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Gli ARTO live sul palco del Clan Destino di Faenza

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Sabato 7 dicembre, alle 23, al Clan Destino di Faenza (Ra), si esibiranno gli ARTO.

La band nasce dall’incontro di quattro grandi musicisti: Luca Cavina, bassista degli ZEUS e dei CALIBRO 35; Bruno Germano, già nei Settlefish e produttore di “Die”, grande disco di IOSONOUNCANE; Cristian Naldi, chitarrista di Ronin e Fulkanelli e Simone Cavina, batterista di IOSONOUNCANE, Junkfood e Comaneci.

Una fusione tra menti eclettiche, innovative e rivoluzionarie che il 1° marzo del 2018 ha dato vita a “Fantasma”, primo lavoro discografico composto da tracce spettrali, a tratti apocalittiche, seguito dall’ Ep “O”, uscito pochi mesi fa sempre per Dischi Bervisti/Sangue Dischi. Due lunghe tracce strumentali, “En” e “In Limine”, nelle quali il sound spettrale si avvicina ad un’atmosfera più psichedelica. Non adatto, sempre e comunque, a soggetti altamente ansiosi.

Il mese di dicembre vedrà anche altri artisti esibirsi sul palco del locale faentino: Ducktails il 5, L’Eclair il 12, Molossos giovedì 19, Lucrø il 21 e Don Antonio con Vince Valicelli lunedì 23.

ARTO live, sabato 7 dicembre, ore 23, Clan Destino, Faenza (Ra), viale Baccarini 21/a. Per info: 0546 681327, www.clandestinofaenza.it

Il grande ritorno di Sinead O’Connor al Campus Industry Music di Parma

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Parma, prossima Capitale Italiana della Cultura, si prepara ad affrontare un grande anno ricco di eventi e bellezza. Per partire alla grande, a gennaio, il 18 per l’esattezza, al Campus Industry Music, arriverà Sinéad O’Connor, per l’unica data in Emilia Romagna.

Scoperta dal batterista della famosa band irlandese In Tua Nua, la cantautrice pubblica il primo album nel 1987, “The Lion and the Cobra”, scritto e prodotto da lei e diventato subito disco di platino, anche se il successo maggiore arriva con il singolo “Nothing Compares 2 U”, del 1990, incluso nell’album “I Do Not Want What I Haven’t Got”, che ha venduto più di sette milioni di copie nel mondo.

Un’artista rara, visionaria, coraggiosa e fragile contemporaneamente; uno stile vocale peculiare e una ricerca della bellezza fuori da qualunque schema. Una fonte di ispirazione per molte generazioni.

Il successo incredibile, con dischi sempre ai vertici delle classifiche e tantissime collaborazioni, è seguito poi da un lungo viaggio spirituale che porta l’artista verso un periodo ostico, travagliato, inquieto e dal quale riesce a scovare la via di fuga trovando conforto nella religione islamica.

Il ritorno della O’Connor ha già segnato un record di vendite negli Stati Uniti, con i biglietti dei suoi concerti esauriti in poche ore e, dopo un tour in Irlanda e UK anch’esso sold out, Sinéad torna ad esibirsi anche nell’Europa Continentale con un live che promette grandi cose.

I biglietti per il concerto del 18 gennaio sono disponibili sul circuito ufficiale Ticketone dalle ore 10 di lunedì 2 dicembre.

Sinéad O’Connor live, sabato 18 gennaio 2020, ore 21, Parma, Campus Industry Music, Largo Simonini. Per info:  0521 645146, www.campusindustrymusic.com

 

 

 

 

La nuova stagione di E’ Bal tra la Romagna e San Marino

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Dopo la felice esperienza della passata stagione, torna in scena la rassegna E’ bal, promossa da ATER Circuito Regionale Multidisciplinare in programma da novembre a giugno 2020. Nata dall’esigenza di dare spazio alla vitale scena della danza contemporanea italiana, E’ bal (in dialetto romagnolo il ballo) raccoglie in un cartellone variegato e multiforme ben dodici spettacoli, di cui due dedicati all’infanzia, cinque esiti di altrettante residenze, sette masterclass e cinque incontri di approfondimento in otto comuni romagnoli, inclusa la Repubblica di San Marino. Un’iniziativa preziosa di coordinamento e aggregazione di diverse strutture intorno a una delle pratiche più vitali dello spettacolo dal vivo, che non a caso prende vita in Emilia Romagna, territorio artisticamente molto fertile. Giovani o esperti, emergenti o affermati, i coreografi invitati a presentare le proprie opere nel fitto programma di E’ bal sono impegnati in percorsi di ricerca artistica in cui utilizzano, ciascuno a suo modo, i linguaggi del contemporaneo, dimostrando la ricchezza espressiva della creatività italiana. Il 15 novembre al Teatro Petrella di Longiano andrà in scena il progetto vincitore del Premio Equilibrio 2018, Deserto Digitale, del giovane coreografo e performer Nicola Galli. Sabato 18 gennaio, al Petrella di Longiano, la coreografa Francesca Pennini presenta il suo CollettivO CineticO nello spettacolo 10 miniballetti, progetto pluripremiato presentato in collaborazione con Santarcangelo dei Teatri. Amatissima dal pubblico, che sa trascinare in spettacoli di rara ironia e poesia, giovedì 30 gennaio al Teatro Titano di San Marino la coreografa e performer Silvia Gribaudi porta in scena il suo esilarante Graces. Da venerdì 31 gennaio a domenica 2 febbraio al Teatro Nuovo di Dogana, la coreografa inviterà il pubblico a seguirla nella danza con il laboratorio Il Corpo Libero. Comico e inaspettato anche lo spettacolo Quintetto, di e con Marco Chenevier delle compagnie ALDES e TIDA, che martedì 11 febbraio al Salone Snaporaz di Cattolica condurrà gli spettatori in uno spettacolo nello spettacolo.

Fino al 14 giugno, E’ Bal, città e sedi varie. Info: 0541 626185, ebalromagna.com

Teatro Testori, coscienze italiane in “Il Bue Nero”

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Prende il via al Teatro Testori di Forlì il progetto “Io non ci sono, percorso dell’Emilia Romagna fascista, antifascita e post-fascista”. Il primo appuntamento sarà sabato 7 dicembre alle ore 21 con sul palco Elisa Pretolini e Nicola Santolini in “Il bue nero o della cattiva coscienza degli italiani“, uno spettacolo di Yvonne Capece per la drammaturgia di Marzio Badalì.

Una sorta di viaggio non tradizionale nei complicati meandri della memoria storica: così si configura lo spettacolo, vincitore del bando per la memoria 2019 della Regione Emilia Romagna. Non si tratta infatti di percorrere a ritroso la Storia e i suoi tragici avvenimenti, ma di condurre un’indagine profonda e a tratti scomoda sulla coscienza degli italiani, come suggerito dal titolo. Una coscienza fatta di diversi strati di ideali frustrati e incongruenze. Tale coscienza vive dentro a un corpo e ad un altro corpo si lega, trainata dal culto e dal feticismo per il grande capo. Questo grande capo è la carcassa del bue nero, una bestia mitologica sacrificale posta in mezzo al palco, e alla Storia, ad ostruire la strada per la democrazia. Questa è la salma del Duce: un corpo che per vent’anni è stato intralcio ed ostacolo e che anche da morto ha continuano ad essere una presenza pesante e invasiva nel panorama politico e nelle coscienze italiane. Quest’ultime sono rappresentate in preda ai tormenti morali, agli incubi, alle illusioni, alle debolezze e alle profonde vergogne che si vorrebbero dimenticare.

Lo spettacolo si configura come una denuncia al desiderio tutto italiano della rimozione del senso di colpa che si cela dietro l’esaltazione di una Resistenza e di un auto-sabotaggio, ma anche come un’accusa all’Italia che fu e alla Repubblica che ne è stata conseguenza. Una Repubblica non fondata sul lavoro ma su una lunga serie di morti, non sempre dichiarate e spesso negate, che si fatica a ricordare come invece andrebbe fatto.

Sabato 7 dicembre, Il bue nero o della cattiva coscienza degli italiani, Teatro Testori Forlì – info: 0543722456, teatrotestori.it, teatrotestori@elsinor.net

Microphonie, al via la rassegna del Teatro Titano

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Giulio Casale in "Le notti bianche"

Al Teatro Titano di San Marino prende il via la rassegna Microphonie: una serie di tre appuntamenti da dicembre 2019 a marzo 2020 che si aggiunge alla già ricca programmazione della stagione teatrale di San Marino Teatro.

Ad inaugurare la rassegna sarà Giulio Casale insieme a Giulia Briata in “Le notti bianche” nella serata di venerdì 6 dicembre alle ore 21. Lo spettacolo porta in scena l’omonimo romanzo, uno dei più famosi e amati di Fëdor Dostoevskij. Giulio Casale presta il proprio corpo e la propria presenza scenica alle parole del grande romanziere nel raccontare la delicata storia di un giovane, una sorta di favola moderna sulla potenza del sogno e dei suoi rischi. Una profonda indagine dunque dell’animo umano e del suo pensiero, dei suoi desideri e delle sue necessità, ricco di contraddizioni e alla costante ricerca della felicità.

Secondo appuntamento della rassegna è venerdì 17 gennaio alle ore 21 con “The soul of Porter“: sul palco la voce di Joyce Elaine Yuille sarà accompagnata dalla band Jazz Inc., formata da Alessandro Altarocca al piano, Alessandro Fariselli al sax, Massimo Morganti al trombone, Stefano Senni al contrabbasso, Fabio Nobile alla batteria e Luca Mattioni alle percussioni. “The soul of Porter” è uno concerto tributo a Cole Porter e al suo repertorio ormai classico: i brani scelti sono personalizzati dalla cantante e musicista, dando vita a una riscrittura appassionata ma che porta pur sempre rispetto al suo originale autore.

