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Partecipazione, cittadinanza, educazione, sono solo alcuni dei termini che mi vengono in mente quando penso ai perché dei festival, soprattutto quelli più piccoli e periferici che custodiscono un profondo valore di coscienza collettiva.
Un progetto, un’esperienza, che si costruiscono sulla consapevolezza dell’essere nel mondo, esistere per l’altro. E su queste basi sviluppare il senso della cura. Cura del prossimo, cura dei luoghi, cura della comunità.
È con la coscienza della restituzione di uno spazio collettivo, di un’azione culturale democratica che Daniele Giuliani, regista, attore e docente di Pedagogia Teatrale, ha dato vita a Sussulti – Festival di teatro e trasformazione sociale. Il Brillante – Nuovo Teatro Lippi, che ha sede nella periferia fiorentina di Rifredi, ha ospitato ogni domenica di settembre gli appuntamenti teatrali. Ciascuna rappresentazione ha portato in scena spettacoli legati a tematiche quali l’empowerment femminile, la promozione della salute mentale, la costruzione dell’identità. Un’azione sintetizzata già nel nome, Sussulti, che richiama una serie di choc e che ha all’orizzonte un progetto (o un ideale) di trasformazione. Come dunque non pensare alla citazione brechtiana: “Avevo intenzione di applicare al teatro il principio che ciò che conta non è solo interpretare il mondo, ma trasformarlo”.
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L’ANTEPRIMA: GREEN THEATRICAL WALK
A dare il via all’iniziativa fiorentina è stata un’anteprima dal titolo Green Theatrical Walk. Una performance urbana che si è svolta negli spazi adiacenti al Lippi, trasformando questo “non-luogo” periferico in un inaspettato scenario di maschere e recitazioni poetiche, che hanno attirato la curiosità dei residenti. L’happening si poneva anche un obiettivo pratico: ripulire la strada e il parco, coinvolgendo attivamente tutti i partecipanti in un compito di riqualificazione e cura del quartiere. Costumi e poesia hanno suscitato stupore e attesa in questo pubblico inedito e ritrovato. Penso allo spettatore più distratto che forse, nel bel mezzo di una passeggiata abituale, ha visto campeggiare davanti a sé le parole “poesia” e “utopia” tinte di rosso su degli striscioni bianchi mossi dal vento, mentre veniva pronunciato il giuramento di Mariangela Gualtieri: “Giuro che io salverò la delicatezza mia, la delicatezza del poco e del niente”.
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GLI SPETTACOLI IN CARTELLONE
Il primo spettacolo ad andare in scena in occasione del Festival è stato Nessun Elenco di Cose Storte a cura del Laboratorio Nove di Firenze. Sandra Garuglieri è stata l’interprete di un denso monologo che ha toccato corde profonde, come il senso e il valore della vita, riflettendo su una tematica di grande attualità quale la crisi dei migranti nel Mediterraneo. L’attrice, attraverso un’esibizione che ha mescolato elementi di stand-up comedy e dramma, ha assunto il ruolo di un medico legale alle prese con il corpo senza vita di uno sconosciuto. Che fare di quel corpo senza identità e che non si sa a chi restituire?
Il 15 settembre Daniele Giuliani ha indossato i suoi panni di attore portando sul palco il consolidato spettacolo Memorie dal reparto n.6, liberamente tratto dal racconto di Anton Checov.
Prodotto dal Teatro Nucleo di Ferrara con la regia di Cora Herrendorf e Horacio Czertok, lo spettacolo è essenzialmente un racconto di vite. Vite di esclusione e di manicomio: problematiche, cariche di drammi, eppure uniche e umane.
L’interpretazione è originale e densa di immagini e suggestioni, alcune delle quali estremamente vicine alla quotidianità, come l’uomo che incontriamo per strada e che, mangiandosi un po’ le parole, chiede: “Ce l’hai una sigaretta?”. È forse proprio questo personaggio a metterci di fronte al nostro rapporto con i pazienti dei centri di salute mentale. Come rispondiamo a questa richiesta? Cosa pensiamo in quel momento? Ci soffermiamo mai a interrogarci su chi abbiamo davvero di fronte? D’altronde, il teatro questo vuole: sollevare domande, lasciare spazio alla riflessione, offrire uno sguardo diverso, più attento e meno distratto, sulle cose.
