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Santarcangelo Festival, tre atti per la 50° edizione

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Santarcangelo Festival 2050: Futuro Fantastico è il titolo della nuova nonché cinquantesima edizione di Santarcangelo Festival, che giustifica così la natura del nome scelto come l’unione dell’anno 2020 con il traguardo del numero di edizioni raggiunto. Un festival che, fin dalla sua nascita, esalta la riflessione sul rapporto tra arte e dimensione pubblica e che quest’anno più che mai si preparava a sottolineare l’importanza di questo rapporto fisico. La pandemia ha imposto un cambiamento, costringendo il Festival a dividersi in tre atti, in un programma della durata totale di 12 mesi a partire da luglio 2020 per arrivare a luglio 2021.

Il primo atto sarà dal 15 al 19 luglio, misure restrittive permettendo, e si articola in un programma che vede gli artisti impegnanti a ripensare le proprie opere in funzione delle nuove modalità di fruizione degli spazi pubblici all’aperto. Contenuti inediti occuperanno la radura di Imbosco all’Area Campana fino a Piazza Ganganelli allo Sferisterio, proponendo una riflessione sul nostro passato, presente e futuro. La limitata fruizione dal vivo, necessaria per rispondere alla direttive, sarà in qualche modo compensata con una serie di soluzioni online che permetteranno agli spettatori impossibilitati a partecipare in presenza di assistere in differita ad alcuni degli appuntamenti e accedere a contenuti aggiuntivi.

Winter is coming è il titolo del secondo atto che prenderà il via nell’inverno 2020/2021: in questa occasione il Teatro Il Lavatoio ospiterà le nuove creazioni di numerose registe e coreografe italiane emergenti, messe in dialogo tra di loro e con il pubblico non solo attraverso gli spettacoli ma anche attraverso una residenza artistica che le vedrà presenti in città nei prossimi mesi.

Infine, il terzo atto aprirà le porte al contesto internazionale a cui si è dovuto rinunciare fino a questo momento: luglio 2021 vedrà arrivare a Santarcangelo alcune delle più interessanti creazioni del panorama mondiale delle performing arts, posticipando a questo momento le creazioni che quest’estate non potranno essere realizzate. Un’anteprima in merito ai progetti vede tra le protagonisti Lia Rodrigues, con uno speciale focus sulle sue opere e su quelle di altri artisti provenienti dal Sud America; il progetto di live cinema che coinvolge diversi registi internazionali; la piattaforma A School with a view dedicata alle esperienze di formazione in ambito performativo, che vede coinvolte alcune importanti istituzioni artistiche internazionali.

info: santarcangelofestival.com, info@santarcangelofestival.com, 0541.626185

Tu Quoco Figlio Mio: le crespelle

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Oggi Maria Pia Timo e Andrea si cimentano nella preparazione delle crespelle.

Ingredienti (per 3 persone)

3 uova
250 g di ricotta
Parmigiano
Besciamella
Ragù
Noce moscata
125 g di farina
350 g di latte

Conversazione 5: Federico, potere digitale e virus. Parte 2

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Seconda parte della conversazione su potere digitale e virus con Federico, fondatore (e per 10 anni direttore) di WuBook, compagnia italiana di peso internazionale in ambito travel, leader nella creazione di software per il settore dell’ospitalità.

1) Mi rendo conto che chiederlo a uno che fa il tuo mestiere possa sembrare una provocazione, ma può esistere una cultura europea, a maggior ragione mediterranea, senza una agorà fisica, senza un contatto fisico? In certi settori la non-presenza fisica è ormai lo standard, ma qui si è cominciato a parlare in un mese, di colpo, di telelavoro, scuola a distanza, parenti salutati dall’Ipad etc. Esiste un limite, di esperienza umana, al concetto di distanza dei corpi?

“Non sono sicuro che abbia senso parlare di limiti. O di tentare di individuare basi filosoficamente scientifiche per una buona socialità. Sono convinto che le relazioni “politiche” (nel senso aristotelico del termine, uomo come Animale Politico) siano definibili soltanto all’interno di un contesto storico. Cambiano. Sono soggette al tempo e allo spazio. Spesso il valore etico che vorremmo assegnare a certe condotte è solo sintomo di un conflitto. Un esempio su tutti: le critiche delle old generations nei confronti dei paradigmi culturali delle nuove. Quando un anziano (o un adulto) inizia su questo tono, spesso tradisce solo una debolezza: quella del proprio invecchiamento. Il dramma di vedere il proprio mondo, quello che ci ha formato, sull’orlo del precipizio della scomparsa. Una scomparsa continua e imperterrita. Endemica del divenire storico. Nel nostro caso, l’emergenza Covid, dobbiamo fare attenzione a non stigmatizzare l’etica del mezzo. Dobbiamo invece concentrarci su due aspetti: quello dell’imposizione e quello del controllo. Attacchiamo il primo e parliamo di “distanziamento sociale”. L’utilizzo delle tecnologie, quando illuminato da questo cono di luce, deve subito incontrare un severo presidio: non parliamo di moralità del mezzo. Piuttosto, parliamo della sua imposizione. Nel merito e nel metodo. Come genitori abbiamo ricevuto documenti da firmare (persino con una certa urgenza) per rendere possibili le lezioni a distanza dei propri figli. Erano documenti relativi alla tutela della privacy. E prima ancora di poterne discutere, prima ancora di poterli firmare, le mie figlie erano già state iscritte (con tanto di dati personali) a Google. Google fornisce infatti il servizio Classroom, realizzato proprio per fornire servizi di tele lezione al sistema scolastico. E il sistema scolastico ha velocemente adottato tre piattaforme: Google, Microsoft e Amazon. E dopo l’aspetto impositivo, qui si innesta il secondo: quello del controllo. Non c’è niente di immorale in una videochat. C’è un pericolo enorme, invece, nel consegnarci alle Big Tech. La mia opinione è poco rara, ma forse ripetibile. Queste piattaforme saranno presto alla base di un tecno controllo che Orwell non poteva immaginare. I milioni di quei vanitosi selfie, scattati e messi in circolazione con entusiasmo, sono l’esempio più calzante di come gli utenti stessi diano la propria collaborazione a questo prossimo esercizio: presto, il riconoscimento facciale sarà una realtà in molti paesi. In alcuni lo è già. Io invito chiunque a desistere sull’aspetto etico dei mezzi. Piuttosto, è urgente occuparsene da un punto di vista politico. Esercitando una maggiore auto-disciplina. Imponendoci una maggiore avarizia nell’utilizzare certe tecnologie. Comprendendo profondamente quanto le BigTech possano diventare il peggiore incubo delle prossime generazioni. Un collegamento sociologico (ai limiti dell’etico) tuttavia esiste. Provo a renderlo con una domanda. Come è stato possibile che il silenzio, la propria intimità, sia diventata meno interessante del rumore di fondo? Intendo quel rumore di fondo dei nostri dispositivi. Un rumore di fondo fatto di bip. Come i messaggi di uno stalker. Uno Stalker anonimo. Che continuamente ci tensiona per leggere il prossimo ed ennesimo junk content”.

 

2) Epilogo forse scontato. Realisticamente come vedi il ritorno in pista dopo questa scossa? Ci può essere in relativa “normalità”, con quali accorgimenti e con quali strategie? E con quali tempi.

“Tiro un po’ le fila del discorso. Hai ragione nel dire che questa risposta è deduzione delle precedenti. Non penso che l’emergenza Covid abbia cambiato le carte in tavola. Penso le abbia rese più nude, più visibili. Non sono neanche sicuro che le abbia accelerate. La follia del controllo, oggi adoperato su basi tecnologiche, è alla base della nostra società già da parecchi anni. La legge sui seggiolini anti abbandono è già sintono della sete di un potere capillare che i governi moderni bramano sopra ogni cosa. Non parliamo della fatturazione elettronica, pretestualmente organizzata per contrastare l’evasione, ai fatti perfetta per l’esercizio delle vessazioni fiscali. Non ci sarà quindi alcun ritorno. Eravamo di già dentro a quei problemi che ho tentato di descrivere. Se invece, con il termine “ritorno alla normalità”, intendiamo quel momento in cui il discorso pubblico abbandonerà l’oggetto Covid, non è da escludere che tutto sarà come prima. Forse sarà tanto facile uscirne quanto inquietante e veloce sia stato l’ingresso. Con un discorso di pochi minuti, diffuso sulle TV, ci siamo saputi incarcerati. Nel giro di una serata, è stato regime di polizia (ed esercito!). Magari il ritorno sarà meno scenico e drastico: a tempo debito, quando l’oggetto Covid perderà il suo potere, l’apparizione delle belle vallette e degli eroici giocatori di calcio avverrà con la naturalezza dello showbiz. Senza rendercene conto, saremo di nuovo dove eravamo soliti abitare”.

