Home Blog Page 527

Al Parco del Delta del Po è Primavera Slow

0

primavera-slowCominciata lo scorso 21 marzo, prosegue fino al 23 giugno la Primavera Slow, il grande contenitore di eventi nei territori del Parco del Delta del Po, promosso dalla Regione Emilia Romagna e da numerosi enti e associazioni. La mission di questa grande kermesse (che coinvolge i comuni vicini al litorale delle province di Ferrara e Ravenna) è la conoscenza di un patrimonio naturalistico unico nel suo genere, in cui terra e acqua si mescolano dando luogo a scenari eccezionali. Per questo, nelle iniziative messe in campo, la parte del leone la fanno le escursioni (con ogni genere di mezzo: a piedi, in bicicletta, a cavallo, in barca, in pulmino e/o trenino), con i partecipanti dotati di macchina fotografica o binocolo per il birdwatching. Ma tantissime nel calendario sono anche le visite guidate, le mostre, i laboratori didattici, i convegni, i raduni sportivi, le sagre e le feste enogastronomiche, gli appuntamenti letterari e culturali, i mercatini.

Tra gli «eventi speciali», segnaliamo i Green Days (13-14 aprile) al Parco I Maggio di Fosso Ghiaia (RA), la Settimana Slow e Fotofestival Asferico (dal 27 aprile al 5 maggio) a Comacchio (FE), gli Itineradelta ovvero escursioni organizzate nelle valli di Comacchio, lungo il fiume Reno, la Pineta di San Vitale, Punte Alberete e la Piallassa della Baiona (13-14, 20-21 e 27-28 aprile), le tante iniziative comprese nell’ambito di Cervia-Milano Marittima: pineta, saline e giardini in fiore (maggio-giugno), la Notte Celeste delle Terme aperte (15 giugno).

Info: podeltabirdfair.it

Jacopo Fo racconta di yoga demenziale, politica, creatività e utopie concrete

0
Jacopo Fo
casa ecologica ad Alcatraz in Umbria
casa ecologica ad Alcatraz in Umbria

Ricordo, molti anni fa, una gita primaverile nella campagna umbra, assieme alla mia amica Paola. In una specie di agriturismo colorato e artistoide, mangiammo un sorprendente risotto ricoperto di petali di fiori di campo. È con in mente questo sfocato ricordo che incontro oggi il padrone di casa, uno che di stravaganze certo se ne intende.

Comincerei con lo yoga demenziale…

«Da trent’anni propongo una serie di esperimenti, spero divertenti, con i quali cerco di spiegare alcuni meccanismi di funzionamento della muscolatura, della respirazione, dei riflessi, della creatività e delle percezioni. È una specie di percorso di alfabetizzazione al rapporto col proprio corpo, con le proprie potenzialità».

Mi fai un esempio?

«Se spingi col braccio contro un muro per 60 secondi, quando smetti di spingere il braccio si alza da solo. Questo esercizio dimostra che noi abbiamo una muscolatura non razionale: è una cosa oggi accettata dal punto di vista scientifico, ma ancora pochissimo conosciuta. Si può imparare a utilizzare questo tipo di muscolatura, con un doppio obiettivo: mantenere tonico il corpo e utilizzare il 100% del proprio potenziale, scoprendo che si è più forti. Per tenere fermo un pazzo ci vogliono sette sani, perché il pazzo ha superato i limiti che impediscono di utilizzare la muscolatura animale».

Come funziona la muscolatura animale di cui parli?

«È detta anche muscolatura emotiva, si tratta di una muscolatura profonda, aderente alle ossa, fatta di fibre lunghe, al contrario di quella superficiale, che è fatta di fibre corte. Noi possiamo mobilitarla, ad esempio con la visualizzazione. In tutte le arti marziali, da millenni, prima di dare un colpo devi visualizzare il punto in cui esso arriverà. Se prima di spostare un armadio la gente visualizzasse il movimento che vuol fare, e il punto in cui l’armadio deve arrivare, riuscirebbe a esprimere una forza molto maggiore».