Ultimo appuntamento della rassegna, venerdì 27 marzo alle ore 21, è in compagnia di Stefania Rocca impegnata negli “Esercizi di stile” di Raymond Queneau e accompagnata sul palco dal violino di Gabriele Bellu, dal clarinetto di Giampiero Sobrino e dal pianoforte di Andrea Dindo. Lo spettacolo è un incontro tra la sperimentazione stilistico-letteraria del 1947 e la musica francese. Attraverso variazioni di stile, giochi semantici e registri espressivi diversi, Stefania Rocca dà corpo e voce all’opera dell’autore francese: la stessa storia di vita quotidiana ripetuta per 99 volte, variando ogni volta stile linguistico. Il tutto si alternerà con asimmetrie e giocosità di Francis Poulenc e di Darius Milhaud, con i lirismi di Gabriel Fauré e con i suoni puri di Maurice Ravel.

Da dicembre a marzo, Microphonie, Teatro Titano San Marino – info: sanmarinoteatro.sm

Filippo Timi in “Skianto” al Teatro della Regina

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Al Teatro della Regina di Cattolica è in arrivo una grande personalità del teatro e del cinema contemporaneo. Si tratta di Filippo Timi che dividerà il palco con l’autore Salvatore Langella nelle giornate di giovedì 5 e venerdì 6 dicembre quando andrà in scena Skianto, la produzione firmata Teatro Franco Parenti.

Lo spettacolo avrà inizio alle ore 21.15 e vedrà Filippo Timi tornare alle origini di se stesso e del suo teatro, recuperando la sua caratteristica parlata umbra e le forme del suo primo monologo La vita bestia. In Skianto, Timi è Filo, un bambino diversamente abile che sogna una vita diversa dalla prigione di tutti i giorni, una vita normale dove può diventare un ballerino o un cantante, dove può stare insieme agli altri senza sentirsi diverso, una vita piena di avventure comiche e paradossali come quelle che gli ha raccontato il suo nonno-eroe. Questa però non è la vita di Filo, intrappolato in un corpo che non gli permette di muoversi, parlare ed esprimersi, imprigionato in uno spazio chiuso che sul palco è rappresentato dalla palestra di una scuola elementare. Filo allora viaggia con la sua fantasia che lo porta via da quella gabbia e gli permette di vivere o meglio di immaginare una vita ricca di amore, sesso e libertà che non mancherà di scontrarsi infine con la dura realtà.

Timi porta in scena il tema della disabilità in maniera del tutto personale ed estremamente profonda, aiutato dall’esperienza diretta vissuta con la cugina Daniela, cerebrolesa. Sul palco prendono così forma sogni, desideri e tormenti di un corpo scomodo.

Giovedì 5 e venerdì 6 dicembre, Skianto, Teatro della Regina Cattolica, ore 21.15 – info: 0541/966778, info@teatrodellaregina.it, teatrodellaregina.it

Picasso. La sfida della ceramica, visite guidate al MIC

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Continua il programma di visite guidate gratuite, incluse nel prezzo del biglietto, per la mostra “Picasso, La sfida della ceramica” allestita presso il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza fino al 13 aprile 2020. Nel mese di dicembre gli appuntamenti al Museo sono fissati nei giorni di venerdì 6 alle ore 16 e di venerdì 13 e 20 alle ore 17.30. In questi ultimi due giorni inoltre il Museo osserverà un’orario di apertura straordinaria fino alle ore 19.

“Picasso, La sfida della ceramica” espone 50 pezzi unici provenienti dalle collezioni del Musée National Picasso-Paris. La mostra, a cura di Salvador Haro e Harald Theil con la collaborazione di Claudia Casali, è la terza dedicata al suo lavoro ceramico degli ultimi 60 anni. Picasso si interessò alla ceramica grazie a Paul Gauguin nei primi anni del 1900, ma iniziò a lavorarla solo nel dopoguerra a Vallauris nel laboratorio Madoura di Georges e Suzanne Ramié. Da il via così a una febbrile attività creativa che lo porterà a realizzare oltre 3000 pezzi unici di ceramica: una selezione delle sue più belle realizzazioni è esposta al Museo in dialogo con le fonti che lo hanno ispirato con lo scopo di approfondire il suo processo creativo. Il suo avvicinamento alla ceramica non fu infatti improvvisato come testimoniano i diversi disegni preparatori e la sua fonte di ispirazione fu la ceramica antica delle grandi civiltà del Mediterraneo.

Una sezione speciale è dedicata al rapporto tra Picasso e Faenza. Diversi sono i pezzi di Picasso che il Museo possiede grazie al tramite di Tullio Mazzotti di Albisola, di Gio Ponti e dei coniugi Ramié i quali furono sollecitati a richiedere alcuni manufatti al Maestro per un’esposizione a Faenza e, soprattutto, per la ricostruzione delle Collezioni d’arte ceramica moderna andate distrutte dal bombardamento alleato del maggio 1944. Merito dell’allora direttore Gaetano Ballardini, nonché fondatore del Museo faentino, che contattò Picasso a Madoura con una lettera commovente e davvero toccante. Fu così che arrivò nel 1950 il primo piatto ovale raffigurante la Colomba della Pace, memento contro ogni guerra, espressamente dedicata al Museo di Faenza e al tragico destino della sua Collezione e della sua struttura.  Seguirono altri piatti nel 1951 con teste di fauno e vasi dal sapore arcaico e archeologico e il grande vaso “Le quattro stagioni” (1951), graffito e dipinto, con la raffigurazione pittorica e morfologica di quattro figure femminili, le cui forme sinuose vengono sostanziate dalla curvatura accesa del vaso.

Venerdì 6, 13 e 20 dicembre, visite guidata alla mostra “Picasso, La sfida della ceramica”, Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza – info e prenotazioni: 0546 697311, info@micfaenza.org

“Primo Amore” di Garrone al Cinema Europa

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Volge al termine “I filosofi e il cinema“, la rassegna realizzata dal Cinema Europa di Faenza che saluta il suo pubblico con uno dei più apprezzati registi del cinema italiano contemporaneo, Matteo Garrone, e il suo film del 2004 “Primo Amore” nella serata di martedì 3 dicembre.

Ancora una volta un film che propone una profonda riflessione filosofica, psicologica e morale: che cos’è l’amore e cosa significa vita di coppia? Fino a che punto bisogna sacrificare se stessi per l’altro? Come si scardina l’ormai tradizionale logica della sottomissione? Per rispondere a queste domande difficili, Matteo Garrone decide di raccontare la storia di un artigiano orafo della provincia veneta di nome Vittorio. Un uomo ossessionato dalla perfezione e della purezza della materia. Un’ossessione che non applica solamente al suo lavoro ma anche alla sua vita personale e soprattutto ai suoi rapporti affettivi: in questo senso anche la donna di cui si innamora, la giovane e bellissima, commessa e modella Sonia, che lo ricambia, deve rientrare all’interno dei suoi canoni estetici. Sonia è una donna semplice, impegnata nel sociale e felice di essere d’aiuto per il prossimo, orgogliosa del ruolo che ricopre all’interno della società e tuttavia estremamente attratta dal lato oscuro di Vittorio. I due andranno a vivere insieme in un luogo isolato: qui Sonia troverà la sua prigione. Costretta a dimagrire 40 chili per incarnare l’ideale femminile di Vittorio, la donna non si renderà conto di essersi progressivamente isolata da amici e partenti, finendo vittima di un pericoloso vortice fisico e psicologico, senza riuscire a tenere in alcun modo testa alla forte personalità del compagno. Un film introspettivo ed espressionistico che segna una vera e propria svolta nella filmografia del regista, distanziandosi dal precedente capolavoro “L’imbalsamatore”, ma confermandosi come ulteriore prova del suo grande talento.

Seguirà la visione in sala il commento del critico e giornalista pubblicista Andrea Panzavolta, noto per essersi già altre volte occupato di riflettere sul rapporto tra cinema, filosofia e letteratura in due suoi volumi, Lo spettacolo delle ombre (2012) e Passeggiate nomadi sul grande schermo (2013). Nel 2018 ha curato insieme a Pia Campeggiani il volume Il vangelo secondo Bergman ed è autore di diversi saggi apparsi su riviste di filosofia e di critica letteraria e di libretti d’opera.

Martedì 3 dicembre, Primo Amore, Cinema Europa Faenza, ore 20 – info: cinemaeuropa.it

SUA MAESTÀ IL TORTELLINO HA IL VINCITORE E REGNA A TAVOLA

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Trofeo del Tortellino d'Oro Bologna 2019_ph Al Pappagallo

Questa mattina a Bologna, nella prestigiosa cornice di Palazzo Malvezzi, cuore della città universitaria, è stato conferito il ‘Trofeo Tortellino d’oro di Bologna 2019

Il Trofeo, bandito dalla Confraternita del Gnocco d’Oro in collaborazione con la Dotta Confraternita del Tortellino, l’Associazione Tour-Tlen, l’Associazione Sfogline di Bologna e provincia, La San Nicola e l’Associazione Modena a Tavola è stato assegnato a Michele Pettinicchio e a Elisabetta Valenti padroni di casa del ristorante ‘Al Pappagallo‘ – per “l’inestimabile eredità culinaria petroniana racchiusa in una cucina di antiche tradizioni e nuove emozioni, servite ai tavoli di un ristorante elegante e raffinato che all’alba dei suoi cento anni di vita continua a emozionare bolognesi, italiani e stranieri” -, alla presenza del Presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, il Presidente della Commissione Politiche Economiche Regione Emilia-Romagna Luciana Serri, il Gran Maestro della Confraternita del Gnocco d’Oro Luca Bonacini, il giornalista e scrittore Giancarlo Roversi e i sindaci dei comuni bolognesi che hanno aderito al progetto e di Castelfranco Emilia in qualità di “terra franca” nell’eterna disputa tra petroniani e geminiani sulla paternità dei tortellini che in comune hanno solo la provenienza, l’Emilia, che offre il ricco montepremi destinato ai migliori tra i 50 partecipanti al Trofeo nelle due categorie partecipanti: “Ristoranti” e “Pastifici artigianali”.

