Anello Passo della Sambuca – Diacci – Cascata dell’Abbraccio – Ca’ di Vestro – Passo della Sambuca

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Link per consultare il percorso QUI.
Lunghezza: 13,33km.
Tempo complessivo: 4h 24m.
Cicerone: Maria Teresa Castaldi (CAI Imola).

 

Trekking cromoterapeutico 

Oltre ai soliti paesaggi dalla bellezza instancabile degli estremi romagnoli al confine con la Toscana, di questo Giretto mi sono goduto una cosa in particolare: i colori, vivaci in ogni cambio repentino di contesto in cui ti immerge – faggeti, panorami ad ampia visibilità, pareti di sola roccia, torrenti ecc. – e, in ognuno di questi, perfettamente equilibrati nelle diverse tonalità che danno un’insolita energia al luogo.

Questo trekking, effettuato nel periodo nel mese di giugno, si è rivelato un ottimo anello per riconfermarmi la qualità che la cromoterapia naturale può portare alla nostra quotidianità. Certi colori, le loro sfumature dettate da profondità ed ombre di panorami o foreste che si infittiscono, non sono replicabili da schermi o stampe con una risoluzione che ha l’ambizione di affiancarsi alla realtà: per fortuna, quest’ultimi sono tra le poche meraviglie naturali a non essersi piegate ai voleri dell’uomo, e il beneficio del loro impatto visivo rimane intaccato nel tempo. E di valorizzare questo beneficio credo che attualmente ce ne sia bisogno.

Se si paga il pegno richiesto dalla natura per chi ha scelto di vivere in città, ovvero la fatica iniziale di svegliarsi e avviarsi per immergersi nelle sue forme più vere e selvagge (spesso il desiderio c’è, ma la voglia di mettersi in moto meno), questo Giretto nella Valle del Mugello può soddisfare quel bisogno primitivo di cui forse non siamo nemmeno consci, ma il cui effetto influenza le nostre giornate. Possiamo perderci nelle scale cromatiche moderne e digitali, ma non si scappa: il contatto con la natura non ha eguali, e i suoi benefici non sono rimpiazzabili. E sarebbe ora di aumentarne la consapevolezza.

 

 

Partenza dal Parcheggio in direzione Poggio all’Altello 

Il Giretto ha luogo nel Palazzuolese, precisamente nel complesso demaniale Giogo-Casaglia. Arrivati al Passo della Sambuca, poco dopo (precisamente al km 10.8) si trova sulla propria destra un cartello in legno con indicazione “I Diacci”, che attraverso una strada sterrata in discesa ci porta a uno spiazzo dove possiamo parcheggiare l’auto.

Prendiamo il sentiero in leggera salita che ci viene indicato da due pali con cartelli: il primo indicante “Cimone della Bastia”, “Casetta di Tiara”, “Pian dell’Aiara” e Bivacco Ca’ di Cicci”; il secondo invece “Nella Romagna Toscana” e relative ore di cammino per Palazzuolo e Casetta di Tiara. Qui abbiamo un’interessante riferimento su questa zona, la Romagna Toscana, la cui storia non è molto diffusa e che la nostra Cicerone di turno (Maria Teresa Castaldi del CAI di Imola) ci introduce nella sua tesi per l’associazione. Ad ogni modo, oltrepassata la sbarra a inizio della salita, procediamo.

In una breve camminata costeggiante un lato collinare particolarmente rigoglioso di vegetazione, più tonalità di verde prendono già il soppravvento nel panorama visivo e danno quiete ai nostri primi passi. Arriviamo a un bivio, che noi prenderemo sulla sinistra seguendo le indicazioni di un palo verde che fa da spartiacque, e che ci suggerisce di essere sul sentiero CAI 739. Qui comincia l’anello, e il sentiero sulla destra è sempre un tratto del 739 che ci riporterà al parcheggio. Perciò, con le dovute attenzioni, si tratta di un anello che possiamo definire “mono-sentiero” e non difficile in termini di bivi e deviazioni.

Spesso, su internet si trova questo anello indicato da percorrere al contrario di come l’ho affrontato io, ma non c’è da preoccuparsi: i posti sono ugualmente belli sia che si arrivi da sinistra che da destra, così come la fatica. A voi la scelta!

Prendendo il percorso a sinistra del bivio, che unisce il CAI 739 e il Percorso Biodiversità (segnalato in giallo e da qui in poi PB), all’ombra di un faggeto teniamo sempre la destra. Dopo qualche minuto ci troveremo a un bivio del quale prenderemo il sentiero che sale a destra, in direzione di uno spiazzetto nell’altura Poggio all’Altello – raggiungendo i 1.123m – in cui troveremo un tavolino con panche. Attenzione! lungo questo tragitto vedremo il sentiero CAI che, andando a sinistra, si scollega dal PB: noi seguiamo quest’ultimo tenendo sempre la destra, che poi si riunirà al 739 poco più avanti.