 È analogamente possibile implementare la creatività individuale?

«Siamo tutti creativi, ma molte persone tendono a giudicare immediatamente i pensieri che arrivano nella loro testa. Invece, nella fase iniziale è bene buttar fuori tutte le idee, segnandole o registrandole in qualche modo, poi dormirci sopra, lasciando alla mente non razionale la possibilità e il tempo per rielaborarle. E solo successivamente voler arrivare a un’idea finale, compiuta».

Parlando di idee: mi racconti il vostro parco-museo?

«Abbiamo costruito una serie di grandi sculture, di cemento, di legno e di altri materiali. C’è una passeggiata, che si può fare ad Alcatraz, nel bosco, per vedere tutte le opere. Al momento ce ne sono un centinaio, ma intendiamo sviluppare ulteriormente questo progetto».

Quale pensiero sottende a un progetto come la Libera Università di Alcatraz?

«L’idea di fondo è che tutti noi abbiamo delle grandi potenzialità inespresse, per paura, per mancanza di autostima, e per molti impedimenti pratici, che noi cerchiamo di affrontare anche materialmente. Ad esempio abbiamo creato alcuni gruppi d’acquisto, per spendere meno nel comprare l’olio, l’energia elettrica, le telefonate, la casa stessa. Adesso stiamo finendo l’Ecovillaggio, un progetto che mi ha impegnato parecchio, da un punto di vista sia progettuale, che organizzativo e pratico. Spero, nei prossimi anni, di occuparmi soltanto di lavori creativi. Non andrò in pensione, ma vorrei dedicare la seconda parte della mia vita alle produzioni artistiche, che è quello che mi interessa di più. È il mio mestiere».

In ambito artistico, chi riconosci come tuoi maestri?

«Dal punto di vista teatrale certamente i miei genitori. Per la pittura e il fumetto Hugo Pratt e Andrea Pazienza. Per quanto riguarda lo stile architettonico di Alcatraz, il riferimento è stato certo Niki de Saint Phalle, l’artista che ha realizzato il Giardino dei tarocchi vicino a Grosseto: quando mia moglie e io abbiamo visto il suo lavoro abbiamo ricevuto un grande shock, che ci ha dato una forte spinta in avanti!

Ho una telefonata, scusa un attimo… Pronto? Mamma? Ti posso richiamare, sto facendo un’intervista, perdonami, ciao…».

A proposito… Come ti rapporti, teatralmente parlando, a due genitori così ingombranti?

«Il mio stile, la mia modalità di far teatro, che è poi il monologo, viene certamente da mio padre e da mia madre. È una tecnica che ha in sé delle regole molto precise, io non ho inventato nulla. Semplicemente io mi sono messo a raccontare sistematicamente storie diverse dalle loro, forse più direttamente autobiografiche».

Da ragazzino sei stato figlio d’arte, nel senso che lavoravi con loro?

«No. Io ho iniziato a recitare tardi, clandestinamente, sotto pseudonimo: volevo vedere se ne ero capace, a prescindere dal nome dei miei genitori. Ho debuttato in un teatro vero solamente a quarant’anni. In precedenza recitavo in posti assurdi, come discoteche e ristoranti, perché volevo raggiungere un certo livello tecnico, prima di andare in teatro».

Quale era il tuo pseudonimo?

«Giovanni Karen. Con questo nome ho sempre disegnato sul giornale di satira politica Il Male. Ho iniziato a firmarmi Jacopo Fo solo quando ho iniziato a collaborare con il supplemento settimanale de l’Unità: c’erano stati dei forti dissapori tra i miei genitori e il Partito Comunista, negli anni Settanta, così mi sembrava giusto lavorare lì con il mio vero nome. A quel punto avevo già sperimentato il successo sotto pseudonimo, non avevo più il problema di capire se era merito mio o se veniva dal fatto di essere figlio di Dario Fo».

C’è qualcosa, oggi, che ancora ti stupisce, ti incanta?