Tu Quoco, Figlio Mio: pasta e fave

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Nuova puntata di Tu Quoco, Figlio Mio. Ricetta del giorno: pasta e fave.

Ingredienti (per 3 persone)

2 kg di fave fresche (o 200 gr di secche)
Mezza cipolla
Olio
Sale
Pepe
250 g di semola

Tu Quoco Figlio Mio: i lintorci al ragù di braciolette

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Oggi, con Maria Pia Timo e Andrea cuciniamo i lintorci al ragù di braciolette.

Ingredienti (per 3 persone)

400 g di bistecche di manzo
300 g di salsiccia
Prezzemolo
Uvetta
Sale
Pepe
Basilico
Salsa di pomodoro
250 g di semola

Erbario delle consolazioni #3 > Fico d’India_Opuntia ficus-indica. Sul valore di perdere l’integrità

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Breve trattazione su come scorgere il movimento che rimandano le cose ferme.

Esistono grandi biografie. E altre piccolissime, stanziali, destinate a rimane nascoste sui davanzali, sulle ringhiere dei balconi, sulle mensole del soggiorno. Come la pietra nel fiume, che racconta la storia dell’acqua che l’ha modellata, dei fenomeni atmosferici che l’hanno movimentata e dei pesci che l’hanno sfiorata, ci sono elementi che ci circondano sui quali le nostre vite rimangono impresse come diari da sfogliare nei momenti di smemoratezza, come oracoli da consultare affinché ci indichino la via nei momenti oscuri. Questi elementi, di consolazione e resurrezione, vegetali e geografici, possono essere definiti piante.

Fico d’India_Opuntia ficus-indica
Sul valore di perdere l’integrità.

C’era una persona di cui mi fidavo. Giocavamo nella stessa squadra, e insieme siamo riuscite a migliorare una piccola parte di mondo. Abbiamo discusso, elaborato strategie, lavorato per il raggiungimento di obiettivi comuni. Con lei mi sentivo più forte, ed il solo fatto di averla come alleata mi spronava ad essere migliore, a non mollare. Lei partì per un viaggio al Sud, e una volta tornata vidi una composizione di tazze colorate sui davanzali delle sue finestre. Da ogni tazza spuntava una testa verde, e quella partitura di organico ed inorganico rese più appassionati anche i miei affacci. Mi donò due tazze, dentro due pale di Fico d’India immerse in acqua e un nuovo progetto condiviso: “quando spunteranno le radici, le potrai piantare”. Pale lisce come la pelle di un infante.

Attesi. Spuntarono le radici. Le piantai. Ben presto il vaso fu troppo piccolo. Le pale si riempirono di zone circolari dense di microscopiche spine. Nessun guanto seppe difendermi durante le operazioni di rinvaso. Le dita, le mani, i polsi, si riempivano di microscopiche spine che pazientemente dovevo ricercare e togliere con le pinzette. Microscopici e reiterati attentati all’integrità dell’epidermide. Un nuovo progetto che aveva il sapore di un’azione di guerra.

Cosa successe alla mia alleata? Come era arrivata, se ne andò. Senza spiegazioni e senza avviso, lasciandomi la custodia di una pericolosa eredità. Ho imparato a maneggiare il Fico d’India, che oggi cresce rigoglioso e resiste all’inverno. Capita ancora, a volte, di trovare una spina, perché ci sono assalti contro i quali non si può essere preparati, e l’invasore non si ritira senza lasciare sul campo almeno qualche ferito. Una cosa però è certa. I miei davanzali ne hanno guadagnato. Anche a costo di qualche buco nella pelle.

scrittura ELENA SORBI
disegno ALICE SCARTAPACCHIO

 

Assonanza: Henry David Thoreau, Walden ovvero Vita nei boschi
https://it.wikipedia.org/wiki/Walden_ovvero_Vita_nei_boschi

 

Ritorno al teatro

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Lenz Teatro, Majakovskij, Parma

“Breve è la vita e lunga è l’arte”.

Costretti a ripensarci in una nuova dimensione, in proiezioni nemmeno troppo vicine, presumibilmente lontane – uno, due anni? -, a riconsiderare il lavoro fin qui fatto e come fare quello di domani, il senso nuovo e la funzione de facto, privata e sociale, comunitaria nell’accezione più vera, agire insieme. Come si può “insieme” se costretti a non toccarci, non respirarci, non incorporarci.

Chi preferisce il silenzio, la chiusura pensando alla riapertura, chi continua a comunicare tramite sembianze, forme incorporee, immagini, chi è tormentato dalla diminuzione drastica di posti a sedere (le grandi strutture), dall’abbandono di abbonati restii a ritornare se non in totale sicurezza (anche se il teatro dovrebbe essere luogo tutt’altro che rassicurante), pur se distanti dall’azione scenica, pur se al riparo – seduti in poltrona – dalla catarsi liberatoria dai propri traumi e conflitti. Paradossalmente, le restrizioni ricadono di più sui grandi spazi teatrali a visione frontale che non sui piccoli spazi di ricerca e sperimentazione più abituati a disposizioni dinamiche di spettatori e forme di rappresentazione.

Lo Stato, la Struttura, faticano a sostenere la velocità del mutamento in corso e propongono soluzioni temporanee a tampone. Mentre la nuova Legge 175, che attendeva ancor prima i decreti attuativi e alcuni ripensamenti, si teme che sia ormai obsoleta nell’impianto, rispetto alle conseguenze della tempesta sanitaria ancora in corso.

Perciò, pragmaticamente, rimane come prima ipotesi realistica la presa in esame della complessa casistica proposta dal documento AGIS del 27 aprile 2020. Anche se pensato per i grandi teatri, le grandi orchestre e i grandi eventi può essere poi riconsiderata per realtà più piccole, complesse e dinamiche come la nostra.

Lenz Teatro, a norma di legge per 99 spettatori, replica diverse serate le proprie creazioni per una fruizione più ampia e, in site-specific, rivolge la propria proposta artistica ad un pubblico ben più numeroso e in proporzione alla capienza di spazi molto diversi, nei quali realizza le installazioni.
Ci pare, anche se pensata in grande, la prima griglia concreta sulla quale riflettere e provare ad immaginare nuove dislocazioni, nuove architetture, nuove relazioni.

Se poi consideriamo che da oltre dieci anni le produzioni di Lenz Fondazione vengono rappresentate in spazi monumentali (Duomo di Parma, Complesso Monumentale della Pilotta di Parma, Ex-Ospedale vecchio, ex-carcere napoleonico di San Francesco del Prato), storici e artistici (Palazzo del Comune, Palazzo Ducale, Reggia di Colorno, Rocca di San Secondo, il Museo Guatelli, la Villetta cimitero di Parma), spazi architettonici contemporanei (Ponte Nord, il Tempio di Valera, lo stesso Lenz Teatro) le diverse questioni relative alla gestione – in questo caso per emergenza sanitaria – del pubblico e degli spazi della partecipazione ci hanno sempre accompagnato.

Gli spettatori itineranti, interni alla scena, in piedi o seduti su seggiolini richiudibili e portatili, a distanza ravvicinata con l’azione teatrale o coreografica sono forme differenti di disposizione nello spazio scenico. Così come tante altre realtà produttive e festival fanno da tempo.
Perciò le limitazioni derivanti dalle disposizioni per l’emergenza sanitaria sono, in parte, regole che non ci colgono alla sprovvista. Dobbiamo però riconsiderarle alla luce del nuovo stato di cose.

Certo sono imposizioni emergenziali necessarie, utili soprattutto a ritornare a casa, nella nostra casa di lavoro – che sia in campo aperto o nella cavità semicircolare di un’abside – oppure in altro luogo, da abitare poeticamente per un tempo definito. Oppure a Lenz.

