Consiglio di visione: la danza enciclopedica di Hannes Langolf

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ph © Hugo Glendinnig

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Proseguo l’esperimento di una (per me) nuova modalità di restituzione.

Lo faccio recuperando la funzione che la critica aveva quando nacque, nel Settecento: farsi ponte tra le creazioni e il pubblico.

E, per chi scrive, assumere in sé l’onere del consiglio.

Nessuna analisi specifica, come sono invece solito fare nelle mie scritture: piuttosto mettermi al servizio di qualcuno o qualcosa, a partire da un chiaro apprezzamento e da un esplicito posizionamento (cosa che cerco di non mettere mai in evidenza, nelle mie pubblicazioni più analitiche).

Qui scrivo con arbitraria soggettività, apodittica sintesi, smaccata partigianeria.

Buona lettura, se vi va.

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VERTIGINE DELLA LISTA

Prendo in prestito il titolo del saggio di Umberto Eco per indicare la qualità enciclopedica, programmaticamente estroflessa di How About Now, nuovo spettacolo del coreografo e danzatore tedesco Hannes Langolf presentato ieri sera in prima assoluta al Teatro Bonci di Cesena e in replica domani, domenica 10 marzo alle ore 16 al Teatro Arena del Sole di Bologna, nell’ambito del focus di drammaturgia fisica Carne a cura di Michela Lucenti.

Questa creazione andrebbe presentata in ogni scuola di teatro, di danza o di arti performative, tanto sono espliciti gli elementi costitutivi dell’accadimento scenico, qui offerti alla ricezione della platea con attitudine brechtianamente didattica.

Non è questa la sede per approfondite analisi, ma proverò almeno a nominarne tre.

 

ph © Hugo Glendinnig

 

UNO: RAPPORTO CON LA PAROLA

Basterebbe uscire dagli angusti confini della visione eurocentrica per incontrare forme larghe di arte performativa (un esempio fra mille: i modi del teatro-danza indiano), in cui non vi è netta separazione tra linguaggi.

Sarebbe facile, si potrebbe obiettare, nell’epoca in cui tutto è teoricamente accessibile all’istante.

E invece.

Riprova ne sono le due anziane signore sedute di fianco a me: «Perché parlano? Non c’è la danza, oggi?».

In How About Now vi è un testo a far da trampolino (uso questo temine con accezione grotowskiana): Omobono e gli incendiari di Max Frisch, del ’53.

Un’accorta drammaturgia lo trasduce per quel luogo strambo e radicale che è la scena.

Frasi brevi, dirette, all’apparenza brutalmente monolitiche, in realtà zeppe di colori e sfumature, a creare approssimazioni e allontanamenti, tensioni e rilasci, giochi di forza e di seduzione.

Due Figure le pronunciano con voci piene, consapevoli.

Se penso al panorama coreutico contemporaneo in cui spesso vengon propinati mozziconi di frasi concettualmente fumose con consapevolezza vocalica inesistente, già mi vien da ringraziare.

 

ph © Hugo Glendinnig

 

DUE: COREOGRAFIA GEOMETRICA

La scrittura dei due corpi biologici in scena misura, etimologicamente, lo spazio che abita approssimandosi al naturalismo ma sempre, immediatamente, svicolando di colpo dalle sue trappole.

Senza mai cadere, al contempo, in quelle della «danza danzata».

Linee spezzate, rimbalzi, allungamenti, a suggerire un doppio significante a ciò che verbalmente vien comunicato.

Sideralmente distante da ogni didascalia, qui si ricorda che siamo «punti nello spazio», potrei dire con Merce Cunningham.

O anche «piccoli pieni in mezzo a un grande vuoto», per stare con Samuel Beckett: come due postmoderni Vladimiro ed Estragone, Hannes Langolf e Ed Mitchell semplicemente, radicalmente, ferocemente stanno.

Vivono.

Fanno quello che fanno gli uomini: sbruffoneggiano, prevaricano, seducono. Ma anche a tratti ascoltano profondamente, approssimandosi così a ciò che solo nella poesia si rivela.

 

ph © Hugo Glendinnig

 

TRE: LUOGO-NON LUOGO

La grande scatola trasparente in cui i due corpi-teatro (per dirla con Jean-Luc Nancy) sono immersi è al contempo acquario e lente di ingrandimento: un po’ tiene noi spettatori a distanza di sicurezza un po’ ci e li mette a nudo.

Luci e fumi contribuiscono in maniera determinante a creare un luogo altro e al contempo realistico, con la quarta parete che senza posa si alza e abbassa davanti ai nostri occhi: il costante equilibrio tra svelamento e nascondimento e tra presentazione e rappresentazione mi pare essere la cifra di questo progetto.

Detto altrimenti: un po’ ci si riconosce (proietta?) nell’avventura dell’incontro tra questi due umani da bassofondo, prima estranei e poi peculiarmente amici, un po’ si abita un non-luogo di puri significanti, finalmente liberi da qualsivoglia rispecchiamento autobiografico. Si sta come puri ricettori di segni significanti e significativi.

E questo è un dono.

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Se non bastasse, alle repliche dello spettacolo seguono conversazioni con gli artisti moderate da due esperti di grande pregio: a Cesena Francesca Pedroni, a Bologna Stefano Tomassini.

Info sulla replica di domani a Bologna QUI. Poi non dite che non lo sapevate.

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1 COMMENT

  1. Poteva essere un bell’articolo (l’ho visto è stato un bello spettacolo), ma sono riuscita ad andare poco oltre il “programmaticamente estroflessa”.
    Forse levando tutte quelle frasi come “visione eurocentrica” …

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