Viaggio nel crepuscolo: un dito nelle tante piaghe degli anni Sessanta e Settanta

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Settimo lavoro del regista, sceneggiatore e produttore Augusto Contento, Viaggio nel crepuscolo percorre le strade che portano nella fredda oscurità del declino italiano: della famiglia, della società patriarcale, delle istituzioni scolastiche, della religione.

Presentato al Trieste Film Festival nella Sezione “Premio Corso Salani” e partendo da quattro film “politici” di Marco Bellocchio, strumento investigativo con cui dissezionare la mentalità, la società e alcuni episodi chiave dell’Italia (I pugni in tasca, Nel nome del padre, Salto nel vuoto e Buongiorno, notte), l’opera indaga gli anni Sessanta-Settanta.

 

 

Che cosa è successo? Che senso aveva la lotta armata? Il ruolo della sinistra e gli equilibri politici del tempo? Perché il nostro Paese ha imboccato la strada del disimpegno e della rimozione? Può il nostro cinema raccontare le contraddizioni di una fase storica delicata?

I film di Bellocchio diventano così dei versi poetici che creano nuovo senso; lo stesso vale per gli archivi, il cui utilizzo non è più funzionale alla narrazione, ma alla poesia.

Una geografia tra l’inconscio personale e collettivo, presentato in anteprima all’ultima Mostra del Cinema di Venezia dove gli artisti, intellettuali, pensatori protagonisti del nucleo documentaristico non appaiono mai dal vero ma in versione animata con tecnica neo-pittorica 2D, perché la ricerca della Bellezza, della Verità storica è un’impresa avventurosa, una missione adatta ad esploratori che non si spaventano dell’Ignoto.

Un documentario profondo, plasmabile, si mette a nudo… Riflesso della cultura come avanzamento sociale, della Rivoluzione che è stata fatta sia nella scienza, sia nella meccanica quantistica, dove non solo il pubblico si identifica, ma si pone interrogativi sulla realtà.

 

 

La decadenza della società viene filtrata dalla macchina da presa partendo da una tavola nera, in modo tale da far emergere i personaggi… Un flash, ritorna in mente Caravaggio. Creature oniriche prendono forma, come se fossero un prolungamento dell’ombra dello spettatore.

Un documentario che spinge oltre i confini psicologici, riuscendo a testimoniare il caos e i fantasmi al suo interno.

Secondo Adriano Aprà, ideatore del film e critico cinematografico, rappresenta un unicum perché propone una nuova estetica dove spazio e tempo non sono quelli che conosciamo, dove la consequenzialità è abolita e l’idea di un mondo chiaro e descrivibile viene meno. Tramite linguaggi molteplici, la musica di Paolo Cantù modella le sequenze narrative, le immagini vengono utilizzate come le parole in poesia e il suono determina la psicologia dei personaggi, la qualità drammaturgica di un’azione e la metafisicità di uno spazio.

Il fine ultimo è parlare delle principali questioni italiane e internazionali attraverso prospettive insolite, viaggiando su una sottile linea di confine, verso un Universo che vuole ridare voce ad operai e contadini cristallizzando alcune svolte epocali.

 

 

Durante questo viaggio, sono molte le voci distinguibili in questo caleidoscopio di prospettive: da Michele Serra a Gad Lerner, da Silvia Costa e Alice GeraGherardo Colombo, da Roberto Herlitzka a Paola PitagoraBellocchio stesso, in una conversazione con Aprà che è tra le più interessanti che il film può offrire.

Più che riassumere gli eventi (il Sessantotto, gli anni di piombo, il rapimento Moro, la P2) i partecipanti costruiscono una meditazione corale che si fonde al ritmo ipnotico dell’animazione progressivamente più astratta di Marco Belli. L’immagine di un cavallo che svanisce nella strada ghiacciata di un non luogo che può essere ovunque e da nessuna parte, in un Universo utopico, non solo è emblema del film stesso, ma rimane dentro il cuore dello spettatore.

“Il crepuscolo diventa il mio sguardo, la luna diventa la mia fantasia. L’oscurità diventa la mia anima, la mia storia. Le montagne diventano i miei sogni e il cielo… La mia pelle.” Come dichiara lo stesso regista: “Sono convinto che il nostro lato razionale sia quello meno autentico. Credo che i nostri sogni abbiano molto più da raccontare delle apparenze e della nostra presunta identità”.

142 minuti in cui “trovi un senso, chi può, al tempo che passa”.

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Da quando ne ho memoria, questi sono i miei più grandi amori: canto, teatro, lettura e cinema. Sono una Studentessa del Corso di laurea DAMS presso l’Università degli Studi di Messina. Appassionata di storia dell’arte, letteratura, storia, musica, fotografia e di mummie, il palcoscenico ha fatto parte della mia vita dall'età di 6 anni e da allora non l’ho più lasciato, in qualsiasi veste. Allieva Regista per la Summer School alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano, amo scrivere, in particolar modo poesie e racconti. Pratico volontariato dall’età di 10 anni e Gagarin è la mia prima collaborazione di scrittura come aspirante critica cinematografica.