Ritornare nella grande sala senza tempo e piena di echi – Sala Majakovskij – di Lenz Teatro, secondo nuove modalità, vestizioni – mascherine per gli spettatori, igienizzanti, distanziamento, prenotazioni e biglietteria solo online, misurazione temperatura corporea, regole per le prove con attori, musicisti e tecnici e tutto quanto sarà necessario per consentire ad ognuno di esprimere la propria libertà artistica, nella massima sicurezza possibile.

“Breve è la vita e lunga è l’arte_”

(da HÖLDERLIN FOSCOLO, mise-en-son di sonetti e liriche di Friedrich Hölderlin e Ugo Foscolo. Scrittura musicale di Carla Delfrate. Lenz Teatro, 23 novembre 1993)

aprile 2020

Francesco Pititto
Lenz Fondazione

info: lenzfondazione.it

‘SI VIVE UNA VOLTA SOLA’ LA NUOVA COMMEDIA DI CARLO VERDONE

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SVUVS-[KeyArt]-Locandina

Il cinema ci da appuntamento con “Si vive una volta sola” l’ultimo film di Carlo Verdone che in anteprima ci racconta, insieme al suo cast, la commedia che prossimamente animerà le sale di tutta Italia.
Si vive una volta sola, una commedia tutta italiana che in qualche modo rappresenta le sfumature, più o meno caricaturali, di molti di noi, se poi a raccoltarcela sono i protagonisti, il sapore cambia e tutto prende gusto perchè in fondo un pochino ci si riconosce.

Con noi i protagonisti, entrano nel vivo del film e raccontano il dietro le quinte e la personale esperienza.
Per Carlo Verdone è il suo ventisettesimo film, oltre 40 anni di carriera dal suo primo “Un sacco bello”. E’ un bel traguardo. Si considera un “attore molto longevo grazie al fisico forte e pieno di energie ma soprattutto perché sempre pieno di stupore verso una società che è cambiata negli usi, costumi, nel gergo, mode, vuoti pneumatici, mitomanie, megalomanie, crisi sentimentali“, dice lui.
Ha raccontato alcuni decenni alla sua maniera, partendo sempre da un dettaglio per poi risalire al personaggio. Dal 2000 in poi cambia rotta e inizia a pensare a dei soggetti ai quali adatta i personaggi, personaggi normali e non più caratterizzati come i precedenti.

SVUVS- Cast_ph. Lara Congiu

Nel film la troviamo nella triplice veste di regista, sceneggiatore e attore
«Dopo aver lavorato, negli ultimi film, in coppia con un’attrice o con un attore – ci confida – mi è venuto il desiderio di fare un film di stampo corale e di misurarmi con dei colleghi con cui non ha mai lavorato e che stimo. Tant’è – prosegue – quando iniziai a scrivere la prima parte del soggetto, già con Giovanni Veronesi e Pasquale Plastino – i coosceneggiatori – si cominciava a pensare a chi poteva impersonare la strumentista, chi il secondo aiuto del primario e chi l’anestesista e i nomi erano esattamente questi, però c’era sempre il dubbio: “potranno, saranno liberi?“. La fortuna ha voluto che lo fossero e così con gli sceneggiatori gli abbiamo cucito addosso il personaggio, sapendo che Anna era Anna, Rocco era Rocco e che Max sarebbe stato Max. Diciamo che abbiamo creato un po’ sulle loro caratteristiche».

“Si vive una volta sola” è molto più di un film?
«Personalmente ritengo che questo sia uno dei miei migliori film dal punto di vista della regia. Non mi espongo mai – precisa Verdone -, ma francamente ho già fatto due proiezioni in due città molto importanti, Torino e Milano, il film l’hanno già visto in quasi 2000 persone e mi sembra di aver avuto un riscontro molto incoraggiante. Anche io rivedendolo ho avuto la sensazione che fosse una buona commedia, poi ovviamente sarà il pubblico pagante ad essere il giudice supremo, la mia è una sensazione, però per me resterà uno dei film ai quali sarò più legato per tanti motivi».

Ce ne puoi dire uno?
«Perchè mi sono trovato benissimo con loro? Anche – risponde -, sicuramente è perchè è nata un’amicizia fuori dal set che continua ancora oggi, è stato veramente un cast meraviglioso. Credo di aver, insieme a loro, interpretato al meglio quello che dovevamo fare – prosegue -, di più non potevamo fare, è stato un film che è andato veramente liscio, non ci siamo quasi accorti di averlo girato, perchè tale era il feeling tra di noi e tutti erano perfetti nel ruolo che non ho fatto altro che esaltare una volta Anna, una volta Max e così per Rocco, su delle intuizioni che poi abbiamo concordato. E’ stato un lavoro veramente molto bello. Prima di iniziare a girare avevo tanta paura – ci confida -, perchè è un film molto delicato, ci voleva poco a sbagliarlo bisognava essere molto concentrati ed avere un altissimo senso della misura, un grande senso dell’equilibrio, che alla fine abbiamo avuto tutti quanti, e questo ci ha aiutati anche a correre con le riprese, la prima era buona, avevamo una seconda ma la prima era sempre meglio. Andavamo proprio d’istinto. Ci sono state molte improvvisazioni e quando c’è l’improvvisazione vuol dire che il film ti sta piacendo, ti stai divertendo, stai dentro e ti puoi anche permettere delle variazioni che ovviamente sono sempre del tema».

Un film “nuovo” anche sotto l’aspetto musicale
«Qua non ci sono pezzi di repertorio – sottolinea Verdone – ha fatto tutto il compositore, era un film che necessitava della musica di un compositore. Non aveva alcun senso prendere un brano di repertorio come spesso accade nei film. Qua no, qua il musicista doveva soltanto sottolineare alcune scene, alcune sequenze e dargli un’idea di insieme, creare un bel clima che accompagnasse il film dall’inizio sino alla fine».

SVUVS_4luglio_ph. Giuseppe Di Viesto

La location va oltre i confini del Lazio
«Si, la storia prevedeva una regione che non fosse il Lazio, uscire da Roma per me è molto importante, perchè ogni qualvolta che esco fuori dalla mia città riesco a trovare una vitalità nuova, una verve nuova che dispone dei colori, delle atmosfere. Anche gli stessi generici, le comparse sono diverse – prosegue Verdone -, quindi anche io mi pongo in maniera diversa come regista ma anche come attore, spostarsi di luogo ti porta a recitare anche in una maniera diversa. Il film l’abbiamo girato tutto quanto in Puglia tra Bari, Monopoli, Polignano, Otranto e Castro, le parti romane invece sono state girate a Bari negli interni delle case, mentre le esterne le ho girate poi a Roma in tre giorni. Nel complesso è stata una bella esperienza, ho avuto una splendida collaborazione con tutta la produzione locale».

Qualche anticipazione?
«La storia del film la conoscete, è la storia di un’equipe chirurgica, tra di loro sono molto amici, lavorano da tanto tempo insieme, sono stimati e soprattutto godono di una grande considerazione, tant’è che anche il Vaticano si rivolge a loro. Però tanto sono bravi e talentuosi nel lavoro, quanto sono soli e pieni di problemi nella vita privata, e quindi c’è chi ha problemi con la moglie, nella relazione con i figli, chi invece economici, insomma c’è un velo di malinconica solitudine che li unisce. Lei – prosegue riferendosi ad Anna Foglietta – di fondo non avrebbe problemi però sbaglia tutti gli amori che incontra, ha degli ideali, crede di aver trovato l’uomo giusto e puntualmente prende la fregatura, nonostante nel film sia una donna molto forte, dinamica e un po’ maschiaccia».
Carlo si ferma, non va oltre e preannuncia colpi di scena nella seconda parte del film «Ci sarà un viaggio, un po’ costretto un po’ meritato. E’ il cuore del film, dove si toccano tante temperture della commedia, dalla rottura dell’amicizia alla sua ripresa, dall’aprirsi in maniera violenta, all’accusare l’altro di cose che non si sapevano».

