Il racconto della psicologa: “ormai siamo in un frullatore e dobbiamo resistere”

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Di Coronavirus sento parlare per la prima volta in un non specificato giorno di gennaio, in tv. Come ogni volta che colgo il nome di un virus, una malattia, un nuovo problema ne prendo nota e faccio ricerche perché so che non passeranno molti giorni (a volte ore, in realtà!) prima che uno o più dei miei pazienti ansiosi e/o ipocondriaci mi chieda rassicurazioni in merito ed io dovrò essere in grado di sostenere la conversazione. Leggo il parere di diversi medici (e sottolineo medici!) a cui fanno eco i politici (ma questo poco mi importa) che affermano che questo nuovo coronavirus sia “poco più di un’influenza”. Mi rassicuro e, come immaginavo, arrivano i primi segnali di ansia in molti e a me spetta il compito di riportare le persone ai dati di realtà conosciuti, ovvero a quel “è poco più di un’influenza”. Dopo qualche giorno però, viene disposta la chiusura delle scuole in diverse regioni, tra cui l’Emilia Romagna. Io gestisco uno sportello d’ascolto per alunni e genitori presso un istituto comprensivo del territorio. Il mio cellulare inizia a fare gli straordinari e molti genitori mi chiedono: “Ma dottoressa, non era solo un’influenza?” (come se fossero state parole mie…). Ci esortano a tenere le distanze, anche al bar. Inizia a regnare il caos. Personalmente cerco di tenermi serena per risultare più utile. Nel weekend dell’8 marzo, che ancora non sapevamo sarebbe stato l’ultimo da persone “libere”, io e il mio compagno ce ne andiamo a fare un’escursione sui colli bolognesi, non incontriamo anima viva, stiamo alla larga dal contagio e al contempo raccolgo energie positive per affrontare, così temevo, settimane di ansie da sedare e attacchi di panico. Il lunedì acquisto Tutto Sport e mi vanto con l’edicolante interista perché la sera precedente la Juve ha vinto il derby d’Italia. Commentiamo i gol. Non sapevamo che sarebbe stata l’ultima partita…

Arrivo in studio piena di energia ma è il Presidente del Consiglio a togliermi il sonno da quella notte. Un decreto, un DPCM, anzi no, una bozza…. Inizia uno strano tam tam comunicativo e all’una di notte il mio cellulare è già pieno di sms preoccupati (perché il cellulare di lavoro non l’ho mai spento in vita mia… non posso certo iniziare in tempi di coronavirus). “Dottoressa ci hanno chiuso… ma io posso venire all’appuntamento delle 9?”, “Io non mi sento bene, anziché alle 18 posso venire domani mattina? Anche presto va bene…”. Ok, il sonno è andato e cerco di capirci qualcosa. Il mio lavoro non si ferma e non si fermerà nemmeno successivamente, la mia è una professione sanitaria, ma da lì in avanti divento la segretaria dei miei pazienti, mandando ogni volta il nuovo modulo in tempo reale, dando istruzioni per la compilazione, con allegati esercizi di respirazione per calmarsi e contrastare il “se mi fermano cosa dico? Che vengo da lei o che vado a fare una passeggiata?” (quasi come fossi uno spacciatore da cui non si può dichiarare di andare…).

Inizio a pensare che il presidente Conte mi debba tante nottate di sonno. Partono i primi attacchi di panico. “Dottoressa non respiro. Sarà il coronavirus?” Loro si calmano, il panico fa il suo ciclo e rientra in poche decine di minuti, ma generalmente dopo essermi presa tali responsabilità sono io a non dormire più… Anche perché ogni telefonata ed ogni seduta da fine febbraio terminano con “e meno male che era solo un’influenza!” (ma non l’ho detto io!!!!). Il Presidente che mi deve tante notti insonni ci chiede sacrifici, in genere esce di sabato sera, prima di solito circola in rete una bozza del nuovo decreto, il tg annuncia l’esodo da nord a sud e il mio cellulare, ormai costantemente attaccato alla corrente, squilla. Le domande iniziano a farsi sempre più bislacche, la gestione dell’ansia in chi ha già pregressi disturbi legati a tale ambito, diventa una missione. “Dottoressa è una guerra. Arrivano anche gli americani ora. Sbarcano. Per questo non possiamo uscire la notte. E poi è una questione del 5G. Ma non è che lei ce l’ha già? Io ho la fibra… “. I passaggi logici mi sfuggono… io a stento so cosa sia il 5 G, non riesco a collegarlo al virus, ormai non riesco più nemmeno ad informarmi per tenere testa ai miei pazienti perché tutti i canali h24 parlano di coronavirus e sfornano teorie diverse.

E poi vede come fanno? Fanno uscire le bozze dei decreti per studiare la nostra reazione. Non ne usciremo mai più… E se l’Italia fallisce torniamo alla Lira? Lei pensa che dovremmo uscire dall’Europa?”.

Io in realtà, che dormo poco, riesco a fare sempre meno collegamenti logici. Di sicuro penso che le uscite dei famigerati decreti in bozza siano un errore madornale ma non certo con un secondo fine, semmai l’opera incontrollata di chi si è trovato a governare qualcosa di imprevedibile ed ingovernabile (comunque Conte, non ti perdono la mia deprivazione di sonno!).

I più coraggiosi vengono in studio, chi con scafandri da palombaro, chi con la semplice mascherina, con altri si va di sedute via skype (e qualcuno anche a casa sua è vestito da palombaro), qualcuno mi scambia per un mago (se avessi queste doti…. magari! avrei fatto meno cavolate nella mia vita!) affermando che “noi psicologi” dovremmo sapere quando tutto questo finirà (non lo sanno nemmeno i virologi…). Alcuni si lamentano per non poter ricongiungersi ai parenti più stretti per Pasqua, ma altri gioiscono perché il 14 aprile, data in cui scadranno le restrizioni se non ci sarà una nuova bozza, pardon, un nuovo decreto, non è poi così lontano. I più ansiosi (o forse realisti?) pensano che non riacquisteremo la libertà il 14 ed è proprio il non sapere che destabilizza il genere umano perché siamo fatti di agende, orari e appuntamenti e di certo l’illusione di avere in mano la gestione delle cose ci rassicura e tranquillizza. Ed è questo che è saltato in questo periodo, che non ci possiamo più garantire. E purtroppo il balletto di bozze, conferme e smentite, decreti che si modificano, date che si allungano non ha giovato. Dal punto di vista psicologico si poteva e doveva fare meglio, magari consultandoli prima gli psicologi e non sempre e solo dopo, nei talk show, come avviene puntualmente dopo ogni tragedia. Ma ormai siamo in un frullatore e dobbiamo resistere.

Stanotte voglio dormire, me lo impongo. Mi drogo con doppia tisana alla valeriana. “Dottoressa! Ma se non portano più il lievito nei supermercati, come la fronteggiamo questa guerra?”. Ok, facciamo che mi guardo “Siamo fatti così” su Netflix… ma l’episodio che parla dei virus, chissà mai riesca a capire, come mi dice qualcuno, quando finirà tutto questo!