Verso Andante: faber Faber

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ph Diego Diaz Morales

 

Nomen omen: il Faber fa.

Nomen omen: con Andante si va.

Niente di nuovo, si potrebbe dire, ma qui a Chivasso, nella casetta caldissima a inizio agosto, non si ha smania di novità. Pittosto quella, antica, di far le cose per bene. Con cura. Con tempo. Cose utili, solide, come una sedia o un bicchiere.

Nella casetta c’è gran fermento, una quantità di scatole e borse ingombrano il passaggio, Sebastiano carica il furgone, Francesco scorre la lista per non dimenticare nulla.

Si va a Cortemilia, nell’Alta Langa, a presentare il primo studio di Andante, che debutterà a settembre. E a tenere un Laboratorio per camminatori all’Ecomuseo dei Terrazzamenti e della Vite, che è uno dei partner del progetto.

Che si sa, i progetti han bisogno di una casa.

E di gambe, per camminare.

E qui il camminare -e la musica- sono il punctum e anche lo studium, per dirla con Barthes: l’oggetto e l’azione che esso compie sul soggetto che lo agisce e fruisce.

Il paesaggio esteriore e quello interiore, dicono qui.

I sei artisti-artigiani di Faber Teater, insieme a Chiara Baudino che nel gruppo coordina il tantissimo che sta prima e dopo e attorno alla scena e ad Antonella Talamonti che da molti anni ne cura le architetture vocaliche (e non solo) e -in occasione di Andante– lo scrittore Gian Luca Favetto per la drammaturgia, presentano a qualche decina di spettatori camminanti, per la prima volta, l’accadimento performativo a cui stan lavorando da molti mesi.

 

 

Ci stan lavorando, a onor del vero, in mezzo a mille altri impegni e progetti.

“E poi dobbiamo farne di mestieri / noi che viviamo / della nostra fantasia” cantava Francesco Guccini un secolo fa.

I mestieri, i saperi, gli incontri, le esperienze diverse sono di questo nascente Andante motore e alimento.

È sempre così, si potrà legittimamente obiettare.

Vero.

Ma nel caso di questo ensemble che da oltre vent’anni insegue e persegue con pragmatismo tutto piemontese e “i piedi ben poggiati sulle nuvole”, come direbbe Flaiano, l’ideale comunitario di un teatro di gruppo in cui la dimensione collettiva della creazione si intrecci alla gestione di ogni aspetto del fare (progettuale, finanziario, relazionale – in una parola: artistico), essa è caratteristica fondante, finanche identitaria.

Un teatro, questo, che senza posa si protende verso l’altro da sé – alla ricerca, forse, di una possibilità di incontro che sia al contempo interculturale (ponendo in evidenza le peculiarità e dall’incontro fra esse dia origine a qualcosa di altro – un esempio fra tutti, il loro storico spettacolo Emigranti) e transculturale, alla ricerca di quel continuum che precede le specificità identitarie.

È forse per questo che due facce della stessa medaglia sono, analogamente importanti per la definizione di questa creazione in divenire che è l’oggetto (pretesto?) attorno a cui si agglutinano queste e tali umanità, le opinioni, i commenti, i vissuti dei partecipanti -che gli artisti, subito dopo lo spettacolo “interrogano” con curiosità e attenzione- e i feedback dei collaboratori (i già citati Talamonti e Favetto, in primis, e anche noi nel ruolo di guardanti/raccontatori).

 

ph Diego Diaz Morales

 

Due facce della stessa medaglia (leggi: progetto) sono, anche, lo spettacolo Andante e il Laboratorio per camminatori che, almeno in questa fase, ne è complemento.

Una quadriglia, strumento concreto per unire passo e suono, dà avvio a un’esplorazione accurata del proprio sentire – verbo che in italiano ha molti significati, tra i quali in questa occasione si considerano principalmente il tatto -concentrato nella pianta dei piedi- e l’udito.

È una logica della sensazione, si potrebbe dire con il celebre saggio di Deleuze su Bacon. Ma qui, diversamente da quello, che pareva voler rispondere alla domanda “Come rendere visibili le forze invisibili?”, si indaga la possibilità di render più visibile il visibile, o meglio: più percepibile il percepibile. Con i piedi e con le orecchie. Nel sentierino di fianco alla grande casa di pietra che in questi tre giorni ospita il gruppo.

Sensi che si fanno trampolino per la costruzione di immagini e immaginari, che gli artisti di Faber accolgono e rilanciano, maieuticamente.

A proposito di nascite, di attenzioni, di mutazioni: Andante si affaccia agli sguardi altrui, il Laboratorio aiuta a posizionarsi nel luogo della scoperta, del cominciamento.

Sintetizza Gian Luca Favetto, a cena: “Andante sarà sempre in divenire, anche dopo il debutto. Fino all’ultima replica”.

“A quel punto si chiamerà Andato” commentano gli artisti, ridendo.

Poi a letto presto, che domani si ricomincia a lavorare per questa nascita in cammino.

 

Mai fu la nostra vita così piena
di incontri, di arrivederci, di transiti
come quando ci accadeva soltanto
ciò che accade a una cosa o a un animale:
vivevamo la loro come una sorte umana
ed eravamo fino all’orlo colmi di figure.

[ Rainer Maria Rilke, Infanzia, 1907 ]