Innanzitutto, vivere qui ad Alcatraz è uno spettacolo notevole. E poi, navigando su internet, mia moglie e io passiamo ore a vedere cose sorprendenti. Ho la sensazione che negli ultimi cinque anni, dal punto di vista artistico, si sia fatto quanto negli ultimi due secoli, anche come quantità di produzione: non c’è più l’idea di artista inteso come ingegno raro. Oggi nel mondo ci sono una moltitudine di artisti scatenati dalla mattina alla sera, con gente che fa delle cose straordinarie: percorsi totalmente nuovi, in tutte le discipline artistiche. Stiamo vivendo un grande Rinascimento, non ce ne rendiamo pienamente conto, ma la mente delle persone sta cambiando in modo drastico, c’è una cultura completamente nuova che si sta affacciando sul mondo.

A proposito di cambiamenti: cosa ne pensi del risultato delle ultime elezioni?

«È una grossa novità. Ci sono almeno cento cose su cui PD e M5S sono d’accordo, se le realizzassero cambierebbero il volto dell’Italia: tagliare i tempi dei processi, razionalizzare la burocrazia, ridurre lo spreco e le spese militari e dei partiti… Sarebbe una vera rivoluzione. Anche se, non lo si può dimenticare, in Italia esiste una larga fascia di popolazione che vive in nero: aziende che se ci fosse un sistema fiscale sensato avrebbero grossi problemi, evasori, piccoli furbetti. C’è una radicata cultura dell’anti-Stato, e permane una grande ignoranza: metà degli italiani sono analfabeti di ritorno. È diffuso un odio per lo Stato, per la giustizia, per le tasse, per cui un ragionamento anche solo vagamente astratto come ‘conviene a tutti rispettare le regole, perché poi il sistema funziona’ fatica ad attecchire. Il centrosinistra, a differenza di Beppe Grillo, non è stato assolutamente in grado di comunicare: è fermo a una vecchissima concezione di propaganda politica. Tempo fa ho scritto su questo argomento un articolo intitolato Elezioni 2013, perdere è facile, se sai come si fa!. È scomparso l’elemento fondamentale, cioè la politica tra la gente. Io vengo da quella esperienza, in Italia abbiamo cinque milioni di volontari, c’è la finanza etica, c’è un mondo che non è riassumibile dalla politica, che sta molto più avanti. È quello che sta facendo argine, oggi, in Italia, contro la disperazione. Bisogna rifondare la politica, ripartendo da quello che serve alla gente».

febbraio/marzo 2013

0

Escono nelle sale, nelle prossime settimane, alcuni film interessanti presentati in anteprimaal 30° Torino Film Festival.

Il figlio dell’altra (Le fils de l’autre), di Lorraine Lévy, Francia 2012

Il giovane Joseph, uno studente di Tel Aviv con la passione per la musica, è in procinto diiniziare la sua leva obbligatoria nell’esercito israeliano. Gli esami compiuti durante la visitadi leva pongono lui e la sua famiglia di fronte ad una scoperta sconvolgente. Al momentodella nascita, avvenuto nei caotici giorni della prima guerra del Golfo, nel 1991, è stato pererrore scambiato con Yacine, nato da una coppia palestinese della Cisgiordania. Quello delloscambio di neonati nella culla e delle sue conseguenze nella vita e nell’identità delle personecoinvolte è un tema più volte trattato dalla letteratura e dal cinema. Il contesto particolarein cui si colloca questa storia, nel cuore del conflitto più radicale degli ultimi decenni, quelloisraelo-palestinese, la rende tuttavia particolarmente coinvolgente. Superato il trauma, idue ragazzi e le rispettive famiglie avviano un percorso di confronto e scoperta difficile mapromettente. Costretti a superare i confini che la storia e la cultura hanno eretto tra i popoli,risulta forse possibile parlarsi e guardarsi negli occhi senza dover necessariamente vederenell’altro il nemico. Il film, pur non essendo privo di limiti (ad esempio una rappresentazionetroppo schematica di alcuni personaggi di contorno), colpisce per la sua capacità di affrontarecon credibilità temi di grande complessità e per la profonda emozione che suscita nellospettatore. Questa emozione scaturisce dalla graduale scoperta, di cui fanno esperienza iprotagonisti del film, che l’identità nell’uomo non è mai data una volta per tutte ma cheessa può ridefinirsi in base alle vicende della vita. E che in tale possibilità, mai scontata, èracchiuso il significato più profondo della libertà.

