Lucy, Festival tra arti performative e tecnologia. Conversazione con Ivonne Capece

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Orestea - ph Andrea Macchia

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Dal 2 all’8 dicembre nasce e si sviluppa tra la città di Forlì (Teatro Testori) e Bologna (DAMSLab) l’edizione zero di LUCY | Festival di arti performative e linguaggi della scena contemporanea technologically oriented, ideato dalla Compagnia Sblocco 5 e la direzione artistica di Ivonne Capece e Micol Vighi.

Per chi non conosce il vostro lavoro: quando e come nasce, nel vostro percorso artistico, l’interesse per l’intreccio che il Festival indaga?

Lucy è nato come performance finalista alla Biennale College di Venezia 2021 diretta da Stefano Ricci e Gianni Forte, sezione performance internazionale site-specific under40.

Si trattava di un lavoro complesso con utilizzo di qr-Code tatuati sul corpo della danzatrice, e che una volta attivati dagli spettatori creavano una sinfonia collettiva attraverso le casse di tutti i cellulari che agivano in simultanea.

L’idea era quella di realizzare un rito collettivo a partire dalla prima scoperta scientifica dell’umanità: il controllo del fuoco.

Ma di farlo alla luce del nostro presente tecnologico, con una proiezione fantascientifica e utopica su un mondo in cui gli equilibri tra tecnologia e umanità si riescano a muovere su binari non distruttivi.

Era una performance che univa il passato mitologico della prima umanità (Lucy, madre comune di uomini e scimpanzé) e il futuro dell’essere umano, una narrazione antropologica sulla psicologia dell’uomo e sul suo rapporto con la tecnica e l’evoluzione.

La performance è stata ospitata nello stesso anno presso Teatri di Vita e li si è aperta a nuove suggestioni.

Abbiamo pensato che dovesse dilatare i suoi orizzonti, che non si potesse parlare di storia umana senza racchiudere esperienze e visioni multiple.

Lucy Festival è il tentativo di estendere la nostra ricerca artistica e fonderla con quella di altri artisti, studiosi, scienziati e intellettuali per indagare il rapporto tra essere umano, tecnica, tecnologia, comunicazione e arte.

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ADA

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Tra l’invenzione della ruota e il Deus ex machina del teatro greco (e un milione di altre cose in mezzo) il rapporto tra uomo e tecnologia e tra arte performativa e tecnologia si è da sempre mosso tra due polarità: utilità pratica e creazione di meraviglia. Ciò avverrà anche nell’edizione zero del vostro Festival?

L’edizione 2022 è una preview, una piccola pillola (ma che abbiamo provato a curare con molta attenzione) per presentare noi stessi come artisti (dunque gli ideatori del progetto) e alcuni degli artisti e studiosi che ci accompagneranno nel prossimo triennio.

Ci sono spettacoli veri e propri, ma anche contributi video e omaggi performativi “brevi” con cui gli artisti hanno deciso di presentarsi al pubblico di Lucy, prima dei loro interventi nelle prossime edizioni, è questa la ragione per cui molto spazio sarà dedicato a delle chiacchierate con i partner post-visione dei contributi.

Questa è la componente pratica dell’edizione zero: molto spazio è dato non solo alla sperimentazione, ma alla discussione e all’informazione del pubblico, e anche ad alcuni esperimenti scientifici.

La componente di meraviglia non è esclusa da questo programma, in particolare mi riferisco a spettacoli come Frankenstein, produzione Elsinor in cui in scena ci sono componenti video e olografiche molto potenti e l’utilizzo praticamente unico in Italia dal vivo in scena della Binaural Dummy Head, un sofisticato e costoso microfono a forma di testa umana che cattura il suono a 360 gradi, simulando la ricezione che ne ha la scatola cranica umana, con effetti immersivi e di realismo impressionanti.

Il pubblico in cuffie wireless ascolterà suoni, rumori e voci come se fosse immerso nella scena stessa.

A questo aggiungo gli esperimenti di danza con sensori di movimenti, miranti a decifrare le possibilità di creare scene, luci e musiche che reagiscono e respirano insieme all’artista “sentendolo”.