Vincitori Trofeo del Tortellino d’Oro di Bologna 2019_da sx GM L Bonacini, M Pettinicchio e E Valente ristorante Al Pappagallo, Bologna_ph Lara Congiu

«Siamo a Bologna a presentare un volume che per noi è importantissimo». E’ con queste parole che Luca Bonacini ci racconta come si è giunti a questo grande riconoscimento. «E’ la prima volta che la Confraternita esce dai confini modenesi e questo del “Tortellino d’Oro” è il nostro decimo volume. La Confraternita si è costituita nel 2011 per iniziativa di un insieme di giornalisti, scrittori, enogastronomi e chef al fine di creare un gruppo di lavoro per mappare i prodotti emiliani che a nostro parere non avevano abbastanza credibilità ed autorevolezza, tra questi il ‘gnocco fritto’.

Il primo progetto della Confraternita è stato un libro sui bar dove tutte le mattine si frigge il gnocco fritto – crescentine per altri -, usanza peraltro abbastanza anomala nel resto delle altre provincie italiane, questa idea ci piacque molto perché ci consentiva di parlare della colazione alla modenese, alla emiliana, una vecchia usanza di cui ogni tanto si torna a parlare, di questi cibi sostanziosi che si consumavano a colazione alle prime luci dell’alba, prima di iniziare la dura giornata di lavoro.

Così abbiamo “sguinzagliato” i Cavalieri per assaggiare il gnocco fritto in questi locali dove si frigge dalle sei del mattino sino alle undici, è l’alternativa emiliana alla brioche. Alla fine abbiamo mappato quasi 100 bar dove tutt’ora vive la tradizione. Da qui in avanti è iniziata la collaborazione con le Università di Bologna e di Modena, le Confraternite, tanti gourmet, giornalisti e scrittori così da esplorare in modo diverso le nostre “bandiere”.

Trofeo del Tortellino d’Oro di Bologna 2019_Gran Maestro Luca Bonacini, Confraternita del Gnocco d’Oro_ph Lara Congiu

Abbiamo adottato lo stesso criterio per arrivare a decretare i migliori tortellini della ristorazione bolognese. 40 assaggiatori in incognito, i più insigni palati tra i Cavalieri, per oltre due mesi hanno assaggiato, valutato e votato a più riprese i tortellini dei ristoranti segnalati, circa 50.

Attraverso poi una valutazione basata sulla compilazione di una scheda molto complessa, sostanzialmente una scheda organolettica che analizza tutti i componenti del piatto e quindi il brodo, la pasta, il contenuto, alla fine abbiamo attribuito un voto numerico.
Tra le realtà selezionate ci sono trattorie, qualcuna contemporanea ed altre tradizionali, c’è anche qualche ristorante classico.

La scelta del tortellino perfetto non è stata facile, come si dice: “ogni pianerottolo ha la sua ricetta, anche ogni condominio, ogni quartiere”. I sei finalisti hanno avuto un unico comune denominatore: un grandissimo equilibrio tra pesto e sfoglia, una certa tenacia della sfoglia, la presenza di uova di qualità che sicuramente emergeva, ed un brodo che sprigionava tutte le sue caratteristiche sia erbacee che animali ma anche la temperatura di servizio ha avuto la sua importanza.

Abbiamo valutato anche i pastifici – conclude il Gran Maestro – per questi è stata predisposta una seduta straordinaria di “Tortellino Tasting”, è un settore della gastronomia poco esplorato e qui, anche loro, per una volta hanno avuto attenzione, dove chef stellati bolognesi insieme a grandi esperti hanno assaggiato i loro prodotti.

E’ importante sottolineare come le materie prime sono tutte locali, per i pastifici abbiamo assaggiato anche qualche tortellino vegano e senza glutine, abbiamo tirato fuori anche questo aspetto che è contemporaneo e cercato di consegnare un risultato che desse giustizia anche a questi ambiti della enogastronomia dando un riconoscimento anche ai migliori delle due categorie dei pastifici».

In questa giornata speciale il tortellino salta alle cronache del gusto, riceve riconoscimenti ed onori e viene incoronato “Re della tavola emiliana” ed a lui viene dedicato il volume illustrato “SUA MAESTÀ IL TORTELLINO DI BOLOGNA – THE KING” (Artestampa) a firma di Luca Bonacini, e Giancarlo Roversi, che raccoglie ricette e aneddoti legate alla storia e alle origini della pasta ripiena per eccellenza e riporta le interviste dedicate a ognuna delle attività partecipanti unite tra loro da un comune denominatore, la passione per il tortellino, viatico universale, ‘passaporto made in Bo’.

Arte e narrazione. In mezzo, la vita. Brevi note su Ritratti di John Berger

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John Berger

 

«Non ho mai sopportato di essere definito un critico d’arte. È vero che per un decennio o più ho scritto regolarmente di artisti, mostre, esposizioni nei musei su giornali e riviste, dunque il termine è giustificato. Ma, nell’ambiente in cui sono cresciuto fin da adolescente, dare del critico d’arte a qualcuno equivaleva a un insulto. Il critico d’arte era un tizio che sparava giudizi e pontificava su cose di cui sapeva poco o nulla. Non era spregevole come un mercante d’arte, ma era un rompicoglioni»: inizia così il poderoso volume edito da Il Saggiatore in cui sono raccolti ottantotto ritratti scritti dal giornalista, pittore, critico e scrittore John Berger nell’arco di una vita (64 anni, per l’esattezza, dal 1952 al 2016, l’anno prima della morte dell’autore), a coprire un arco temporale smisurato, dalle pitture rupestri di Chauvet, che datano circa 30.000 anni prima di Cristo, per arrivare all’artista siriana Randa Mdah, classe 1983, che di Berger avrebbe potuto esser la nipote, in merito al cui lavoro l’autore scrive «In vita mia non ho mai visto disegni come quelli che sto osservando. Quel che li rende senza precedenti è – almeno per me – l’esperienza di vita di cui sono impregnati. Non la descrivono e non la illustrano, ne sono semplicemente colmi».

Una medesima attitudine, un analogo vivissimo incanto, informa di sé ciascuno dei ritratti presenti nel volume, che si ragioni dell’ineloquenza di Piero della Francesca o del progressivo incalzare del mondo in quattro Madonne dipinte da Giovanni Bellini nel corso di altrettanti decenni, della propensione maieutica di Mantegna o dell’ossessione fallica di Michelangelo, dell’amore di Brecht per Brueghel il Vecchio o della forzata coesistenza delle figure nelle tele di Caravaggio, della prossimità con la danza nell’arte di Picasso o del postulato di Alberto Giacometti in base al quale la realtà non è condivisibile, dell’attesa nei dipinti di Rothko o della meticolosità di Pollock, dell’aria fritta che occorre attraversare per conoscere Jean-Michel Basquiat o di tanto, tanto altro.

 

 

Una sublime capacità di scrittura, che non sta certo a noi dover certificare, dona a queste pagine la vivezza e la vivacità che certo risiedeva, in primis, negli occhi dell’autore, qui poeta nel senso etimologico di (ri)creatore di biografie e mondi.

Un esempio fra i molti possibili riguarda il primo dei tre testi dedicati a Francis Bacon, scritto nel 1952 (all’età di soli 26 anni!), con una capacità di analisi e una precisione da far impallidire la stragrande maggioranza degli odierni soloni, e che per quanto riguarda la nostra pur parziale esperienza ci ha fatto intuire aspetti del lavoro dell’inquieto irlandese quanto -se non più- del pur fondamentale volume che Gilles Deleuze gli ha dedicato (per chi fosse curioso: Gilles Deleuze, Francis Bacon. Logica della sensazione, 1995). La chiusa di questo scritto giovanile di Berger vale -a mo’ di sineddoche- riportare con una certa ampiezza: «Avverto che il papa urla non per lo stato della sua coscienza o per lo stato del mondo ma, come una marionetta, semplicemente perché è stato messo nella teca di vetro di Bacon. Se è vero, questo spiega un’altra volta il potere ipnotico dei dipinti. Lo spettatore guarda come al Grand Guignol, affascinato perché, in un certo senso, messo a suo agio – l’orrore è stimolante perché è remoto, perché riguarda una vita distante dal mondo normale. Se i dipinti di Bacon cominciassero a occuparsi di una vera tragedia del nostro tempo, strillerebbero meno, sarebbero meno gelosi del proprio orrore, e non ci ipnotizzerebbero in nessun caso, perché noi, con la coscienza rimescolata, saremmo troppo coinvolti per permetterci quel lusso».

 

Francis Bacon, Testa VI, Papa Innocenzo X, 1949

 

Molto a lungo si potrebbe continuare a dar conto dell’incessante propensione all’attivazione estetica (dunque, etimologicamente, esperienziale e conoscitiva) del lettore, ma per ora par sufficiente tornare, in chiusura, all’avvertimento dell’autore relativo alle molte immagini che accompagnano il volume: «Le illustrazioni di questo libro sono tutte in bianco e nero. La ragione di questa scelta è che, nel consumistico mondo odierno, le riproduzioni patinate a colori tendono a ridurre ciò che mostrano ad articoli di una lussuosa brochure per milionari. Mentre le riproduzioni in bianco e nero sono semplici promemoria».