The sessions, di Ben Lewin, USA 2012

Il film racconta un episodio della vita di Mark O’Brien, poeta e scrittore morto nel 1999, adappena 49 anni di età, la cui esistenza è stata segnata da una grave malattia, la poliomielite,che lo ha privato di ogni forma di autonomia (era in grado di muovere solo la testa) e loha costretto a trascorrere gran parte della vita all’interno di un polmone d’acciaio. Sostenutoda una grande vitalità, non rinuncia a cogliere ciò che di bello la vita è comunque in gradodi offrirgli. Un cruccio lo tormenta, quello di non aver avuto la possibilità di sperimentare ilsesso. Superati i dilemmi morali che la sua fede cattolica gli poneva, grazie al conforto diun prete illuminato, decide di rivolgersi ad una consulente sessuale (Helen Hunt, coraggiosainterprete del ruolo di surrogato sessuale). Il tema della sessualità delle persone invalideè affrontato con la stessa leggerezza ed ironia con la quale Mark si è posto di fronte alladramma della malattia (ecco ad esempio il testo di un annuncio che fece pubblicare: Mark,38 anni, scrittore, cerca una donna intelligente per compagnia e forse sesso. Sono completamenteparalizzato, quindi no lunghe passeggiate sulla spiaggia).

Anna Karenina, di Joe Wright, Gran Bretagna, 2012

Signori, benvenuti a teatro! Questa nuova trasposizione cinematografica del romanzo di Tolstoj(la settima, escludendo le versioni televisive), rinuncia alle classiche ambientazioni russee al contrasto tra campagna e città, concedendo agli esterni solo le immagini di un treno,che percorre tutto il film in un viaggio che ha per capolinea il destino, ineluttabile, dei dueprotagonisti, Anna (interpretata da Keira Knightley, in un difficile confronto con un mostrosacro come Greta Garbo, che la impersonò due volte tra gli anni Trenta e Quaranta) e il conteVronskij. Il regista gioca a carte scoperte, raccontando la storia attraverso il dietro le quinte,i cambi scena e la ricchezza dei costumi, in un vorticoso movimento che trova il suo apicenell’incontro dei due amanti in occasione dell’interminabile ballo durante un ricevimento acasa Scerbackij. Il regista sceglie di lasciare sullo sfondo molte delle storie raccontate nelromanzo, dandole forse per già acquisite nella memoria degli spettatori. Cerca di mostrarequalcosa di diverso, la finzione di una messinscena teatrale; il romanzo diventa un pretestonarrativo per mettere in moto un affascinante quadro scenico in cui i personaggi sono adisposizione della regia per la rappresentazione della sua immagine visionaria del dramma.

Bio front garden

0

I front garden, ovvero i tradizionali giardini di casa, sono per lo più prati di erba non autoctona che per essere mantenuti sempre ben curati richiedono una grande quantità di acqua, pesticidi e fertilizzanti. Questo uso spropositato di sostanze chimiche porta inevitabilmente ad una grossa dispersione di CO2 e rilascio di inquinanti, senza tenere conto dello spreco di acqua.

Ora, soprattutto negli States, sempre più proprietari di immobili, stanno gradualmente convertendo i loro giardini in aree biologiche, con fiori o anche solo pietre. Il caratteristico prato all’inglese lascia spazio ad aree verdi con piante locali lasciate crescere spontaneamente, mantenendo intatti gli habitat di vari animaletti e uccelli. Solo negli USA, delle 800 principali specie di uccelli presenti, oltre 200 sono quasi a rischio di estinzione. La parola d’ordine è quindi biodiversità.