Nello spiazzo possiamo fermarci ai tavolini per una pausa e godere di un panorama niente male, in compagnia di una targhetta commemorativa per un certo Francesco che, a quanto pare, ha voluto legare il proprio spirito a questa terra – o ne era tanto innamorato da meritare questa considerazione da chi gli voleva bene. Un dovuto cenno di rispetto e ripartiamo scendendo dalla cima.

 

 

Verso i Diacci

In questa discesa rincontriamo il CAI 739, alla fine della quale vi è un laghetto artificiale: qui proseguiamo sulla destra, con il sentiero che dopo qualche minuto girerà “ad uncino” sulla sinistra, cullandoci in un altro pezzo di sentiero all’ombra di un bosco che in questa stagione ci regala tonalità di verde spettacolari.

Arriviamo a un cancelletto per bestiame che ci pone di fronte a un altro bivio: noi dobbiamo andare a sinistra in direzione Rifugio I Diacci (5-10 minuti circa), famosa struttura locale nella quale (con previo controllo di orari e giorni di apertura), possiamo fermarci trovando sia ristoro che alloggiamento. Una birretta qui è altamente consigliata.

Se avete effettuato una siesta, oltre il Rifugio il percorso prosegue scendendo vertiginosamente verso la Cascata dell’Abbraccio (a un centinaio di metri dal Rifugio, naturalmente in direzione opposta da dove siamo arrivati, troviamo un cartello con le dovute indicazioni).

 

 

La Cascata dell’Abbraccio

Dopo questa discesa, arriviamo finalmente alla protagonista di questo Giretto: la Cascata dell’Abbraccio. Possiamo parlare di un posto straordinariamente insolito: il sentiero ci porta di fronte ad essa attraverso uno stretto slalom tra due grandi massi che coprono la vista sulla cascata a chi arriva dal Rifugio: quasi come un cancello naturale, bisogna oltrepassarlo per essere catapultati in una frazione di secondo di fronte all’ennesimo spettacolo naturale dell’Appennino tosco-romagnolo: la denominazione “dell’Abbraccio” deriva dalla conformazione circolare della parete rocciosa attorno alla cascata, che sembra voglia così abbracciare il salto dell’acqua nella piccola pozza sottostante. La cosa che rende questo posto ancor più affascinante è il sentiero che ci permette di passare dietro alla cascata, e vedere il balzo dell’acqua da una prospettiva insolita e incantevole.

Ho collegato le immagini che si possono trovare su Google dal momento che al mio passaggio l’ho trovata secca. Purtroppo, ultimamente non la si trova spesso con il corso d’acqua all’attivo; fortuna caeca est dicevano, anche se in effetti è consigliabile andarci in autunno o nelle prime settimane primaverili (su un cartello accanto vi è scritto “Attiva Ottobre-Maggio”), e non nel primo periodo estivo come ho fatto io. Prendere nota.

Il sentiero scende ancora e ci porta al Mulino dei Diacci.

Come ci suggerisce la nostra Cicerone Maria Teresa, “in questo mulino, di proprietà privata, macinavano castagne, grano, granoturco. Molto evidente è la gora (canaletta) che convogliava l’acqua verso la ruota ora non presente. Deposti ai lati della casa si trovano dismesse le due macine, quella superiore più liscia e quella inferiore con scalfitture a raggera da cui usciva la farina. Le macine erano tagliate da rocce di provenienza alpina poiché l’arenaria locale non è sufficientemente tenace e tende a sfaldarsi. Qui si ammirano i salti d’acqua del rio Rovigo. E’ il caso di fare attenzione perché le rocce sono lisce ma lo spettacolo dei salti d’acqua incanta e diverte. In alcune pozze si possono trovare i gamberetti di fiume.”

Il luogo merita di essere esplorato nelle decine di metri circostanti; se ci si immedesima abbastanza si può godere di un breve salto nel passato, assaggiando pillole di una quotidianità probabilmente estinta.

Ad ogni modo, tenendoci il fiume di fronte, il percorso continua a destra del Mulino (segue il corso del fiume).

 

 

Arrivo a Ca’ di Vestro

A mio avviso la parte del trekking che ci porta a questa località è quella che rende più giustizia al mio discorso sulla cromoterapia naturale.

La natura che si riprende la scena tra i ruderi prima di Pian di Rovigo, poi di Valcavaliera e infine di Ca’ di Vestro, è meravigliosa. Micro-biomi che hanno altamente ripagato la fatica fatta per arrivare fin qui, e che invogliano sia a prendersi un momento per sé stessi, sia a farsi un paio di domande su quanto ci voglia poco per trovare quella pace che tanto diciamo di voler trovare in un periodo altamente stressante. Facendoci accompagnare dal verde accogliente e avvolgente di questi luoghi, procediamo fino al nostro check-point.