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Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira.

J.D Salinger, Il giovane Holden

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Dire grazie, almeno.

 

MICHELE PASCARELLA

 

John Berger, Ritratti, Il Saggiatore, Milano, 2018, pp. 645, € 45

 

Paolo Icaro, Cantiere.

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Ha inaugurato lo scorso sabato 23 Novembre Cantiere, seconda mostra personale di Paolo Icaro (Torino, 1936) alla galleria P420.

Con una straordinaria produzione artistica che abbraccia un arco di tempo lungo oltre cinquant’anni, Icaro mette in scena negli spazi di P420 una mostra-opera, un viaggio attraverso alcuni momenti fondamentali del suo stesso percorso, una ventina di opere dagli anni ’60 ad oggi scelte e presentate all’interno di un’esperienza unitaria che l’artista chiama Cantiere.

Cantiere, area di lavoro all’interno della quale si svolgono le operazioni necessarie alla costruzione di un’architettura, di un’opera, area di intervento, di cambiamento. Cantiere è il cambiamento, è il divenire, è il progetto e la consapevolezza del cambiamento. Cantiere è la costruzione del cambiamento. E’ un viaggio personale, è unfinished, è un traguardo non ancora raggiunto. Cantiere è la costruzione dei sogni.

Come spiega lo stesso artista “Cantiere è luogo di lavori in corso: la domanda, la scelta, si susseguono attraversate dal filtro critico, le ipotesi si convertono in azioni che aprono altre ipotesi, altre riflessioni critiche. Nel Cantiere lo spazio è dinamico, continuamente modificato, ripensato, aggiustato, deformato, e il fare lascia spazio al disfare per rifare.

Tra le mostre personali più recenti ricordiamo Antologia 1964-2019, a cura di Elena Volpato e attualmente in corso presso GAM, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino, Alla ricerca dell’equilibrio perduto, Galleria Massimo Minini, Brescia (2018), Un prato in quattro tempi, La Statale Arte, Milano (2017),  Le Pietre del Cielo: Paolo Icaro e Luigi Ghirri, Fondazione Querini Stampalia, Venezia (2017) e Respiro, all’interno dell’esterno dell’interno…, Fondazione VOLUME!, Roma (2017).

 

Fino al 15 gennaio 2020

Bologna, Galleria P420, via Azzo Gardino 9. Info & Orari: p420.it

La Galleria de’ Foscherari 1962 – 2018

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La Project Room del MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, spazio che il museo dedica principalmente alla riscoperta di alcuni degli episodi culturali più stimolanti e innovativi in ambito bolognese e regionale, prosegue la sua attività espositiva con La Galleria de’ Foscherari 1962 – 2018, mostra che ricostruisce la nascita e lo sviluppo di un punto di riferimento per l’arte contemporanea a Bologna e non solo.

La Galleria de’ Foscherari, fondata da Enzo Torricelli, al quale si uniscono in seguito Franco Bartoli e Pasquale Ribuffo, nasce nei primi anni Sessanta e fin dall’inizio articola il proprio programma di attività su due filoni d’indagine strettamente connessi: l’attenzione alla tradizione criticamente consolidata e l’interesse per la ricerca e la sperimentazione.

Accanto a un fitto calendario di mostre che si sono sviluppate in queste due direzioni, segnando la vita culturale della città, la galleria ha portato avanti un’attività editoriale rappresentata non solo da cataloghi e monografie, ma anche da una collana di quaderni su temi specifici curata storicamente da Pietro Bonfiglioli, oggi selezionati e ristampati nella pubblicazione antologica Il Notiziario della Galleria de’ Foscherari (1965-1989), che viene pubblicato in occasione della mostra per la cura di Vittorio Boarini.

L’esposizione al MAMbo vuole essere un riconoscimento, un ulteriore contributo alla lunga e ricca storia della galleria e un omaggio alla figura di Pasquale Ribuffo, scomparso nel 2018. L’allestimento accosta un’ampia scelta di materiali storici – fotografie, documenti, cataloghi, locandine, inviti – a una selezione di opere di artisti che hanno segnato i momenti chiave nell’attività della de’ Foscherari: Pierpaolo CalzolariMario CeroliLuciano De VitaMarcello JoriSophie KoLuigi MainolfiPiero ManaiEva MarisaldiLiliana MoroClaudio Parmiggiani, Concetto PozzatiGermano SartelliMario SchifanoVedovamazzeiGilberto Zorio.

Inaugurazione: giovedì 5 dicembre 2019 h 18.30.

Dal 6 dicembre 2019 al 1 marzo 2020

Bologna, MAMbo – Museo d’arte Moderna di Bologna, via Don Minzoni, 14. Info & Orari: mambo-bologna.org

Aspettami dove ricordo di averti trovato

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Inaugura alla CUBO Gallery di Parma la personale di Alice Serafino.

Aspettami dove ricordo di averti trovato è una raccolta di immagini create con la tecnica della cianotipia e del fotogramma. Alice Serafino inventa mondi onirici che imprime sulla carta con ordine e competenza. Le opere dell’autrice saranno esposte negli spazi della CUBO Gallery da venerdì 6 dicembre 2019.

La nascita delle opere avviene in camera oscura attraverso un processo che richiede una profonda conoscenza del metodo analogico utilizzato, accompagnata da un desiderio di sperimentazione. Il lavoro meticoloso e l’attesa del risultato non appartengono più ai nostri tempi, ed evocano un mondo antico di pazienza e dedizione.

I fotogrammi esposti sono selezionati da Tiny Worlds-Piccoli Mondi, mentre i cianotipi da Up in the Sky, Moons and Bamboos, Naturalia, Minuscule: serie sviluppate dall’artista dal 2011 ad oggi.

 

 

La natura è protagonista delle opere di Alice, che ricama poesie di vita attraverso l’impiego della luce. Prendendo spunto dal processo seguito dal grande Man Ray, predilige elementi naturali delicati e fragili, frammenti del mondo botanico e animale che in sinergia danno vita a delicate narrazioni. L’autrice ha la capacità di ricordarci attraverso un fotogramma  l’importanza della vita di microcosmi che spesso trascuriamo: inserisce nelle composizioni la figura umana e crea ponti, rappresentazioni del legame inscindibile tra l’uomo e il creato. Miniature umane popolano questa natura, e le immagini costruite ci conducono con leggerezza proprio a questi piccoli altri mondi.

La scelta dei soggetti nasce dall’amore verso gli elementi naturali, dal desiderio di conoscenza e protezione delle piccole forme di vita. Il suo laboratorio è come una Wunderkammer, una camera delle meraviglie nella quale i collezionisti del XVIII secolo conservavano i cosiddetti mirabilia, gli oggetti che suscitavano meraviglia. Tra questi, i naturalia e gli artificialia. Sono soprattutto i naturalia a popolare le opere fiabesche di Alice Serafino, che vedono protagonisti animali e vegetali. Le immagini sono come teatrini in cui vanno in scena attimi della vita di questi esseri viventi: l’autrice coglie l’istante in cui accade un battito d’ali, un soffio di vento che muove un filo d’erba, il volo di un insetto.

Il forte contrasto che scaturisce dal negativo sottolinea l’importanza dei soggetti scelti.  Figure nitide in primo piano si contrappongono a sfondi purissimi.

In galleria le opere si presentano con semplicità: l’uso di tecniche particolari attribuisce loro una forte personalità.  I cianotipi (dal greco kyanos, “blu”)  decorano del caratteristico blu di Prussia le pareti della galleria, i fotogrammi (o rayogrammi, come da definizione surrealista),  in cui è lo sfondo nero a dominare, si contrappongono allo spazio bianco che li circonda.

Alice sa cogliere impercettibili frazioni di tempo e fissarle prima che si dissolvano nella memoria e cadano nell’oblio, nel tentativo di conservare e comunicare le emozioni che sanno suscitare. A descrivere compiutamente la sua ricerca è un frammento del romanzo che vede come protagonista un’altra Alice, che nel Paese delle Meraviglie si rivolge al Bianconiglio con la domanda: ”Per quanto tempo è per sempre?”. La risposta è sorprendente: ”A volte, solo per un secondo”.

 

 

ALICE SERAFINO

Nasce a Pinerolo nel 1980.  Dopo essersi laureata all’Accademia di Belle Arti ha continuato ad approfondire la propria ricerca negli ambiti della fotografia, dell’illustrazione e della grafica.

Oltre all’esposizione permanente delle sue opere presso la galleria Elena Salamon Arte Moderna di Torino dal 2011 e alla Galleria Artsnug di Londra dal 2018, negli ultimi anni ha esposto i propri lavori sia in Italia (Torino, Genova, Roma, Cagliari, Milano, Bologna, Venezia, Trieste) che all’estero (Istanbul, Praga, Londra, Budapest). La galleria Elena Salamon le ha dedicato le personali ‘Piccoli mondi a contatto’ nel 2013, ‘Buio, Luce e Meraviglie’ nel 2017 (replicata in forma ridotta nel 2018 nell’ambito della rassegna Fo.To Fotografi a Torino) e ‘Con la testa tra le nuvole’ nel marzo del 2019.

Nel 2018 vince a febbraio il Premio N.I.C.E. Paratissima Bologna e a novembre il Premio Art Gallery Paratissima Torino. Nell’ottobre 2019 viene selezionata tra i finalisti della IV edizione del Premio Internazionale di Arte Contemporanea LYNX e vince il premio Be Art Builder.