SVUVS_28giugno_ph. Giuseppe Di Viesto

Andiamo avanti con Anna Foglietta, anche lei presenta il suo personaggio e speriamo di scoprire qualcosa di più…
«Interpreto una strumentista – esordisce Anna – e come ha detto Carlo siamo molto professionali sul lavoro, siamo estremamente affiatati, siamo a tutti gli effetti un quartetto, amiamo fare scherzi anche per disinnescare un po’ la parte più complessa e faticosa della nostra professione, comunque lavoriamo sempre a contatto con corpi ‘aperti’, malattie e dolore, e dunque abbiamo bisogno di trovare in qualche modo ossigeno e momenti di pausa da tutta questa tensione, per cui siamo piuttosto inclini allo scherzo a volte a scapito dell’uno altre a scapito dell’altro».

Carlo ha descritto il suo personaggio come “una donna molto forte, dinamica e un po’ maschiaccia”. E’ così?
«Apparentemente è una donna molto risolta e riesce a stare al passo con questi uomini. In realtà – prosegue la Foglietta – nella vita sentimentale è affetta da quella che tutti noi conosciamo come la ‘sindrome della crocerossina’, pensiamo di poter sopportare tutto, che i difetti degli uomini non sono un problema, invece alla fine ci si rende conto che diventa sempre un’arma a doppio taglio perchè quell’apparente inclinazione alla sopportazione e all’accoglienza, che tutte noi abbiamo, diventa un boomerang che ci arriva sempre in fronte e ci segna indelebilmente. Quindi lei dopo l’ennesima delusione decide di partire con loro per comprendere davvero cosa in fondo si meriterebbe. Il viaggio così diventa anche una sorta di autoanalisi spassosa ma anche introspettiva. Il film è sorprendente – continua -, ha tanti livelli poi ognuno ci troverà quello che più gradisce anche della propria vita e della propria esperienza».

La sua reazione quando Carlo l’ha chiamata?
«Sono nata nel 1979 – attacca Anna Foglietta – e nel 1980 usciva “Un sacco bello”, da quando avevo 13 anni a ieri vedo, a ritmi cadenzati, i film di Carlo, e li vedono i miei figli. Ai tempi del liceo con i compagni di scuola parlavamo sempre citando le frasi di Carlo. Quindi quando Carlo mi ha chiamato per fare il film non nego che ho provato una grande felicità e gioia perchè in quel momento ho realizzato che avrei lavorato con un grande regista, autore e attore che unisce tutta l’Italia».

SVUVS_GDV_ ph. Giuseppe Di Viesto

Esordisce scherzosamente Rocco Papaleo «Il mio personaggio è facile a dirlo, è il sex simbol del gruppo, sono un po’ la vittima degli scherzi feroci di questa equipe che ha la necessità di sfogare le tensioni accumulate in sala operatoria. Lui, il mio personaggio, è una persona buona, pacifica che sta agli scherzi finchè non diventano troppo pesanti ed allora reagisce».
E’ breve nel suo intervento «Non amo svelare i dettagli – prosegue Papaleo – perchè il film diventa interessante immediatamente sin dalle prime battute e quindi parlerò in generale dell’atmosfera che si è respirata sul set, di questo idillio – ‘mi secca anche ammetterlo’ aggiunge con la sua ironia – che c’è stato tra di noi. C’era una familiarità e un’umanità che sprizzava da tutti i nostri pori, non c’era quasi stacco tra il parlare prima della scena a quando si entrava nella scena, sembrava non ci fosse soluzione di continuità tra la nostra vita vera e quella di recita e questa cosa mi ha piacevolmente sorpreso, e devo dire che grazie a tutti noi abbiamo trovato il sound per rappresentare questa storia che già in partenza era molto allettante, il copione era molto bello e spero tanto di averlo reso per quello che meritava».
Conclude e ci saluta con un «Adoro Bologna».

«Tremendamente cinico è invece il mio personaggio – così Max Tortora descrive il suo ruolo – è un personaggio davvero bello, anche perchè è fuori dai soliti canoni che solitamente mi capitano e che mi fanno capitare. Perchè questo personaggio, seppur simpatico, è tremendamente cinico, forse anche inconsapevolmente cinico. Quando architetta gli scherzi – continua Tortora – lo fa con spirito giocoso, tanto per passare il tempo ma poi a lungo andare questi fanno anche del male, ma lui non lo fa con dolo, lo fa e neanche ci pensa. E’ quello che approfitta del suo ruolo – precisa Tortora -, si subalterna al primario ma comunque è uno importante, gira con il macchinone da 70-80mila euro, veste sempre elegante, ha una famiglia che da per scontata, insomma è un superficialone, però simpatico. E questo cinismo mi è piaciuto interpretarlo perchè è stato ben scritto e ben diretto e mi ci sono ritrovato. Il bello del mio personaggio – conclude – è che questa sua superficialità mi ha fatto tenereza facendomelo anche un po’ amare».

SVUVS_3luglio_Ph. Giuseppe Di Viesto

Carlo, con queste premesse, se potesse riassumere il film in poche parole?
«E’ la storia di una bella amicizia, di amicizia e stima sul lavoro, di confidenze private, perchè alla fine si trovano tutti sulla stessa barca e nello stesso mare. Però – continua Carlo – frequentarsi troppo, vedersi anche dopo il lavoro alla fine è un errore che usura l’amicizia e la fa diventare piano piano un po’ cattiva, che porta alla deriva e ad una serie di piccole tragi-comiche. Però tutto il film è molto amabile perchè declina la parola amicizia in tanti modi ed è accompagnato da una musica tutta sua».

In 40 anni Carlo Verdone attraverso i suoi film ha raccontato la storia, il costume ma anche la decadenza della sua città e la solitudine di certi personaggi, la mitomania del “Troppo forte”, i problemi sentimentali di “Compagni di scuola”, le nevrosi, l’ipocondria, l’incertezza con “Maledetto il giorno che t’ho incontrato”, la poesia con “Al lupo al lupo”, il valore sociologico in “Viaggi di nozze”, la disabilità in “Perdiamoci di vista”, l’analisi di gruppo in “Ma che colpa abbiamo noi”, la commedia amarissima di “Il cinese in coma”. Nel corso della sua carriera ha raccontato l’Italia e la società che è cambiata, forse è questo il segreto dei suoi film.

Pensieri in disordine su NEL VIVO. serenate, lamenti e altri canti dell’anima

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Valentina Turrini e Camilla Dell'Agnola - foto Veronica Pavani

 

Camilla Dell’Agnola e Valentina Turrini | O Thiasos TeatroNatura hanno pubblicato un CD che raccoglie alcuni canti di tradizione provenienti da diverse parti del mondo, ri-creandoli in profonda e sottile relazione d’ascolto reciproco con alcuni luoghi sperduti della Val Soana, in Piemonte. Brevi note sparse. E una poesia.

Piccola premessa.

Da quando è iniziata l’emergenza Coronavirus non abbiamo più scritto una sola parola: lontana da noi l’attitudine, e forse la capacità, di proporre letture d’ampio respiro su una situazione tanto composita e complessa quale quella dello spettacolo dal vivo in epoca di pandemia.

Tutte le priorità saltano, le consuetudini vengono messe in discussioni, le scale di valori ribaltate.

Siamo stati in silenzio: a leggere, guardare, ascoltare.

Spezziamo ora questa clausura per dar notizia di un progetto minuscolo e smisurato, «folle e lungimirante» come le due protagoniste -Camilla Dell’Agnola e Valentina Turrini di O Thiasos TeatroNatura, ensemble di base a Roma guidato con pervicace visionarietà da Sista Bramini- lo definiscono.

Titolo del CD (e dell’esperienza che le due artiste propongono): NEL VIVO. serenate, lamenti e altri canti dell’anima.

Salento, Galizia, Tuva, Appennino emiliano, Mordovia, Georgia, tradizione sufi, Ucraina Corsica: queste le provenienze dei canti.

Al primo ascolto vien da pensare: è un bel modo di viaggiare, soprattutto in epoca di lockdown.

A un ascolto successivo qualcosa d’altro si inizia a scorgere.

Due voci femminili. Una viola. Una dulsetta. Un tamburo. E poi cascate. Ruscelli. Campanacci di mucche. Muri di chiesette abbandonate. Stalle dismesse. Falò nella notte. Valli. Boschi di abeti. Cani lontani. Poiane. Vento.