Questi ruderi lasciati alle spalle sono spettri di località tempo fa vissute. A detta di Maria Teresa sono stati “abitati fino ai primi anni del 1960 e in tempi di guerra hanno dato ricovero ai partigiani della 36° brigata Garibaldi”. Le macerie che più ricordano la vita passata sono quelle di Ca’ di Vestro, che presentano due edifici assieme all’oratorio che vi era annesso – informazioni visibili anche su pannelli informativi dell’ANPI.

L’eco di un passato non troppo lontano, ma al tempo stesso sempre più opaco, in questi luoghi riprende voce grazie a una splendida iniziativa: nei pressi dei ruderi sono poste foto recenti di partigiani di quella 36° brigata Garibaldi sopravissuti agli orrori della guerra, le cui pieghe e occhi dei visi scavati dal tempo aggiungono ulteriore solennità a questi siti.

 

 

Direzione Ca’ di Cicci e ritorno al parcheggio

A ricordarci che siamo sulla buona strada, su un rudere di Ca’ di Vestro si può notare un indicazione CAI che fa angolo nella parete con indicati i sentieri 741 e 739. Dopo pochi minuti inizia una faticosa salita che, seguendo il sentiero, ci porterà ad incrociare una strada sterrata.

La strada di ritorno sarebbe sulla destra ma, andando a  sinistra, dopo  circa 300m possiamo trovare il bivacco Ca’ di Cicci, che merita una visita e che si presenta come ultimo luogo ideale per fare una pausa. Terrazza naturale sulla Valle del Rovigo, il rifugio si presta molto bene a esperienze di bivacco – come quella effettuata ai Prati Piani: griglia esterna, posti letto, stufa e tavoli per mangiare. Per chi volesse farci una visita, andare e tornare non è faticoso.

Ad ogni modo, da questo bivio – nella direzione opposta a Ca’ di Cicci – vi è la chiusura dell’anello e del sentiero CAI 739, che ci riporta al palo verde dove all’inizio abbiamo preso il sentiero a sinistra per iniziare questo Giretto.

Poco più avanti vi sarà il parcheggio: se avete passato una settimana grigia, o così è prevista quella successiva, spero tornerete a casa con una carica di colori sufficiente a rendervi grati di poter vivere in questo meraviglioso angolo di mondo, e a ricordarvi che ci vuole veramente poco per ricaricare le pile con qualità totalmente gratuita.

 

 

MAGNÊ

Questo è stato un altro Giretto per cui, visto il tempo a disposizione e altre necessità, ho voluto prediligere l’asporto. Quando si ha come meta un posto come la Cascata dell’Abbraccio, è quasi obbligatoria la scelta di fare pausa pranzo di fronte a certi spettacoli della natura.

Per fortuna, in queste alte zone dell’Appennino, è facile cascare sempre in piedi: chi ci fornisce da mangiare le prelibatezze locali oggi è il Bar di Quadalto, tappa ideale per motociclisti, ciclisti ed escursionisti lungo la strada verso il Passo della Sambuca.

Ogni volta che mi fermo in questo punto di passaggio per il turismo della zona, rimango non solo ammaliato dai prodotti freschi e artigianali che posso comprare, ma anche dall’identità di sano punto di aggregazione per gli amanti delle alte quote che questo bar-alimentari si è costrutito in modo del tutto genuino. Non c’è bisogno di rimarcarlo né con i gestori, né con chi sia di passaggio o cliente fidato, sembra quasi una consapevolezza comune tipica dei luoghi ancora intaccati dalla frenesia urbana e per questo ad oggi rara da trovare.

E mentre ancora una volta mi cullo in quest’idea che mi viene spontanea pensare, scelgo il mio “solito”: piadina – rigorosamente artigianale – all’ortica, con farcitura di pecorino e finocchiona. Matrimonio perfetto per questa zona d’Italia denominata Romagna Toscana, che unisce le eccellenze gastronomiche di due regioni famose per la qualità dei loro prodotti tradizionali.

Sarò ripetitivo ma… Dio grazie per avermi fatto romagnolo.

 

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Sono ragazzo faentino di 25 anni fortemente innamorato della propria terra, la Romagna. Le mie passioni principali sono viaggiare praticando trekking, cucinare e scrivere, ma soprattutto la costante ricerca dello stupore: è proprio quest’ultima mia tendenza ad essere la brace ardente che tiene viva la fiamma delle altre. Tutto ciò si traduce in una vita dinamica – a volte troppo – in cui cerco di voler scoprire sempre di più, di passare ininterrottamente da un’esperienza all’altra; e documentare ciò che scopro, cercando di trovare sempre il miglior modo possibile per esprimere le sensazioni che ho provato.