In programma anche la lettura con ologrammi dell’Otello di Shakespeare e il complesso esperimento di creatività e robotica realizzato dal prof. Matteo Casari dell’Università di Bologna, in cui si sfideranno robot e danzatori a partire da un alfabeto fisico comune ad entrambi e il pubblico valuterà il grado di artisticità fornendo importanti dettagli alla ricerca scientifica.

Non mancheranno interventi video di straordinaria poesia, come quelli creati dagli Anagoor sull’Orestea per la giornata del 3 dicembre e da Massimiliano Briarava l’8 dicembre sulle Metamorfosi di Ovidio, realizzato con adolescenti durante il lockdown.

Ci saranno numerosi ospiti, anche internazionali, come il direttore artistico del progetto europeo Play-On, una rete di grandi teatri internazionali (come Dortmun, York ecc), Università e Festival che condividono esperienze e strumenti sull’utilizzo di tecnologie immersive per la scena. Anche se è una preview ci saranno spunti per sorprenderci.

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Dux pink – ph Luca Del Pia

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A una prima lettura del programma salta agli occhi la strettissima, costitutiva interdipendenza tra le arti della scena e i linguaggi tecnologici. A favore di chi è meno addentro a tale territorio ibrido potete spiegare come funzionerà, ciò che si potrà fruire?

Il festival è diviso in 5 date.

Gli spettacoli per questa preview verranno ospitati dal Teatro Testori di Forlì, partner del progetto, ma a partire dall’edizione 2023 saranno coinvolti teatri di Bologna e altre località dell’Emilia-Romagna e non escludiamo partnership anche con altre regioni.

La prima sera (2 dicembre) sarà dedicata all’inaugurazione e a uno dei pezzi forti del festival: Frankenstein di Mary Shelley, di cui ho parlato sopra.

Uno spettacolo in audio binaurale e video olografici che si ascolta in cuffie wireless.

Agli spettatori verranno consegnate le cuffie prima di accedere al teatro.

Subito dopo una chiacchierata spiegherà il progetto Play-On di cui fa parte e anche il funzionamento di alcuni apparecchi sofisticati, come la famosa Testa Binaurale.

Il 3 dicembre sempre a Forlì sarà un assaggio di 3 performance di 30 min ciascuna: danza con sensori di movimento, Otello in ologrammi e installazione video degli Anagoor.

Tra un intervento e l’altro gli spettatori potranno consumare l’aperitivo offerto dal festival e dai suoi sponsor, e confrontarsi su ciò che hanno visto.

Il 4 dicembre saremo tutti a Bologna al DAMSLab per gli incontri più sperimentali: gli audiodrammi di Altre Velocità e Ilaria Cecchinato (teatro in podcast, cioè ritorno all’ascolto senza visione) nella mattina, e l’esperimento di creatività e robotica di Matteo Casari nel primo pomeriggio, con i danzatori di Carlo Massari e di C&C Company.

Sarà un gioco molto divertente in cui il pubblico voterà ma anche una vera e propria partecipazione ad uno studio scientifico.

Il 7 e l’8 dicembre torniamo a Forli per gli spettacoli più politicamente orientati, con un bellissimo progetto sulla Libia di ErosAntEros: una grafic novel (un fumetto in sostanza) che viaggia su uno schermo viene interpretato dal vivo, da voci e musiche degli artisti.

A seguire il Collettivo ADA, vincitore Premio Pimoff 2020, porterà una breve performance audio-video con musiche della famosa Lady Maru.

La performance tocca un tema di attualità urbana: il complesso rapporto che abbiamo con la città.

L’8 dicembre chiudiamo con il nostro Dux Pink, un lavoro provocatorio che racconta il fascismo attraverso 4 donne: Edda Ciano, Clara Petacci, Margherita Sarfatti e Rachele Mussolini, rispettivamente figlia, amanti e moglie di Benito Mussolini.

Per narrare un momento essenziale della storia italiana fuori dagli stereotipi di genere.

Chiuderà il video di Briarava realizzato con studenti di scuola superiore.

Un progetto toccante nato in lockdown, un modo per raccontare come la tecnologia abbia rappresentato la fuga da una prigione per tanti ragazzi giovani nei difficili anni che abbiamo attraversato.

Finire con un ricordo del lockdown è fondamentale per noi, poiché il boom che la tecnologia ha avuto nel campo della riflessione sull’arte non può che essere il risultato di nuovi orizzonti aperti dopo il trauma dell’isolamento fisico.