Una pratica sottile e profonda di ascolto dei luoghi e degli elementi tesa a cercare un accordo (ancora: sottile e profondo) tra le voci, le storie e immagini che esse ri-creano attraverso il canto e i luoghi che esse abitano, compartecipi di un accadimento che si costituisce in e di pienezza e fugacità.

Vien da pensare a Gilles Deleuze, al suo saggio I mediatori del 1985: parla di sport, il celebre filosofo, distinguendo quelli in cui ciò che importa risiede principalmente nell’atleta (es: il lancio del peso) da quelli in cui lo sportivo è chiamato ad accordarsi a una forza altra e più grande (es: il deltaplano).

Una concreta, esattissima pratica dell’attenzione.

Per vincere una gara.

Per far meglio risuonare, vivere, un canto.

Le due cant-autrici sono bravissime, ça va sans dire.

Ma anche qualcosa in più: sono attentissime. Mettono la loro sapienza al servizio di un ascolto più largo, umanissimo e sacrale: «Dio, perso nella creazione» ricorda Sista Bramini in un breve testo pubblicato nelle ultime pagine del libretto «attraverso il canto umano ricorda se stesso».

Dire grazie, almeno.

*

Poco, mi serve.
Una crosta di pane,
un ditale di latte,
e questo cielo
e queste nuvole.

Velimir Chlebnikov, pseudonimo di Viktor Vladimirovič Chlebnikov (1885-1922). Poeta russo, uno dei principali futuristi del suo paese.

 

MICHELE PASCARELLA

 

PS dopo incontri in tempi e luoghi diversi, avvenuti nel corso di quasi trent’anni, ci siamo imbattuti in questo nuovo esito della ricerca di O Thiasos TeatroNatura nell’estate 2019 a Ca’ Colmello, sulle colline bolognesi, nell’ambito della programmazione delicata e preziosissima curata da Chiara Tabaroni | Baba Jaga. A lei, ancora e ancora, la nostra gratitudine.

 

info: http://www.thiasos.it/wp/nel-vivo/, https://www.babajaga.it/

 

1 maggio: Don Antonio and friends in concerto dal vivo nello studio di Lombardi amplificazioni

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A Castrocaro il Primo Maggio si festeggia con la musica, con un concerto dal vivo, senza pubblico, ma con i musicisti che suonano insieme per riflettere sul tema del lavoro in sicurezza che tocca anche la musica.

Dalle ore 18.30 dal quartiere generale dell’Amplificazioni Lombardi di Castrocaro Don Antonio Gramentieri, Vince Vallicelli, Nicola Peruch, Roberto Villa si esibiranno dal vivo con un muro di amplificatori rivolti alla vallata.

Il tutto con il supporto tecnico ed organizzativo di un pugno di volenterosi della Lombardi Amplificazioni e del suo staff.

L’evento è organizzato da ANPI sez Valmontone Uguaglianzae , Conad Castrocaro Viale del Lavoro, 23 con la fattiva collaborazione della Pubblica Amministrazione Comune di Castrocaro Terme e Terra del Sole e dei tre sindacati Cgil, Cisl, Uil.

“Quest’anno, in questo straordinario e speriamo irripetibile Primo Maggio, – spiegano gli organizzatori – non ci sarà in prima fila la gente, il popolo, la società intera a fare, come al solito, da protagonista, a testimonianza della grande voglia di partecipazione, dello stare insieme, di combattere per le cause giuste, ma la volontà di Resistenza, ognuno nel proprio cuore e nella propria mente, la porterà ancora più forte, ancora più determinata”.

La performance sarà ripresa in video e trasmessa in diretta sulla pagina facebook di Lombardi Amplificazioni dalle 18.30 alle 19,45.

Stay tuned.

 

 

I concerti online di “Jazz a Domicilio”

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Claudio Vignali

Jazz a Domicilio è il titolo dell’iniziativa dedicata alla musica jazz frutto della collaborazione tra Bologna Jazz Festival e la Camera Jazz & Music Club. La già inaugurata Maratona del Jazz continua la sua avventura, aggiungendo nuove date e nuovi protagonisti dall’1 al 4 maggio.

Kalifa Kone (1 maggio, ore 21.30), Pietro Beltrami (2 maggio, ore 22.30), Filippo Cosentino (3 maggio, ore 21.30) e il duo Claudio Vignali e Serena Zaniboni (4 maggio, ore 21.30) si esibiranno direttamente dalle loro abitazioni e raggiungeranno il pubblico tramite un live streaming mandato in contemporanea su Facebook di Bologna Jazz Festival e su quello della Camera Jazz & Music Club, su Lepida Tv, nonché sui canali social Facebook e YouTube della Regione Emilia-Romagna.

Jazz a Domicilio è uno dei numerosi progetti che è entrato a far parte di JIP on Streaming, il primo festival nazionale di jazz sul web, attraverso il quale l’associazione Jazz Italian Platform si è fatta trait d’union delle otto storiche organizzazioni del jazz nazionale che: Bologna Jazz Festival, Jazz Network di Ravenna (Crossroads e Ravenna Jazz), Umbria Jazz, Pomigliano Jazz, Veneto Jazz, Saint Louis College of Music, Jazz in Sardegna, Visioninmusica.

Inoltre Jazz a Domicilio è anche un’importante iniziativa di sostegno che si rivolge ai differenti soggetti in difficoltà in questo momento: il pubblico a casa, desideroso di riempire il tempo libero con contenuti culturali di valore; i musicisti, una delle categorie professionali tra le più coinvolte in questa emergenza che ha costretto l’interruzione delle loro attività; ed infine, ma non per ultimo, il sistema sanitario. A questi si affianca anche la campagna regionale di raccolta fondi per l’emergenza sanitaria, che invita gli spettatori a fare donazioni sul conto corrente IT69G0200802435000104428964 intestato ad Agenzia regionale per la sicurezza territoriale e la protezione civile dell’Emilia-Romagna, indicando in causale l’hashtag #JAZZADOMICILIO.