Vive e lavora a Pinerolo (Torino).

 

inaugurazione sabato 7 dicembre ore 17 – Parma, CUBO Gallery, via La Spezia 90 ingresso libero – orari: da lunedì a sabato 10-19 – altre visite su appuntamento: cubogallery@gmail.com – info: www.cuboparma.com

 

Il riverbero del tempo

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L'eco della falena - foto di Elisa Gannetti

 

Gioco e poesia ne L’eco della falena di Cantiere Artaud.

Riflettere sul tempo che passa significa anche chiedersi su quali nessi causali si basi la temporalità. La visione ordinaria vuole che il tempo sia un flusso lineare. Il passato causa il presente, il presente si tramuta nel futuro, il futuro spazzato via dal movimento diventa memoria. Il tempo sarebbe così una successione di istanti che procedono in modo ordinato e serrato. Il lavoro L’eco della falena della promettente compagnia Cantiere Artaud riflette, invece, su un altro modo di intendere la temporalità, più paradossale e sfidante, ma proprio per questo anche più interessante. Non esiste né passato, né presente, né futuro: la vita è un insieme di frammenti sparsi che non esistono di per sé, perché sono il riverbero di un intero più grande di loro.

Frammentario è, dunque, l’impianto dello spettacolo, che trova la fonte di ispirazione principale nella vita e dalle opere di Virginia Woolf. Vediamo sulla scena due attori. Da un lato, abbiamo Sara Bonci, alter ego immaginario della Woolf, come si può arguire dal fatto che lo spazio è palesemente arredato con scrivanie, fogli e altri oggetti che danno l’impressione di trovarsi nello studio di una scrittrice. Dall’altro, c’è Filippo Mugnai, che incarna una figura maschile di incerta identificazione e rimane invisibile alla donna per quasi tutta la durata dello spettacolo. Non è chiaro, infatti, se costui sia un vecchio amore di lei, o un amante aspettato da sempre e mai arrivato, o un’altra entità ancora. L’unica cosa sicura è che l’uomo costituisce una sorta di proiezione mentale e passionale all’interno di un sogno della scrittrice: un’eco di ciò che ella desidera, ama e vorrebbe abbracciare nella veglia, per riuscire a colmare la sua solitudine. Le azioni che entrambi i personaggi compiono in scena non seguono, pertanto, una logica lineare. Esse sono compiute dalla donna per cercare di trattenere questa presenza fantasmatica, dall’uomo per provare a interagire con lei e instaurare un legame interiore, non essendo possibile quello fisico ed esteriore.

 

L’eco della falena – foto di Elisa Gannetti

 

Valgano alcuni esempi. L’uomo appare spesso dietro una porta trasparente situata sul fondo del palco, invitando la donna a varcare una soglia che ella però non riesce mai ad attraversare. Se volesse, dunque, ella potrebbe incontrare questa figura misteriosa. A trattenerla è tuttavia la paura di tramutare questo sogno in realtà, da cui segue che la visione onirica è anche una rappresentazione delle inquietudini del personaggio che le precludono di accettare e affrontare l’ignoto. Inoltre, l’uomo appare fintanto che la scrittrice compie determinate azioni sulla scena, come estrarre un orologio da taschino, gettare e contare i sassi dentro una bacinella colma d’acqua, o sistemare delle carte sul tavolo, in altre parole ogni volta che ella cerca di mettere ordine al tempo e di misurarlo. La figura maschile è così leggera come la musica: si manifesta solo quando si riesce a dare alla temporalità una scansione ritmica e bella. Nei rari momenti in cui i due personaggi interagiscono tra loro, infine, essi finiscono per entrare in invisibile conflitto, o per allontanarsi pur essendo sul punto di toccarsi e di stare vicini. Particolarmente interessante è, in tal senso, il punto in cui l’uomo riesce a trattenere per il vestito la donna che fa per avviarsi verso la bacinella e, tuttavia, viene spinto indietro come una molla dalla violenza fisica di lei. I due potenziali amanti si fuggono mentre si inseguono, tanto che alla fine il sogno finirà e la donna si sveglierà, invecchiata, pronunciando per la prima e unica volta alcune parole di resa: «È stato bello aspettarti tutta la vita, è stato bello stare qui nella prigione di cristallo», «Ho frugato per anni nel taschino del mio vestito», «Ho sperato nel taschino del mio vestito di ritrovarmi».

Il tempo de L’eco della falena è allora qui il riverbero di un desiderio mai realizzato. Ogni minimo evento che ha luogo di fronte allo spettatore non racconta nulla di definito, non descrive niente di concreto, perché è un tentativo di metterlo in contatto con una bellezza assente dall’esistenza quotidiana e normale. Questo tipo di azione pone un legame tra i nostri gesti visibili che sembrano insignificanti con la manifestazione di una poesia invisibile. Le cose più importanti che facciamo non sono per forza quelle più magnifiche o appariscenti, bensì quelle che portano con sé una qualità poetica. Lo scorrere lineare del tempo a cui siamo abituati è dunque colmo di avvenimenti superflui, la cui trama può però essere spezzata da istanti di poesia che ci mettono in contatto con qualcosa di più bello, sia esso l’amore di un’altra persona, o un’altra esperienza vitale di uguale / superiore intensità. L’eco della falena cerca così di sensibilizzarci a organizzare la nostra vita in modo da cercare questi attimi privilegiati, lasciando da parte tutto ciò che è inutile rumore e vano agitarsi.

 

L’eco della falena – foto di Elisa Gannetti

 

Da un punto di vista estetico, questo significa cercare di prendere l’esistenza come un gioco. L’uomo e la donna sulla scena non fanno in fondo altro che giocare. A volte, ciò è esplicitato in modo diretto, come quando si vede la scrittrice che, per combattere la solitudine, si mette a far danzare le scarpe, oppure dondola su un’altalena nascosta dietro le quinte. Altre volte, la dimensione ludica è più sottile, ma non per questo meno pregnante. Anche l’atto dell’uomo e della donna dello sfuggirsi con l’inseguirsi è, infatti, un gioco: un modo in cui le due anime si sfiorano e si provocano a vicenda, creando così un’intesa diversa da quella del contatto col corpo. Giocare è allora l’atto umano che mette più facilmente in contatto con la poesia. Un accadimento poetico è infatti leggero e gratuito, sicché ha la stessa leggerezza e gratuità tipica del gioco.

Benché L’eco della falena parta dalle memorie di una scrittrice ormai morta, lo spettacolo parla comunque di noi, dei nostri desideri e delle nostre fragilità. Ciascun essere umano sogna un fuoco che lo ravvivi, desidera qualcosa di stupendo che spesso non si verifica mai, e per avvicinarvisi preferisce correre il rischio di bruciarsi o di essere sconfitto. Come falene che si avviano verso la fiamma, noi cerchiamo un contatto con la luce della poesia e del gioco della verità.

 

ENRICO PIERGIACOMI

 

L’eco della falena. Primo capitolo sul tempo, ispirato alle opere di Virginia Woolf. Drammaturgia e regia Ciro Gallorano. Con Sara Bonci e Filippo Mugnai. Disegno luci Federico Calzini. Tecnico del suono Francesco Checcacci. Produzione Cantiere Artaud. Residenze artistiche Teatro Comunale di Bucine/Diesis Teatrango, Teatro Verdi di Monte San Savino/Officine della Cultura. Sostegno del MiBAC e di SIAE, nell’ambito del programma Per Chi Crea. Visto al Teatro Comunale di Bucine il 25 ottobre 2019. info: https://cantiereartaud.wordpress.com/leco-della-falena/

 

Corpo, spazio, relazioni: al Festival Testimonianze Ricerca Azioni di Genova

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Città di Ebla - foto di Davide Colagiacomo

 

Abbiamo trascorso alcune dense ore con Teatro Akropolis partecipando a un dialogo, a uno spettacolo e a un seminario. Una breve cronaca.

«Lo spazio è un luogo praticato. Così la strada geograficamente definita da un’urbanistica è trasformata in spazio dai camminatori»: l’elementare distinzione offerta dal filosofo gesuita Michel de Certeau nel suo L’invenzione del quotidiano pare utile a tracciare un fil rouge, tra i molti possibili, per collegare gli atti performativi e di pensiero in cui ci siamo imbattuti in un giorno e mezzo trascorso a Genova in occasione dell’edizione numero dieci del Festival Testimonianze Ricerca Azioni a cura di Teatro Akropolis, ensemble che con pervicace rigore persegue da anni una via alta e altra di indagine dell’umano attraverso la pratica scenica e lo studio.

La relazione fra opera e modo, va da sé, è da sempre condizione necessaria alla sua stessa “esistenza in vita”. Ciò che connota le forme incontrate è come essa divenga prerequisito ineludibile, nutrimento essenziale a far sì che il fatto artistico possa accadere.

La relazione tra corpo e spazio, nomen omen, è stato l’elemento essenziale di Studio per Corpo centrale :: Genova, progetto di Città di Ebla che nel 2020 prenderà fattezze di spettacolo.

Con incedere da flâneur, il direttore artistico dell’ensemble forlivese Claudio Angelini ha guidato un dialogo che si prefiggeva di raccogliere materiali sul rapporto fra gli abitanti di Genova e la propria città, alla ricerca della possibilità di «far performare un luogo urbano»: il termine Studio qui usato va dunque inteso non nel senso gergale di presentazione di uno spettacolo non ancora (ri)finito ma in quello letterale di concreto momento di lavoro attorno a un progetto da farsi.