Quel che si dice: trasformare il dolore in bellezza.

Alla fine di ogni serata ci sarà spazio per una chiacchierata con gli artisti e nell’ultima sera un saluto speciale da parte di Federico Bellini, drammaturgo, sui progetti di drammaturgia che accompagneranno l’edizione 2023 del festival e una riflessione conclusiva nella quale ci confronteremo – anche insieme a te – sui possibili sviluppi del festival e sul significato del progetto.

Non dimentico di citare un delizioso foodtrack che ci accompagnerà per tutte le giornate di festival e consentirà di mangiare e bere qualcosa tra una visione e l’altra, per non tralasciare una componente conviviale e di festa necessaria a qualsiasi buona condivisione di idee.

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LIBIA – ph Dario Bonazza

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Tra le molte proposizioni ve ne sono alcune in cui il fruitore avrà uno spazio di immaginazione, se non di co-creazione, intenzionalmente voluto? Per dirla con Eco: quali opere aperte si potranno incontrare?

Sicuramente le proposte più sperimentali lasceranno al pubblico grande spazio di connessione: Chasing, danza con sensori di Simone Arganini/Collettivo Cinetico è un esperimento ancora in fase di studio.

Il danzatore cerca di capire se muovendosi col corpo nello spazio riesce a generare reazioni nella musica e nelle luci in scena.

Si tratta di ricerche che aprono allo spettatore una visione “scientifica” della visione teatrale: non un prodotto finito ma la possibilità di assistere a un esperimento tecnico attorno al quale riflettere insieme all’artista. Grandissimo spazio di immaginazione viene lasciato allo spettatore nell’esperimento di audio-dramma o teatro in podcast, curato da Altre Velocità e Cecchinato.

Qui viene chiesto allo spettatore di abbandonare l’ossessione per la visione che ci caratterizza e ritornare a quando non era scontato “vedere” ciò una narrazione suggeriva.

Abbandonarsi al potere evocativo di un’opera che usa il suono come unico tramite, pur non essendo musica o non essendo testo narrato, ma regia a tutti gli effetti.

Infine il pubblico verrà coinvolto direttamente in una delle fasi di ricerca del team di ingegneri del progetto Performing Robot.

Possiamo dire che in questo esperimento i danzatori offriranno il loro corpo alla scienza, ma gli spettatori le loro sensazioni, le loro menti, la loro sensibilità di pubblico: dovranno osservare 10 coreografie (5 robotiche e 5 umane) nate a partire dalle stesse condizioni date.

E rispondere a una serie di domande fondamentali per capire quali sono i principi della creatività e cosa serve perché un atto possa essere percepito come artistico da chi guarda.

All’interno di questo esperimento, lo spettatore assurge ad una funzione simbolica massima: il suo occhio è quello dell’umanità che guarda la creazione e nelle sue reazioni c’è la risposta alla creazione stessa.

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Frankenstein – ph Luca Del Pia

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Un progetto, una paura e un desiderio, per il futuro di Lucy?

Progetto: ingrandire gli orizzonti di Lucy a molte città dell’Emilia-Romagna, a tanti artisti del nostro territorio, trasformarlo in una esperienza artistica trasversale che unisca le forze creative della nostra regione.

Una paura: la diffidenza degli operatori, delle grandi realtà distributive, dei luoghi ufficiali del teatro, degli intellettuali del teatro. Non essere ascoltati e visti nel nostro tentativo di rinnovamento: Lucy parla di innovazione di linguaggi, ma si tratta di una metafora per indicare un’esigenza di rinnovamento estrema soprattutto dei sistemi teatrali e culturali. La volontà di creare forme di aggregazione e circuitazione nuove. La paura è quella di essere ignorati nel nostro bisogno di rinnovamento.

Un desiderio: fare di Lucy la nostra “scoperta del fuoco”. Un appuntamento annuale che possa per alcune settimane trasformare l’Emilia-Romagna in un luogo di incontro tra locale e internazionale, passato e futuro, artisti, scienziati e pubblico, generazioni giovani e adulte, sapere scientifico e umanistico, attraverso il propagarsi dell’uso della tecnologia posto al servizio della sensibilità umana, e non contro di essa.