info:  334 7560434, info@bolognajazzfestival.com, www.bolognajazzfestival.com

Giorno 890

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Giornata splendida, un sole che spacca le pietre. La vegetazione nel piccolo giardino del mio vicino è cresciuta al punto da oscurare completamente la sua casa disabitata ormai dal giorno 701. Non si riesce a vedere più neppure ciò che rimane di lui. Tutto questo disordine per sei scatole di conserva Mutti, roba da matti! Da parecchio tempo la disponibilità di luce elettrica è soltanto per tre ore al giorno. A dire il vero mi sembra anche troppo, per quello che dobbiamo fare. Il Governo ha deciso che ogni giorno sarà interamente dedicato ad un personaggio storico del nostro Paese alternato con un personaggio che ha fatto grande la Francia, la nostra colonizzatrice e alleata. Ieri, per esempio, era la giornata dedicata a Louis de Funès, oggi invece tocca al nostro Mike Bongiorno. Tre ore di televisione col meglio del meglio del Re assoluto dei giochi a premio, una miscellanea di quiz e ricchi premi dal 1969 al 1989. Che impressione vedere la gente del pubblico di SuperMike seduta vicina vicina, stretta stretta che applaude e ride senza mascherina. Erano sicuramente pazzi, o forse, ancora non sapevano che il virus era già presente tra loro. E’ appena passata la camionetta del Fronte Nazionale Naturalista. Col megafono ci ricordano che uscire è ancora molto pericoloso, perciò proibito. Il virus non c’entra nulla adesso, è un altro il problema. Dicono che non siamo ancora abbastanza pronti, non possono dirci nulla. Ah, il virus! Bei tempi quelli. Si poteva ancora fare la fila nei supermercati, un metro l’uno dall’altro. E poi salire in macchina e ascoltare Virgin Radio verso casa. Oppure correre in spiaggia inseguiti da un poliziotto. Al massimo avresti rischiato una multa salata che non avresti pagato. Poi hanno cominciato a sparare. Prima in aria, poi direttamente alla nuca. Ma la faccenda non cambiava. La gente pur di vedere il mare di Cesenatico per l’ultima volta, era disposta a prendersi un proiettile nel cervello. Così hanno cancellato il mare, l’hanno coperto con una gigantesca colata di catrame nero. Ci hanno messo solo 75 giorni, il più grande lavoro di correzione della natura mai fatto dall’essere umano. Roba da libri di storia, se esistessero ancora. Sono arrivati un sacco di volontari da ogni parte del Paese, ognuno col suo camioncino colmo di rifiuti da smaltire. Gli italiani quando han voglia di fare le cose in grande, riescono ad essere un popolo strepitoso. Italiani e francesi, devo ricordarmi che adesso siamo una cosa unica. Anche loro hanno i loro meriti: senza le loro scorie non saremmo mai riusciti ad asfaltare il mare fino alla Croazia. Così hanno risolto il problema dei quattro egoisti che andavano di nascosto ad ammirarlo all’alba eludendo sia le guardie francesi che i volontari Naturalisti. Mio figlio è negli Angeli Naturalisti, forse l’ho già detto, altra categoria. Lo dico con una punta di orgoglio di padre. E’ stato promosso a Capitano e gli hanno consegnato una pistola calibro 22 con ben sei proiettili più una cassa di birra Nett-Flix da 33 cl. (si puo’ bere soltanto davanti ad una serie tv Nett-Flix, c’è un sensore a raggi infrarossi che sblocca il tappo della bottiglia quando parte il programma). Stamattina dal lucernaio della soffitta è entrato un gabbiano grande come un bambino di 8 anni. L’avevamo lasciato aperto per far girare un po’ d’aria. Mia moglie ha provato ad affrontarlo con un cucchiaio di legno ma quella bestiaccia le ha staccato tre dita della mano sinistra. E’ già il secondo incidente della settimana poverina! Prima l’occhio destro, adesso le dita. Per fortuna avevo con me la pistola di mio figlio. Ho preso un cuscino per attutire lo sparo e l’ho centrato in pieno petto. Poi gli ho tirato il collo, come si faceva con le galline quand’era ancora permesso allevarle e mangiarle. Lo abbiamo guardato mentre il nostro stomaco brontolava di fame atavica. Ci abbiamo pensato un po’, non sarebbe legale, anzi ci costerebbe l’isolamento a Modigliana. Nessuno però lo ha visto infilarsi dentro casa nostra. Così l’abbiamo spennato, l’abbiamo pulito delle interiora e arrostito sul fuoco che abbiamo organizzato dove una volta c’era la cucina. L’ultimo pezzo del tavolo in noce che fu dei miei nonni è diventato carbonella per questa cena lussuosa che ricorderemo per un bel pezzo. Gabbiano, birra Nett-Flix e il meglio di Mike Bongiorno. Siamo dei signori.

Copia e incolla, sii felice

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L’articolo è tratto dal nostro repertorio di numeri cartacei

Tom trova un biglietto della sua ragazza. Non l’ha lasciato. Ma è andata via. E gli dice di continuare come se tutto fosse normale…

Sveglia! Dove sei stato fino ad ora? Te la sei dormita per anni? Indietro solo un ammasso di fallimenti? Eppure io c’ero. Ho fatto scelte. Cercavo di essere chi credevo che gli altri volessero che fossi. Un fallimento. Vuoi parlare di fallimenti? Fallire è quello che fai tu. Nascondersi. Docile come un agnellino. Morto dentro. La via con meno ostacoli. Che senso ha vivere così? Quello sì che è sprecare la propria vita.

Misteri editoriali. Il titolo Who is Tom Ditto diventa Copia e incolla in italiano, forse perché il libro che ispira il 70% dei personaggi del romanzo di Danny Wallace è Carbon Copy del Professor Ezra Cockroft che a sua insaputa ha fondato un movimento, il CC (quanta carta carbone ho usato, ho inventato io il fronte e retro). I seguaci del movimento individuano una preda interessante e cominciano a seguirla, copiando pedissequamente quello che fa, fingendo di essere quella persona, per essere qualcun altro e quindi se stessi (occhio al rischio omologazione dei Movimenti, devi seguire). Tom si scontra con questa realtà, prova a capirla, prova a seguire e così trova Tom, seguendo scopre di non essere mai stato se stesso. Mi sento derubato. Mi sento come se molte possibilità mi siano state portate via. Come se tutti potessero dire qualcosa in merito, tranne me.

Puoi decidere, se rifugiarti all’ombra di qualcun altro o limitarti a vivere la tua vita, viverla davvero. Seguendo, se vuoi, ma non per nasconderti a te stesso. Si, perché chi dice di nascondersi all’ombra di scelte o colpe altrui, si sta nascondendo all’ombra dell’idea di se stesso, non vive. Sia chiunque lei voglia essere. Sia se stesso, sia me, sia il bambino che incontra sulle scale. Ma sia felice.

Il Primo Maggio con Emilia Romagna Teatro

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Il lavoro non è solo un pratica quotidiana, un motivo di guadagno: il lavoro è un diritto, è una forma di dignità e le lotte che uomini e donne nel corso della storia hanno combattuto per affermare questi valori non devono essere dimenticati. Ecco perché il Primo Maggio, la Festa dei Lavoratori, è così importante. E forse, lo è oggi ancora di più, in un momento in cui, nei migliori dei casi il lavoro si è fatto solitario e nei peggiori è stato sospeso.

Per commemorare questa ricorrenza, Emilia Romagna Teatro Fondazione propone dei differenti spettacoli, due riflessioni profonde sull’oggi: Lavorando al futuro. Messaggi e parole per il Primo Maggio, in diretta streaming su Facebook alle ore 18, e Dieci storie proprio così, su Lepida Tv ed Emilia Romagna Creativa alle ore 20.

Lavorando al futuro. Messaggi e parole per il Primo Maggio è una produzione che ha coinvolto alcuni studenti e studentesse delle scuole del territorio: i loro pensieri, le loro aspettative e le loro proposte per il futuro hanno preso la forma di “lettere”, in un secondo momento avvicinate alla forma poetica e della ballata dalle voci di attrici e attori dell’ERT, quali Daniele Cavone Felicioni, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Lino Guanciale, Michele Lisi, Diana Manea, Paolo Minnielli, Maria Vittoria Scarlattei, Jacopo Trebbi. Il risultato è un intrecciarsi di parole ed immagini che sollecitano all’allerta, ma che non possono fare a meno di suggerire un messaggio di speranza. I giovani coinvolti nel progetto purtroppo non potranno essere presenti che come nomi, sperando di poterli ospitare il prossimo anno in carne ed ossa.

Dieci storie proprio così è uno spettacolo che nasce da un’idea di Giulia Minoli e con la regia di Emanuela Giordano. Il tema è la legalità oggi: una sorta di excursus che invita a riflettere sul mondo della corruzione e della criminalità organizzata, attraverso la testimonianza di alcune vittime. Una riflessione questa volta che prende le sembianze di un messaggio di impegno civile e di riscatto sociale, un richiamo alle nostre responsabilità individuali e collettive e che invita ognuno di noi a reagire, per la costruzione di un futuro migliore.

info: cesena.emiliaromagnateatro.com, info@teatrobonci.it

Tu Quoco Figlio Mio: la pasta e fagioli di nonna

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Non sapete cosa cucinare per pranzo? Chiedete consiglio a Maria Pia Timo e Andrea. Oggi si prepara la pasta e fagioli di nonna.

Ingredienti (per 3 persone)

150 g di fagioli freschi
Concentrato di pomodoro
Basilico
1/2 cipolla
Olio
Sale
Pepe
Pasta secca

 

Everyday Design: la tastiera QWERTY, l’oggetto più “toccato” del mondo

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Probabilmente da parecchi decenni è diventata, insieme all’inseparabile mouse, l’oggetto più toccato del mondo. 

È la tastiera dei computer: una scocca di PVC con 102 tasti perfettamente incastonati (in realtà il numero è variabile, dipendente in particolare dalla nazionalità), divisi in alfabeticinumericidi spostamento, tasti funzione.

Il nome della tastiera, QWERTY, nasce dai primi sei tasti alfanumerici, disposti nella seconda riga. Questo layout fu pensato attorno al 1870 da Christopher Latham Sholes, uno stampatore ed editore nativo del Wisconsin, di fatto uno dei padri delle macchine da scrivere meccaniche. Nel 1867, Sholes aveva brevettato un primo sistema di scrittura a macchina, una tastiera simile a quella di un pianoforte, con due file di caratteri in ordine alfabetico. Ma la sequenza alfabetica creava un grosso problema meccanico: i martelletti si incrociavano e portavano il meccanismo ad incepparsi troppo facilmente.