Fole. Il soldato e la rosa è stato il terzo spettacolo della rassegna: una messa in scena dedicata a Elsa Morante. La scrittrice è stata ritratta attraverso una drammaturgia onirica e poetica, caratterizzata da una tensione verso l’allucinazione, che diventa metafora della sua stessa scrittura. L’interpretazione delicata di Antonella de Francesco e la regia di Lina della Rocca del Teatro Ridotto di Bologna hanno portato a Firenze un omaggio alla prima donna vincitrice del Premio Strega.
Il festival si è concluso con la rappresentazione di Dalser. La Mussolina. In scena è andata la vita di Ida Dalser, compagna di un giovane Benito Mussolini e rinchiusa in un manicomio, in quanto “scomoda”, dopo l’ascesa al potere di quest’ultimo. Uno spettacolo che ha unito teatro, storia e riflessione sui ruoli di genere, lasciando spazio a un dibattito che ha coinvolto il pubblico su fascismo, donne e stereotipi, e che ha visto la partecipazione della stessa regista e attrice Michela Embriaco del Multiversoteatro di Trento.
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LA PERFORMANCE URBANA: IL LABORATORIO DI NATASHA CZERTOK
Ma non solo spettacoli: come già accaduto nell’anteprima, l’arte è uscita dai confini del Brillante per cercare il pubblico, rendendo il quartiere stesso parte dell’iniziativa. Negli ultimi tre giorni del festival, Natasha Czertok del Teatro Nucleo di Ferrara ha condotto un laboratorio di performance urbana che ha animato gli spazi circostanti il teatro. Le rappresentazioni si sono intrecciate nella vita di quartiere, interrompendo la routine quotidiana e convertendo luoghi familiari in inaspettati scenari artistici. Gli attori hanno portato la loro espressività direttamente tra le persone, generando momenti di interazione spontanea e immediata. Un esempio eloquente è stato offerto da un gruppo di bambini che, invece di giocare normalmente nel parco, è stato catturato dall’energia dello spettacolo, partecipando con curiosità ed entusiasmo. Un coinvolgimento spontaneo che ha alimentato la fiducia nell’azione artistica, restituendo concretezza alle esperienze condivise e alimentando la speranza di lasciare un segno costruttivo e immaginativo nelle vite dei partecipanti, soprattutto dei più giovani.
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LA SPERANZA COME ATTO CREATIVO
Sussulti è un festival piccolo e ambizioso, nella sua ricchezza di significati e di entusiasmo. Scegliere gli spazi periferici vuol dire creare nuove identità attraverso pratiche culturali e di riqualificazione territoriale. Zygmunt Bauman definisce questo processo come un continuo bilanciamento tra la dimensione individuale della costruzione dell’io e quella collettiva della partecipazione alla vita pubblica.
In questo senso, festival come Sussulti diventano luoghi di confronto e di sperimentazione, spazi aperti alla riflessione critica sulle contraddizioni della nostra epoca. È attraverso questi eventi che possiamo sviluppare le nostre capacità, le cosiddette “capabilities” teorizzate da Amartya Sen e Martha Nussbaum e contribuiamo alla costruzione di comunità più coese e inclusive.
Quale germoglio dietro questo impegnato agito? Passione e speranza. “La speranza è qualcosa che ci porta al di fuori di quello che accade in questo momento, in questo nostro discorso, la speranza vive nel futuro”, afferma Eugenio Borgna, speranza irrinunciabile per chi si offre al pubblico con l’intento di lasciare anche solo un punto interrogativo. Una domanda che possa diventare leva di un cambiamento più profondo e condiviso, una luce capace di illuminare anche quello che ignoriamo, il più delle volte volontariamente.
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PAOLA CELLAMARE
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