 

Paola Bianchi – foto di Davide Colagiacomo

 

Ha avuto, al contrario, consistenza pienamente compiuta l’assolo Energheia di Paola Bianchi, presentato in prima assoluta.

Come la danzatrice e coreografa racconta nel denso volume che accompagna il Festival (tanto ci sarebbe da dire sull’instancabile attività editoriale di Teatro Akropolis, oltremodo meritoria in questi tempi bui), l’assolo è stato costruito a partire da qualche centinaio di immagini, «pubbliche e non personali», reperite interpellando una quarantina di persone «diverse per età, sesso e professione» e poi incarnate e composte attraverso un rigoroso e visionario processo di embodiment da cui è scaturita, in dialogo con una partitura sonora live di pulsazioni elettriche e distorte sonorità chitarristiche, una coreografia di tensioni e linee spezzate, intrecci e sovrapposizioni nella quale la dimensione muscolare, finanche ginnica, è parsa funzionale ad incarnare, piuttosto che ad imitare, le immagini-stimolo ricevute.

Vien da pensare a Egon Schiele, immediatamente, ma anche e soprattutto alla inderogabile relazione fra il corpo e lo spazio che lo costringe e al contempo lo fa esistere così come Gilles Deleuze lo legge nelle Figure di Francis Bacon.

In un serrato, potentissimo susseguirsi di spasmi e tremori, il corpo dolente e inquieto dell’interprete fonda la propria vibratile presenza sulla possibilità di farsi trasparente, o meglio di divenire veicolo di immagini, secondo una concezione antica di poeta come connettore, ancor prima che creatore.

Tanto altro si potrebbe dire su questo archivio di carne e tendini, di muscoli e ossa, dal quale affiorano in controluce istanze e tensioni che hanno fornito spinta propulsiva alle ricerche di Avangiardie, Neoavangiardie e, come qualcuno le definisce, Terze Avanguardie, nell’ultimo secolo o giù di lì.

Ma, al di là dei rimandi soggettivi o delle opinabili connessioni con la storia dell’arte, ciò che emerge con forza è la “lente scientifica” attraverso cui questa sapiente danzautrice ha trasdotto un materiale che se non trattato con rigore disciplinare sarebbe scaduto in un inutilmente generico pourparler,ma al contrario fondando, per dirla parafrasando ancora de Certeau, il luogo da cui pronunciare il proprio discorso coreutico: «Il suo valore proviene unicamente dal fatto che si produce proprio nel punto dove parla il Locutore […] la sola autorizzazione gli viene dall’essere il luogo di questa enunciazione».

Questo luogo, ça va sans dire, è il corpo nella sua relazione con lo spazio.

 

Marco De Marinis – foto di Lorenzo Crovetto

 

Il giorno seguente abbiamo partecipato all’incoraggiante seminario Per una politica della performance. Il teatro e la comunità a venire condotto dallo storico del teatro Marco De Marinis, con cui Teatro Akropolis ha da molti anni in essere un proteiforme, denso dialogo.

Lungi da noi la pretesa di sintetizzare la ridda di stimoli e riferimenti che questo fecondo atto di pensiero ha messo in campo, fornendo una nutriente cornice storica e teorica a quanto durante il Festival si è esperito in termini di costruzione pratica, non solo mero auspicio, di comunità.

Dire grazie, almeno.

 

MICHELE PASCARELLA

 

Visto a Genova il 14 e 15 novembre 2019 – info: http://www.teatroakropolis.com/testimonianze-ricerca-azioni/

 

La mia Africa, senza mimetismo né folklore. Conversazione con Roberto Castello

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Roberto Castello, Mbira - foto di Piero Tauro

 

Il coreografo ha appena presentato il fortunato spettacolo In girum imus nocte et consumiur igni a Maputo, in Mozambico, dove ha anche condotto un workshop dedicato agli artisti del luogo. Fra pochi giorni porterà il recente concerto di musica, danza e parole “africane” Mbira a Genova, nell’ambito della rassegna Resistere e Creare. L’abbiamo intervistato.

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In girum imus nocte et consumiur igni in scena in Mozambico: tre sorprese che questo incontro ha generato.

Abbiamo presentato In girum imus nocte et consumimur igni nel quadro del Kinani, un Festival piattaforma a cadenza bi/triennale che ormai ha una decina di anni ed è il risultato di un serio ed estremamente efficace lavoro di promozione della danza contemporanea in Mozambico. A Maputo ci sono coreografi notevolissimi che ragionano e agiscono in una logica internazionale, intra africana ma anche extra africana. Gli autori mozambicani infatti, per quanto quasi mai tocchino il nostro Paese, spesso vengono anche in Europa con i loro lavori, o come interpreti o insegnanti. Hanno quindi molto chiaro cosa avviene al di fuori del Mozambico e dell’Africa. Questo ha costruito una generazione di autori e interpreti sorprendentemente ricca, capace di esprimere un livello tecnico e di ideazione insospettabile. A Maputo abbiamo visto una situazione che ha poco a che vedere con l’idea di Africa che spesso si ha in Italia.

La seconda sorpresa è stata l’accoglienza davvero calorosa che il numeroso pubblico ha tributato al nostro lavoro, per quanto molto radicale. Chiacchierando nei giorni seguenti, è risultato chiaro che non ci sono stati equivoci interpretativi dovuti alla grande distanza geografica, e quindi anche culturale. I nostri intenti sono stati compresi e calorosamente condivisi. Il che era tutt’altro che ovvio.

La terza è stato l’interesse che l’impianto illuminotecnico dello spettacolo ha generato nei molti giovani light designer e autori che fiancheggiano questa nascente scena di danza e teatro mozambicana.

A Maputo hai condotto un workshop dedicato agli artisti del luogo. Quali accorgimenti ha richiesto, lavorare con tale “materiale umano”?

Ho trovato ottime danzatrici e danzatori di ogni colore, molti dei quali con importanti esperienze di studio o di lavoro in Sudafrica, in Europa o negli USA. È stato facile, piacevole e coinvolgente condividere con loro la mia esperienza e il mio metodo di lavoro.

 

Maputo – Mafalala – foto di Mariano Nieddu

 

Materiale Umano è anche il sottotitolo dell’edizione 2019 della rassegna Resistere e Creare, nell’ambito della quale martedì 3 dicembre presenterai il tuo concerto di musica, danza e parole Mbira. Tra l’approccio interculturale, che tende ad accostare le diversità, evidenziandole, e quello transculturale, che ricerca ciò che precede o comunque costituisce un elemento altro rispetto alle peculiarità culturali, quale è più pertinente, rispetto a questa opera?

Non parlerei di interculturalità né di transculturalità. Per me gli spettacoli sono sempre il frutto di un percorso di apprendimento e questo è vero anche per Mbira. Tutto è partito dall’osservazione che l’arte africana, sia nelle arti visive che in musica e in danza, ha influenzato profondamente l’arte occidentale del ‘900, ma raramente gli autori che a lei si sono ispirati hanno citato la fonte. L’approccio coloniale di sfruttamento del continente africano insomma ha più o meno consapevolmente caratterizzato anche l’arte. In questo tempo in cui nel nostro Paese si parla spesso di Africa senza avere idea di cosa sia, Mbira vuole semplicemente evidenziare tutto ciò utilizzando forme e modalità africane senza però alcun intento mimetico o folklorico. La forza dell’arte africana deriva dal suo avere intenti diversi da quelli che animano storicamente quella occidentale. A parte l’eccezione dell’Etiopia, in Africa prima dell’arrivo degli arabi e degli europei non è mai esistita alcuna forma di scrittura. La cultura africana è profondamente orale e non mira a celebrare il genio di autori che creano opere sublimi proiettate verso l’eternità, ma a creare opere profondamente calate nel presente e soprattutto rivolte a una comunità di cui l’autore è parte. Questa è una differenza di prospettiva che a uno sguardo frettoloso può sembrare secondaria ma che ha invece un ruolo fondamentale nel determinare il senso e il sapore delle opere stesse.

Mbira vuole insomma rendere innanzitutto merito alla cultura africana di incarnare valori che l’arte occidentale ha smarrito, o forse non ha mai veramente avuto nelle sue forme colte, che dovrebbero essere considerati con un rispetto diverso da quello che normalmente si attribuisce loro. Da questo discende la forma che lo spettacolo ha finito per assumere.

Definite Mbira uno spettacolo “per piazze e teatri”: in quale maniera il lavoro è programmaticamente e concretamente modificabile da ciò che può accadere, ad esempio, in una piazza?

Mbira non cambia a seconda delle situazioni, sono le situazioni a mettere il pubblico in un rapporto diverso con lo spettacolo. La stessa cosa presentata in teatro o in una piazza per pubblico non pagante finisce per ottenere esiti diversi. Mbira si rivolge a chiunque abbia voglia di prestare attenzione, sia che sia seduto in teatro e abbia pagato un biglietto, sia al passante occasionale che in piedi in una piazza segue lo spettacolo ballando.

 

Mbira – foto di Mario Lanini – Kanterstrasse

 

Puoi dare le tue sintetiche e concrete definizioni di tre parole, ci rendiamo conto, smisurate: esperienza, arte, politica?

L’esperienza è quella cosa che si accumula facendo e non può più di tanto essere trasmessa, arte è quella cosa che serve a mantenere la mente aperta mettendo sistematicamente in discussione tutte le certezze, la politica è la responsabilità di ciascuno verso gli altri e verso il mondo: è quella cosa che ognuno fa ogni volta che sceglie o compie un’azione.

Tu sei innanzi tutto un artista, non un assistente sociale né un educatore. In che modo la tua arte si nutre di questi temi e incontri?