In effetti il sistema era complesso: leve, molle, martelletti, rulli, nastri per inchiostro, il tutto in pochissimo spazio. Sholes lavorò per diversi anni, esplorando molte possibilità, ed infine divise le sequenze di lettere più frequenti nella lingua inglese – come TH ed ST – per evitare continui inceppamenti dei bracci meccanici, e così nacque la tastiera QWERTY. Quindi, quella che sarebbe diventata l’interfaccia uomo-macchina per eccellenza, apparve sul mercato nel 1873, quando l’inventore la vendette alla E. Remington and Sons, fabbrica di fucili che produceva anche macchine da scrivere.

Naturalmente da allora furono apportate numerose modifiche, come lo shift-key, il tasto di sollevamento, che permetteva le modalità maiuscolo/minuscolo, o altri tasti funzionali alle telecomunicazioni.

E un secolo dopo, negli anni ’80 del Novecento, lo stesso layout fu adottato (e adattato) dai grandi produttori di personal computer, fino ad entrare in modo capillare negli uffici, nelle case, e nelle vite di tutti noi.

Ora, dato che la sequenza di lettere originaria fu dettata più da problemi meccanici che non da funzionalità e velocità nella scrittura, la domanda è: come mai uno schema sostanzialmente inefficiente è tuttora in uso?

Non è che non ci siano stati studi e proposte di modifica, in effetti, ma la risposta alla domanda è una costante nell’evoluzione del design: ogni innovazione tecnologica si porta dietro, come un’inerzia, la memoria del passato. Milioni e milioni di utenti non sarebbero mai stati disposti a cambiare radicalmente un’abitudine acquisita, mentre l’adozione di un layout già noto avrebbe ridotto la loro diffidenza verso i nuovi sistemi digitali e reso le nuove macchine più friendly…

A proposito, non trascuratene la pulizia: secondo una recente ricerca, nelle tastiere più sudicie si annidano cinque volte più batteri che sulle tavolette dei WC…

Roberto Ossani – Docente di Design della Comunicazione – ISIA Faenza

Gli appetiti della Wanda: l’Osteria di Medicina (Bologna)

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In via Canedi 32 a Medicina (Bo) nell’Ottocento c’era una bella pescheria. Lo si capisce dalla decorazione in ferro della grande ogiva della porta d’ingresso che raffigura due bei pescioni. Alessio, lo chef, racconta che a Bologna l’aveva trovata una foto con le donne che pulivano il pesce e con l’acqua che correva nelle canalette all’interno di quella pescheria, ma non gliel’hanno fatta riprodurre, altrimenti sarebbe attaccata ad una delle pareti del locale dentro la sua bella cornice.

Poi, fino a circa 35 anni fa, lì c’è stata la falegnameria del babbo della Danila che, ventenne, assieme a Erna e Patrizia, visto che il papà era ormai da pensione e che per i giovani in città non c’era nulla, aprì questo ritrovo per bere e mangiare qualcosa. Grazie al loro terzetto, l’osteria diventò un must in zona per oltre un trentennio.

Però, dal 1º settembre dello scorso anno, le tre signore hanno appeso i mestoli al chiodo e al loro posto, a proseguire la tradizione con due occhi alla contemporaneità, ci sono Alessio in cucina, con la fida Andrea, ed Elisa in sala.

Si bevono solo etichette di produttori locali e un po’ di nicchia, usano la salsa di pomodoro dell’azienda agricola Parisi di Scicli e cucinano i loro piatti forti nella pentola prodotta nella fabbrica Fogacci di Osteria Grande: la Vapor Control 105º. «Non ci devi neanche mettere olio!  – spiega Alessio – Con quella pentola lì non serve, perché è come se si cuocesse a bagnomaria. Ci faccio stufare la cipolla di Medicina tritata, e ci aggiungo l’impasto di salsiccia, che lo facciamo noi con la carne di maiale, il vino, il sale, il pepe e l’aglio. Quando si sta per asciugare, bagno con del Pignoletto, poi aggiungo il concentrato di pomodoro Parisi, copro con due dita d’acqua la carne e poi lascio cuocere per tre ore e mezza/quattro. Così lo faceva la Iole, mia nonna, il ragù. Lo serviamo con le tagliatelle verdi fatte a mano col mattarello e i polsi di mia zia Gigliola, la nostra sfoglina».

Fanno una trippa gustosa e leggera, tagliata a striscioline, prima sbollentate appena, poi stufate nella Fogacci. Dopo un’ora ci aggiungono solo il sugo raccolto, grazie alla mirabile pentola, dalle cipolle che hanno stufato a parte. Poi, dopo un’altra ora, tocca alle cipolle stesse, poi la salsa di pomodoro, sale e pepe. In totale cuoce 4 ore e mezza, se non 5. La serve mantecata col Parmigiano e l’unico olio presente, aggiunto a crudo alla fine.

La ricetta dei cantucci morbidi coi pistacchi, che potrete gustare fino a mezzanotte ed oltre con un buon calice di vino, deriva da una rivisitazione di quella della signora Marisa, medicinese doc. Si sono inventati le piadelle, tigelle fatte con impasto tipo piadina, che si sposano con tutta la grande selezione di formaggi e affettati, scelti con cura dai tre osti.

E per concludere degnamente la sosta in quel locale piccino, da 40 coperti a stringere, con le belle tavole in legno scuro e la luce raccolta, potete sperare di trovare la torta di riso fatta con la ricetta tradizionale bolognese. La loro ha vinto pure una competizione con altre 137 torte omologhe fatte da chef meritevolissimi. È sempre tagliata rigorosamente a losanghe, come da tradizione, ma non la fanno sempre. La trovate praticamente solo a fine anno. Perciò scriveteglielo a Babbo Natale che vi ci porti sotto le feste in via Canedi, perché la Medicina più dolce, contro i freddi dell’inverno emiliano, la trovate qui!

Osteria di Medicina, via Canedi 32, Medicina (Bo). Per info: 051 857321

The loudest voice: il giornalismo dietro la politica americana

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the loudest voice

Bill Clinton e Donald Trump. Due nomi che sembrano appartenere a due ere geologiche diverse: tra la fine del mandato di Clinton e l’elezione dell’attuale presidente degli Stati Uniti d’America sono intercorsi circa vent’anni in cui è successo di tutto. L’Occidente ha assistito a radicali cambiamenti che prima avrebbero richiesto il passaggio di almeno due generazioni: 11 settembre e guerra in Iraq, gli attentati dell’ISIS in Europa, l’avvento dell’iPhone e dei social network, e in questo periodo di tempo l’America ha davvero cambiato volto. Una persona, però, è stata sempre presente, nascosta dietro le quinte del canale di informazione più seguito negli USA. Stiamo parlando di Roger Ailes e della sua creatura, Fox News, attuale voce dei conservatori americani. The loudest voice (Sky), basata sull’omonimo libro di Gabriel Sherman (inedito in Italia), racconta la nascita e l’evoluzione del servizio di news h24, aprendo una finestra sulla storia recente del partito repubblicano americano, che in soli otto anni è passato dal candidare John McCain, eroe di guerra molto rispettato anche dai suoi avversari politici, al discusso Donald Trump.

“La gente non vuole essere informata, vuole sentirsi informata”

In sette puntate sono condensati numerosi temi, ma tutto ruota intorno al ruolo dell’informazione nell’orientare l’elettorato, a tutti i livelli. Ne è la prova un episodio minore, in cui Roger Ailes riesce a mettere a direzione del giornale di una piccola città un uomo facilmente condizionabile: l’uso spregiudicato della cronaca locale trasforma una piccola e pacifica realtà in un covo di divisioni e forti contrapposizioni. La stessa cosa succede più in grande alla Fox: un uso sensazionalistico della notizia, che fa da cassa di risonanza ai peggiori complottismi, manovrata da un uomo nelle cui mani si concentra anche il destino dei suoi dipendenti e delle loro carriere. Il filo conduttore della trama che mantiene lo spettatore incollato allo schermo è proprio il personaggio di Roger Ailes, un paranoico e predatore sessuale interpretato da uno straordinario Russell Crowe. Se state cercando una serie che approfondisca l’aspetto psicologico del protagonista, continuate però a cercare perché qui non lo troverete: questa apparente mancanza è in realtà una scelta ben precisa degli sceneggiatori, che hanno messo al centro della storia non tanto le cause per cui il “cattivo” è tale, quanto gli effetti delle sue azioni.  Il personaggio è comunque piuttosto facile da decodificare: dotato di una grande intelligenza, la usa per manipolare le persone con una brutalità estrema, atteggiamento che si manifesta con particolare ferocia nei confronti delle donne che lavorano per lui. Il suo rapporto con l’altro sesso è uno dei motivi meglio riusciti di tutta la produzione, che descrive i meccanismi di potere che soggiacciono al rapporto vittima-carnefice e che spesso portano la prima a non denunciare le violenze subite e il secondo a insabbiare tutto.  La rappresentazione di come la violenza sessuale distrugga una donna – una violenza psicologica, ancora prima che fisica –  rende particolarmente efficaci alcune scene.

