brulica di turisti accaldati al nostro arrivo si presenta affatto deserta, finanche glaciale. Oasi di colore e calore in tale desolato paesaggio è il Teatro Nuovo Melograno, vivissima realtà che da anni coinvolge diverse centinaia di persone di ogni età in una ridda di corsi di teatro e mediante una programmazione di spettacoli proteiforme, colta e popolare.

In questa sorprendentemente brulicante ex-carrozzeria, animata dall’entusiasmo e dal lavoro dell’omonima Compagnia dalla storia ormai ultraventennale, incontriamo l’allestimento di Teatro Rebis di Signorina Else di Arthur Schnitzler, scrittore, drammaturgo e medico austriaco noto soprattutto per aver messo a punto l’artificio narrativo conosciuto come «monologo interiore».

 

Teatro Rebis, Signorina Else – foto di Valentina Seri

 

Può essere utile, a favore di chi non la conoscesse, riportare per sommi capi la trama di questa magnetica novella pubblicata per la prima volta nel 1924.

Else è una diciannovenne viennese di buona famiglia borghese. Il padre, famoso avvocato, ha il vizio del gioco e rischia spesso l’arresto. Durante una vacanza in montagna, Else riceve un’accorata lettera della madre che le comunica che il padre rischia l’arresto per sottrazione indebita di denaro e che la ragazza dovrà chiedere i 30.000 fiorini necessari (che poi diventano 50.000) a un ricco amico di famiglia che si trova per caso nello stesso albergo di lei. La madre fa appello all’amore che Else deve ai suoi genitori e paventa la possibilità del suicidio del padre qualora venisse arrestato. Il laido signor von Dorsday, amico del padre di Else, accetta di salvarlo, spedendo il denaro, a condizione che Else gli si mostri totalmente nuda. Else, in preda all’ansia, si presenta nuda nella hall dell’albergo, dopodiché delira e sviene. Else deciderà di darsi la morte, ingerendo Veronal.

 

Teatro Rebis, Signorina Else – foto di Valentina Seri

 

Teatro Rebis propone di questo racconto una «lettura drammatizzata» il cui trattamento pare corretto definire espressionista per almeno dieci precise affinità con tale orientamento artistico.

  1. Lo spettacolo diretto da Andrea Fazzini effettua una sintesi radicale tra immaginario e stile, realizzando una forma espressiva di particolare intensità comunicativa: l’allestimento è segnato in primo luogo da una ricerca forte sulla configurazione dell’immagine, quindi sullo spazio e sulla scenografia che le scelte registiche possono esaltare.
  2. Tutti gli elementi della scena sono rielaborati in modo artificiale (un esempio su tutti: le reiterate letture al microfono) per affermarne, raffreddandola, l’incisività.
  3. I contorni delle Figure sono spesso alterati, irregolari, segnati da una deformazione esplicita e tendenzialmente irrealistica.
  4. Lo spettacolo procede per stilizzazione intensiva e deformante del visibile, non tanto ad esprimere un gusto quanto a oggettivare una concezione del mondo, un sentimento (quello della protagonista, che l’appassionata Meri Bracalente senza posa dis-incarna). Detto altrimenti: la tensione, l’angoscia, il dolore l’ossessione della Figura (Cézanne via Deleuze docet) sono direttamente impressi nella materia scenica, cioè diventano correlativi oggettivi (ed espressivi) grazie al lavoro di regia.
  5. Gli spazi sono «paesaggi impregnati d’anima», ne sono il luogo (à la De Certeau).
  6. I volti, i corpi, si configurano come segni intensivi, finanche geroglifici visivi.
  7. La recitazione procede nella direzione del rafforzamento dell’espressività: più forti i gesti, più sottolineati i movimenti, più marcata la mimica rispetto a un pur evocato naturalismo. Scopo (paradossale) di tale eccesso di significazione della Figura: dimettersi, sottrarsi, finanche scomparire.
  8. È essenziale il lavoro sull’illuminazione: lo spettacolo scompone il visibile attraverso un uso intenzionale di luci fortemente contrastate, mediante la giustapposizione di settori luminosi ricavati all’interno di spazi bui, in un metodico tessuto di illuminazioni e di oscurità. Il mondo non è semplicemente visibile: sembra che lo sguardo sulle cose debba necessariamente avventurarsi nell’enigma del nero, nell’incertezza della luce. Tale contrapposizione non è soltanto un modo di vedere: si carica di implicazioni simboliche, pare diventare la visualizzazione della lotta tra forze demoniache e istanze morali.
  9. Il montaggio registico, che è forse plausibile collocare storicamente fra il teatro totale di Piscator e quello epico di marca brechtiana, non è mai troppo rapido: deve permettere alle immagini di venire pienamente assorbite dallo spettatore. Esso valorizza gli elementi figurativi rispetto a quelli ritmici, la ricchezza delle componenti informative ed emozionali della scena più della velocità dell’azione.
  10. Dal punto di vista della fabula: la protagonista tende disperatamente verso un obiettivo senza raggiungerlo, vìola le leggi del vivere comune in nome di un’ossessione di cui non può liberarsi, mescola istanze di ribellione verso l’assetto sociale con esperienze di angoscia e di frustrazione. È un immaginario che mette in scena assieme la debolezza e la fragilità del soggetto e il suo delirio di potenza, le incertezze e la mobilità dell’io e la moltiplicazione delle identità.

 

Teatro Rebis, Signorina Else – foto di Valentina Seri

 

Lo spettacolo di Teatro Rebis, un po’ come il celeberrimo Gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene del 1920 (tanto per citare l’esempio forse più celebre della cinematografia espressionista), crea immagini che oggettivano una visione angosciata e alterata del reale e presentano un mondo ridotto a spazio allucinato, a ossessione interiore. Scrisse a tal proposito il regista tedesco: «Per l’artista espressionista ciò che è esterno è apparente. Egli cerca piuttosto di rappresentare ciò che è interiore». Pare in questo senso del tutto organica al senso profondo della novella di riferimento la scelta registica di Andrea Fazzini di immergere il mondo di Else in una dialettica di luce e ombre, che sottrae parzialmente la Figura alla percezione e per questa via le dona denso mistero.

In conclusione e sintesi: Signorina Else, sul solco del più puro teatro espressionista, si caratterizza per la recitazione esasperata (urlo espressionista) e un linguaggio che punta sull’iterazione e sul monologo per raggiungere un’assolutezza di toni ai limiti dell’esaltazione. La regia di Andrea Fazzini, trasformando i personaggi in Figure e i movimenti in linee, inventa modi diversi di stilizzazione del reale, rendendo palpabile la presenza incubotica del vuoto e della morte.

Vorrei gridare il mio saluto al cielo prima di tornare giù in mezzo alla gente. Ma dove andrà il mio saluto? Sono così sola. Terribilmente sola, tanto che nessuno può immaginare la mia solitudine. Amore mio, io ti saluto. Chi sei? Ti saluto mio promesso sposo! Ma chi sei?

 

MICHELE PASCARELLA

 

Visto il 25 novembre 2018 al Teatro Melograno di Senigallia (AN) – info: http://teatrorebis.wixsite.com/teatrorebis, http://www.nuovomelograno.it/