Durante la fase di preparazione si mettono a fuoco delle cose che poi si prova ad articolare in termini teatrali. Siamo parte di un mondo complesso che costantemente interpretiamo e comunichiamo. Di questo mondo fanno parte anche i sentimenti, le emozioni che ci suscita ciò che abbiamo intorno. Non credo che l’argomento, il tema di un lavoro, sia in definitiva così importante. Il tema è ciò di cui si parla quando si racconta lo spettacolo. Lo spettacolo però è tutt’altro. Sono le scelte linguistiche e drammaturgiche che si fanno, il modo in cui si articola il discorso in gesti, suoni, parole, immagini e luci.

Mbira si presenta come una sorta di inno al principio di piacere, alla gioia, alla libertà. Dal tuo punto di vista le persone che partecipano a questo spettacolo cosa riportano nel loro quotidiano, dell’esperienza che vivono con voi?

Forse bisognerebbe chiederlo a chi ha visto lo spettacolo. Posso solo dire che, per chi lo interpreta, è forse, fra tutti quelli che ho fatto nella mia ormai non breve carriera, il più piacevole, gioioso e liberatorio. Spero che, almeno in parte, anche per il pubblico sia così. Credo che vivere un momento di pura gioia collettiva sia sempre qualcosa che fa bene, che ci riconcilia con una dimensione non egocentrica e solitaria dell’esistenza.

 

Mbira – foto di Carlo Carmazzi

 

Marginalità e situazioni sociali complesse sono da moltissimo tempo oggetto dell’indagine di molti artisti. Perché, secondo te?

Non considerare questa una risposta, ma Mbira non è un lavoro a sfondo sociale. È un discorso su oralità e verbalità che giustappone una concezione della vita personale e sociale eminentemente razionale, proiettata verso la costruzione del futuro con una concezione della vita basata sulla relazione. È qualcosa che ha a che fare con la sfera artistica ma anche tantissimo con quella sociale ed economica, è un timido tentativo di suggerire che a volte si potrebbe anche guardare alle cose a alle persone con occhi e logiche diverse da quella che usiamo abitualmente e non è detto che, così facendo, non si possa imparare qualcosa di utile che può anche andare a sfiorare il modo in cui si vive la quotidianità.

Quali realtà, in Italia o altrove, senti affini a questa vostra ricerca? E quali letture la nutrono?

Mi trovo in imbarazzo a menzionare i colleghi che sento più vicini. Per quanto riguarda le letture, mi nutro di saggistica di autori come Sojinka, Kapuściński, Maryse Condé, Jared Diamond, Juval Harari, John Reader, Van Reybrouck, di saggistica economica e politica, e di molta narrativa africana, un campo sterminato e pieno di sorprese davvero meravigliose.

Per concludere: c’è un progetto, o un sogno, africano che vuoi condividere con i lettori di Gagarin Orbite Culturali?

Sì, quello di rendere normale la presenza dei migliori artisti africani in Italia e quella dei migliori artisti italiani in Africa. Mi sembra un sogno pieno di implicazioni positive sotto ogni punto di vista, per cui vale la pena di lavorare.

 

MICHELE PASCARELLA

 

La V edizione di Resistere e Creare, con la direzione artistica di Michela Lucenti e Marina Petrillo, prosegue fino all’ 8 dicembre. Martedì 3 dicembre prima dello spettacolo è in programma un dialogo tra Roberto Castello e Michela Lucenti. A seguire live di musica africana con Cheikh Fall e la compagnia Bakh Yaye Family. Ingresso libero.

  

Info: http://www.aldesweb.org/, http://www.teatrodellatosse.it/

 

Oroscopo dicembre 2019 e gennaio 2020

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ARIETE

Nel mondo del buon cibo padroneggia l’ennesima eccellenza italiana ottenuta da un procedimento non tanto complesso ma di sapiente attesa, dal gusto pungente, un passepartout sempre apprezzato… Parlo dell’aceto balsamico. Anche tu sei a tuo modo un’eccellenza, modera però un poco di più la tempistica e il modo in cui ti poni, a volte un tono sbagliato può incrinare un ottimo lavoro raggiunto con passione e sacrifici.

TORO

Non a caso mia madre è del segno del toro…i suoi cavalli di battaglia in cucina non superano le 5-6 tipologie di pietanze preparate però egregiamente. Non chiederle mai nessuna variante, tedesca e matematica, dalle sue ricette non si muove. Per qualche mese ti consiglio di imitarla, rimani fermo, non avventurarti in cambiamenti se non ampiamente calcolati.

GEMELLI

Negli anni delle mie scuole elementari la cosa bella nei giorni di gita era il pranzo al sacco. Le madri magicamente concedevano panini alla nutella e si poteva bere il Billy!!! Il Billy, solo al pensiero mi commuovo e tu gemellino caro lo rappresenti. Sei la festa, la positività, puoi andare e stare ovunque, il mondo ti apprezza e ti ringrazia.

CANCRO

Per la prossima cena in agenda ti consiglio di rimanere sui prodotti di stagione, niente fragole a Natale. Quindi rimani sul mandarino e non avrai brutte sorprese. Ti stai avventurando in situazioni che non sono tue, frena, rimani su quello sai e su quello che sei.

LEONE

Dovendoti accostare ad un cibo non posso fare altro che collocarti negli abbondanti anni ’80. Panna! Tanta panna, ovunque su tutto; accostamenti improbabili ma allora apprezzati, anche se fuori luogo. Ti sai vendere, continua la tua ascesa, se tu fossi uno chef potresti riportare in auge penne alla vodka e risotto allo champagne!

VERGINE

E’ Natale e si narra che i tempi di lievitazione di un buon panettone artigianale si aggiri tra le 38 e le 45 ore, non posso collocarti sul podio con tale prodotto ma premiarti come miglior panettone industriale sì, questo te lo concedo. Tuo malgrado hai saputo aspettare, non sempre con calma, non sempre con i dovuti modi, ma hai atteso. Ora goditi le feste e il tuo riscatto.

BILANCIA

Qualche anno fa fui invitata a pranzo da conoscenti, era novembre e mi fecero accomodare in una stanza priva di riscaldamento, le pietanze offerte consistevano in una sorta di carbonara senza uova e pancetta seguita da un quantitativo industriale di macedonia composta da uva e mele. Ora…se non hai voglia di cucinare o di avere gente per casa non fare inviti. Stai lontano da situazioni che non ti convincono e che non vuoi vivere.

SCORPIONE

Ti invito a fare un breve viaggio di fantasia…ti trovi in un gradevole villaggio tirolese ed entri in una piccola pasticceria, quello che ti si presenta è una vetrina colma di piccoli miracoli dolciari, torte sapientemente decorate con frutti di bosco, panna, cioccolato; strudel ricoperto di zucchero a velo, frittelle di mele e meringhe giganti; per quanto tu non si sia amante dei dolci è impossibile non cedere davanti a tale spettacolo. Questo è quello che rappresenti, affascinante, seducente e attrattivo. APPROFITTANE!!!

SAGITTARIO

Sei il pranzo della domenica con tutta la famiglia ma non una famiglia qualunque, la famiglia del mulino bianco allargata a nonni, zii, figli del nuovo compagno che vanno d’amore e d’accordo con i tuoi… Sei quasi stucchevole (ovviamente ironizzo). Buona la tua condotta, hai affrontato i cambiamenti con grinta e coraggio. Bravo! Ora goditi i risultati!

CAPRICORNO

Se proprio ci tieni continua a mangiare scroccadenti e torrone ma questo potrà giovare solo alla tua libido e non certo alla tua dentatura. Cocciuto e caparbio spesso ottieni ciò che vuoi ma non sempre senza malumori. Ogni tanto prova ad avere un atteggiamento meno ostico, prova ad esempio una torta paradiso, è meno traumatica e altrettanto gustosa…

ACQUARIO

Ricordi il Fiorello? Si presentava in una piccola confezione di forma triangolare decorata con tanti piccoli fiorellini azzurri, al suo interno trovavi un delicatissimo mascarpone in purezza semplicemente ottimo ma se aggiungevi cacao in polvere diventava sublime. Oltre al cacao potevi arricchirlo con miele, zucchero, confetture, frutta secca e molto altro. Ti sto dicendo che le basi giuste ci sono, devi solo arricchirti e lavorare un poco di più su quello che già di buono c’è.

PESCI

OK. Sei pronto per il tuo “Pranzo di Babette” (se non hai mai letto il libro o guardato il film ti consiglio di farlo). La gavetta è stata fatta e ampiamente superata, ora sei uno chef stellato. Sarà per te un fine anno da gestire con maestria e fermezza, abbandona ansia e titubanza perché hai tutte le doti e capacità per primeggiare. Ti abbraccio!

NOI… 25 ANNI DI STORIA IN MUSICA

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NOI... non eravamo solo canzonette_Palazzo Belloni_Locandina

Inaugura oggi, 29 novembre, “NOI… non eravamo solo canzonette“, il percorso espositivo in mostra a Bologna nella prestigiosa residenza di Palazzo Belloni.

Una grande rappresentazione della storia italiana attraverso le produzioni discografiche che abbracciano la musica d’autore dal 1958 al 1982, venticinque anni di storia in musica racchiusi fra due abbracci, quello di Domenico Modugno ritratto sul palco di Sanremo nel 1958 e quello di Paolo Rossi che nella notte di Madrid del 1982 consacrò l’Italia Campioni del Mondo.

La mostra racconta attraverso l’attenta selezione di 100 opere musicali italiane la storia della nostra città e della società dal secondo dopoguerra agli anni ottanta, si ritrovano le canzoni che hanno accompagnato i momenti più importanti della vita di ciascuno, delle vicende familiari e i fatti cronaca, quelli che hanno segnato e cambiato la vita del Paese.