La serie, particolarmente adatta al pubblico europeo interessato ad approfondire le dinamiche politiche sull’altra sponda dell’Atlantico, sfata la visione distorta e parziale di New York come sintesi degli Stati Uniti. Una percezione in un certo senso giustificata, poiché – a detta di Ailes stesso – neanche una buona fetta degli americani capisce che “Chi vive al di là dell’Hudson, il vero popolo americano, ama Donald Trump”. Un’ affermazione rivelatrice di due realtà: da una parte la superficialità di analisi dei media, dall’altra tutta la retorica di Ailes, secondo il quale a un popolo vero e puro se ne contrappone uno traditore dei valori americani. Ad ogni puntata, quindi, si fa spazio l’idea che la vittoria di Donald Trump nel 2016 fosse meno imprevedibile di come sia stata riportata, frutto di una radicalizzazione nell’elettorato iniziata negli anni Settanta e deflagrata a partire dai Novanta, punto di partenza del racconto di The loudest voice. 

Senza spoilerare nulla (ma è cronaca: trovate tutto su Wikipedia), la scena finale regala un’ultima riflessione: quello che Roger Ailes ha realizzato con Fox News va oltre la sua persona, si tratta di un modo di intendere l’informazione con conseguenze a lungo termine. Torniamo quindi ai vent’anni iniziali: quando Bill Clinton era presidente nessuno pensava che la creazione di un canale all news avrebbe contribuito a portare Donald Trump alla Casa Bianca. Eppure, nei due decenni in cui tutto è cambiato, l’aver perseverato nel proprio progetto alla fine ha fatto sì che si ottenesse il risultato sperato, al di là dei destini dei singoli. Sostenuta da un ritmo incalzante ma mai frettoloso e da ottimi dialoghi, la miniserie risulta un prodotto di ottima fattura. Buona l’idea di spezzare il girato con filmati d’epoca, ricordandoci che ciò che stiamo osservando è la narrazione di fatti realmente accaduti.

Se dopo aver visto The loudest voice decideste di saperne di più su cambiamenti sociali, economici e culturali avvenuti nel corso degli ultimi decenni negli Stati Uniti, vi consiglio Questa è l’America, un saggio di Francesco Costa (vicedirettore del Post ed esperto di “cose americane”): una parte del libro è proprio dedicata al fondatore di Fox News.

 

 

 

LIBERTÀ, NON È UNO SCHERZO

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L’articolo è tratto dal nostro repertorio di numeri cartacei

La libertà non è gratis, si paga. Ha un prezzo alto. Richiede responsabilità. Un saggio cantava che la libertà non è appena star sopra un albero. Non è lo spensierato volo di un moscone (anche perché oggettivamente solo uno stolto vola spensierato incontro ad una merda).

L’uomo libero non ha vita tranquilla. I più liberi, i guai, non aspettano nemmeno che arrivino da soli, piuttosto li vanno a cercare. Non come quelli che in una pozzanghera giocano al piccolo squalo, dispensando consigli/ordini e ostentando libertà autentica quanto il loro sorriso. L’unica libertà altrui che accettano è quella di aderire liberamente ai loro capricci. Quante stronzate ho letto, ascoltato e detto, ahimè, sulla libertà.

La libertà è un gesto rivoluzionario e di grande responsabilità.

Giovannino Guareschi era un uomo libero. Per non rinunciare alla libertà ha scelto la prigione, forse aveva addirittura torto nel caso specifico ma si è assunto la sua responsabilità. Una volta contestò duramente il proprio editore che aveva pubblicato un racconto in cui l’illustratore aveva fatto tagli senza dirglielo. Credo sia una bestemmia per uno che scrive prendendosi cura delle parole. I tagli a La calda estate di Gigino Pestifero furono un atto lesivo della libertà di uno scrittore, almeno per Guareschi e per i suoi 23 lettori. Vero che si trattava di una favola per bambini, ai tempi di Carosello, destinata a far pubblicità ad una marca di gelati, ma il racconto non parla appena della ghenga in fuga dal caldo estivo della città al seguito di una specie di teppista, parla di una libertà ricercata e trovata nella natura, nella sacralità imprevista del soprannaturale. Occorre essere molto liberi per lasciarsi ferire dal sacro e dal soprannaturale. Le meraviglie della Natura, scoperte e spiegate dalla scienza, dovrebbero servire a dimostrare, con prove inequivocabili, l’esistenza del Soprannaturale. Le meraviglie del Creato dovrebbero dimostrare la grandezza del Creatore.

Guareschi, capace di nobilitare anche una pubblicità, non tollera che sia violata la sua libertà. Del resto è lui che appena arrivato in un lager disse non muoio neanche se mi ammazzano.

Fruit Exhibition, la fiera dell’editoria d’arte online

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È iniziata lo scorso 20 aprile l’avventura online del FRUIT EXHIBITION Virtual Market, la fiera virtuale dedicata all’editoria d’arte indipendente che avrebbe dovuto tenersi a Bologna dal 29 al 31 maggio 2020. Grazie all’applicazione Zoom il pubblico avrà l’opportunità di scoprire piccole chicche editoriali, seguendo una programmazione settimanale che continuerà fino a giugno.

Gli incontri vedono come protagonisti i diversi espositori che avranno non solo la possibilità di presentare i propri progetti editoriali ma anche di aprire un canale di vendita diretta al proprio shop virtuale, che permetterà al pubblico di reperire prodotti esclusi dai grandi circuiti di distribuzione. Micro editori d’arte, self-publisher, graphic designer, illustratori e artisti, case editrici di grafica contemporanea, magazine, etichette musicali, stampatori artigianali sono tutti autori di prodotti che sperimentano nei formati e nelle scelte editoriali. Ad ogni incontro corrisponderà un link che guiderà all’installazione dell’applicazione Zoom nel caso in cui il dispositivo non ne sia già dotato. Alcuni sistemi operativi potrebbero richiedere la password per l’accesso: sarà sufficiente allora inserire nel campo “Meeting ID” le sequenze numeriche collegate all’evento.

Dopo l’incontro con Blow Up Press di lunedì 27 aprile, questa settimana continua in compagnia di Isit.magazine, martedì 28 aprile alle ore 14 al seguente link con Meeting ID 982 0663 4528. Il terzo appuntamento è quello di mercoledì 29 aprile alle ore 11 con KABUL magazine, raggiungibile grazie al seguente link con Meeting ID 998 7856 6969. Giovedì 30 aprile sarà il turno di DEM accendendo alle ore 15 al link con Meeting ID 942 5730 8639. L’ultimo evento della settimana si terrà sabato 2 maggio alle ore 15.30 in compagnia di Marta Bianchi e Andreina Bochiccio (link, Meeting ID 939 1477 8439), mentre alle ore 17 si terrà una speciale live-action partecipativa di 8 ore trasmessa in streaming su Facebook per realizzare The Rapid Publisher #16. Sono tutti inviati a inviare il proprio contenuto (disegni, collage, testi, ecc.), creati a casa durante l’evento alla mail@therapidpublisher.com: ogni contenuto sarà ricopiato più volte fino a produrre 100 edizioni

Oltre che sull’applicazione Zoom, gli appuntamenti saranno trasmessi anche in diretta Facebook , resi disponibili di settimana in settimana sul sito di Fruit Exhibition e pubblicati nei giorni successivi sul canale Youtube.

Info: segreteria@fruitexhibition.com