Il percorso espositivo si concentra sugli anni ’60, gli anni magici che rappresentano l’inizio di tante cose, dei cambiamenti e dell’Italia che sorprende e che inventa; è così che la mostra mette in collegamento la creatività musicale dei grandi artisti con quel che contemporaneamente l’Italia creava: all’uscita di un 45 giri contemporaneamente seguiva l’uscita sul mercato di un modello di elettrodomestico, di automobile e così via. L’Italia di quegli anni, tra il ’58 ed il ’70, era enormemente creativa e coinvolse tutti i settori che si influenzavano vicendevolmente, e così dai cambiamenti sociali alle mode, agli accadimenti politici, agli scontri ed ai movimenti studenteschi.

NOI… non erano solo canzonette_Palazzo Belloni_ Gianni Morandi_foto mostra_LC

Gianpaolo Brusini, curatore della mostra e autore ha illustrato e raccontato i dettagli della mostra «Nel preparare la mostra – racconta Brusini – abbiamo voluto vincere due sfide: la prima era quella di superare lo stigma che è insita nella parola stessa di musica leggera o canzonette per restituire alla canzone il suo vero valore di opera culturale del futuro che riesce a descrivere un mondo che attiene soprattutto alla tradizione popolare e che in qualche modo riesce a preconizzare quel che sarà il mondo che verrà e quindi elevare il valore della canzone a quello dell’arte del futuro così come si è abituati a vedere in una mostra. La seconda sfida – prosegue – è quella che una mostra per sua definizione è mostra e quindi fa vedere, mentre, la musica si sente. Quindi la seconda sfida era: come riusciamo a far vedere la musica? La sintesi di queste due sfide arriva dal fortissimo legame che esiste tra il circuito della memoria ed il suono. E questo, è importante dirlo, lo abbiamo fatto per noi. Le musiche sono quelle che loro, i cantautori, scrivevano e che poi noi ascoltavamo, il flusso della mostra è sempre mirato su noi che abbiamo vissuto quegli anni, è una mostra che rappresenta ciò che ‘noi’ siamo stati all’interno di questi 25 anni di storia e siamo rappresentati dalle canzoni. Le canzoni sono 100 e abbiamo cercato di fare un circuito il più intuitivo possibile, per esempio, nella descrizione dei fatti ad un certo punto si arriva agli anni della contestazione operaia, l’autunno caldo del ’69, delle rivendicazioni e poi dello Statuto dei Lavoratori, in questo caso abbiamo ritenuto che la canzone più rappresentativa dell’epoca fosse ‘Quarantaquattro gatti‘ dello Zecchino d’Oro perché le parole raccontano di questi gattini che si riuniscono in una cantina di un palazzone per fare il punto della situazione – e qui stiamo parlando della contestazione operaia – e dicono al bambino, loro padrone, che si può tirargli la coda però gli deve anche dare da mangiare. A ben vedere è una canzone che nella sua ingenuità descrive perfettamente il panorama che in quel momento si stava delineando in Italia».

NOI… non erano solo canzonette_Palazzo Belloni_foto da Archivio Publifoto Intesa San Paolo, @Nick Giordano_foto mostra, LC

Anche grazie alla partecipazione pubblica e privata, sarà una mostra di cura della città, ovvero, sarà anche un’offerta didattica per i ragazzi delle scuole, ci saranno visite guidate e itinerari di Trekking urbano, dove si potranno scegliere tre diversi percorsi: Bologna Ferita, Bologna e la Musica, Bologna l’esercito del surf, che toccheranno i punti nodali della città per poi terminare in mostra dove si potrà approfondire quello che si è visto. In più in giro per la città, in varie locations, ci saranno installazioni,  incontri e concerti. In più, l’Archivio Storico della Ricordi presenterà in prima mondiale la rimasterizzazione del disco Medea di Luigi Cherubini con Maria Callas nel ruolo della protagonista al Teatro alla Scala.

A Palazzo Belloni abbiamo incontrato il grande Mario Lavezzi, compositore, cantautore e produttore discografico, ci ha concesso uno speech in cui ha raccontato il suo punto di vista sulla musica oggi: «La musica italiana oggi è più liquida rispetto al passato, nel senso che si va ad una velocità di consumo tale che non da modo di fare delle canzoni sempre verdi, come quelle che vediamo in questa mostra, canzoni che gli stessi giovani cantano tutt’ora. Io non sono un nostalgico, però, ahimè, oggi c’è un modo di fare la musica e di consumarla più velocemente, mentre allora una canzone durava anche anni e guarda caso questa è la musica che influenza i giovani di oggi, come ha fatto Fabri Fibra con il rifacimento della canzone ‘E la luna bussò‘. E’ come dire che noi non siamo stati influenzati dalla musica classica, da Verdi, da Puccini o dalla musica moderna come i Pooh, perché è cultura. Quest’anno faccio il cinquantesimo anno della mia carriera ed anche se il modo di fare musica è cambiato, le canzoni si scaricano da internet e si fanno i talent, divenuto questo il mezzo più facile e meno costoso per fare promozione, sono certo che nel panorama musicale italiano ci sono alcuni artisti che potrebbero come me arrivare a questo grande traguardo».

NOI…non erano solo canzonette_Palazzo Belloni_foto mostra_LC

La mostra è un viaggio immersivo nell’arte visiva e sonora, ci si emoziona nel rivivere i ricordi, pezzi di memoria del passato, il carosello, Polo Rossi e il grido dei tifosi “Campioni del Mondo”, la pubblicità provocatoria del “Chi mi ama mi segua” di una nota marca di jeans inneggianti all’emancipazione della donna, il femminismo, i diritti civili ed il grido di accusa e condanna del “Processo per stupro” il docufilm del 1979 realizzato in quell’aula di tribunale dove a difendere la vittima, la giovane Fiorella c’era la forza dell’avvocato Tina Lagostena Bassi.

L’esposizione nel suo complesso conferma e consacra ancor di più Bologna Città della Musica Unesco che nel 2020 andrà ulteriormente a valorizzare la popular music con il progetto, ideato dal musicista Paolo Fresu, la Sala della Musica, uno spazio in Sala Borsa interamente dedicato alla musica con lo scopo di divulgare alle nuove generazioni il nostro patrimonio culturale. Successivamente sarà Pesaro – candidata insieme ad Urbino Capitale Europea della Cultura 2023 – ad ospitare la mostra tra il Museo Rossini ed i Musei civici, luoghi simbolo della cultura della città.

Visione consigliata!

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The Bad Plus al Jazz Club di Ferrara

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The Bad Plus: un nome ormai di culto nel panorama musicale internazionale. Un trio jazz all’avanguardia che sarà ospite speciale nella serata di sabato 30 novembre alle ore 21.30 presso il Jazz Club di Ferrara per presentare il loro ultimo album “Never Stop II”.

L’inizio della loro storia vede protagonisti due liceali del Minnesota di nome Anderson e King: due giovani amanti del rock che si divertivano a cercare di riprodurre il complesso e vasto repertorio di Coltrane e dei Police. Solo nel 1989 le loro strada si incrociarono, grazie all’incontro con Iverson. E poi, niente ancora per una decina d’anni. E infine, finalmente, l’anno Duemila: ai The Bad Plus bastano pochi concerti per ammaliare pubblico, critici e giornalisti fino all’esordio in prima regola con “These Are The Vistas” del 2003 della Columbia Records. Una formula piuttosto consolidata li porta a creare album su album che alternano brani originali e reinterpretazione di brani pop, rock e avant-garde jazz.

Oggi, con vent’anni di carriera alle spalle, il trio Anderson, King e Iverson è più affiatato con mai, vantando un repertorio di musiche originali e reinterpretazioni estremamente vasto. Con “Never Stop II” il gruppo abbandona completamente i confini di stile musicali, distruggendo ogni convinzione degli spettatori e costringendoli a seguire un percorso fatto di mille possibile combinazioni. Contribuisce a tutto questo la nuovissima presenza del pianista Orrin Evans. Inoltre, senza ombra di dubbio, il nuovo album si collega al precedente “Never Stop”, il primo realizzato interamente con composizioni originali.

Sabato 30 novembre, The Bad Plus, Jazz Club-Torrione San Giovanni Ferrara, ore 21.30 – info: www.jazzclubferrara.com, jazzclub@jazzclubferrara.com, 331 4323840 

Francesco Piccolo e Pif insieme al Teatro Bonci

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Momenti di trascurabile (in)felicitá

“Momenti di trascurabile felicità” è il titolo del film scritto a quattro mani da Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, e Daniele Lucchetti. Il film è tratto dal libro di Francesco Piccolo, seguito dal secondo Momenti di trascurabile infelicità. I due grandi successi editoriali arrivano anche a teatro nella forma due in uno: Momenti di trascurabile (in)felicità sarà sul palco del Teatro Bonci sabato 30 novembre.

L’autore è ancora una volta Francesco Piccolo, affermato non solo come scrittore ma anche come sceneggiatore e autore televisivo, e Pif che torna ad essere protagonista di una storia che cerca di mettere a fuoco il presente e il quotidiano di ognuno di noi. Sul palco si susseguiranno una serie di eventi “trascurabili” ma che tutti almeno una volta nella nostra vita abbiamo vissuto. Si tratta di un insieme di attimi di felicità e di infelicità che si alternano e su cui non spesso ci soffermiamo.

Sabato 30 novembre, Momenti di trascurabile (in)felicità, Teatro Bonci Cesena – info: 0547 355959, info@teatrobonci.it, cesena.emiliaromagnateatro.com