In questo modo, bisogna incrementare alberi e arbusti che offrono il maggior rifugio e alimento alla fauna. Se avete poco spazio, inserite almeno qualche nido, sia per uccelli sia per insetti; e lasciate un mazzo di fascine per dare riparo ai ricci. Per risparmiare l’acqua si impiegheranno piante che hanno richieste idriche più appropriate al clima locale, ad esempio lavande e timi, sedum e ginepri, phlomis e rosmarino. Oltre ad alberi e arbusti, sono importanti piante decorative. Un prato fiorito dove possano crescere e disseminarsi i fiori selvatici è la soluzione migliore per invitare le farfalle: basterà seminarvi crescione dei prati, ginestrino, papavero, nigella, gipsofila, fiordaliso, malva, viole, potentilla. Ed ecco pronto un front garden che ama la natura.

L’assalto dei pop corn calmi – I Parte

0

La famiglia Piccipoci, da poco ha acquistato un camper igienico, e ha deciso di trascorrere il finesettimana a casa degli zii del fratello della nuora del vicino di casa che, uscito per raccogliere l’immondizia, è stato mangiato dall’albero indemoniato.

Perché era uscito a raccogliere l’immondizia, il signor Pantaloni? Perché si era accorto che, la sera precedente, durante la visione del film Feroci ma acclimatati estremisti, in cui alcuni giocatori di pelota basca si danno al sesso virtuale e scoprono la fenomenologia di Brecht, non aveva finito di mangiare il suo sacco di pop corn.

Mentre l’albero, lautamente pasteggia, la reazione chimica del sangue di Pantaloni sull’erba, ricrea una formula alchemica dimenticata dai tempi di Agenore Patatini (notissimo furibondo, autore di alcuni segreti della Cola Di Rienzo, la bevanda del macho passeggiatore).

I pop corn, che prima se ne stavano calmissimi nel sacco del pattume, ora si eccitano, scoppiettano e si lanciano nel tubo di scappamento del camper igienico dei Piccipoci. Questi, ignari, partono alla volta del campeggio del Lago di Cristallo (evidente plagio), e lì incontrano il gestore, orbo da un occhio ma attentissimo alle parole crociate del venerdì mattina. Dopo aver sistemato il camper, scendono in paese per far la spesa e qui notano, con un certo disgusto, il sindaco che si pettina i capelli sotto la statua del suo predecessore. La figlia, birichina perché sedicenne e biondina, si avvicina all’anziano signore e gli propone una partita a Secca Ramazza; lui sulle prime tentenna, poi si accorge di un impegno improvviso e fugge.

I Piccipoci non si accorgono che il tempo sta cambiando rapidamente, uno scroscio di pioggia invade la piazza… loro continuano a passeggiare come se nulla fosse. Intanto, nel campeggio, i pop corn, ormai calmatisi di nuovo, assaltano le provviste dei vicini di tenda dei Piccipoci, gozzovigliando in memoria di Pantaloni.

Vite d’acciaio

0

Precari / Cineforum, questo il titolo della rassegna cinematografica in svolgimento a Faenza, organizzata dalla Società cooperativa di cultura popolare, che da oltre trent’anni si occupa di ridisegnare le geometrie delle proposte culturali con laboratori e iniziative. Proprio all’interno della rassegna, è stato presentato Acciaio, tratto dal fortunato romanzo di Silvia Avallone, per la regìa di Stefano Mordini, che abbiamo raggiunto, cogliendo l’occasione per una chiacchierata sul bel lungometraggio presentato all’ultimo festival di Venezia.

In Acciaio, è centrale la tematica del lavoro, che lei sembra voler raccontare in quanto elemento di coesione e fondamentale importanza nei rapporti sociali e nelle relazioni interpersonali tra i protagonisti della storia. Qual è la sua interpretazione?

«In Acciaio e non solo, sono da sempre convinto che un’attenta rilettura dei diritti acquisiti in chiave progressista sia al centro dei rapporti sociali. Negli ultimi trent’anni, un preciso progetto neoliberista ha lavorato alla divisione sempre più netta delle classi sociali. Abbiamo assistito in silenzio ad una lotta di classe dall’alto verso il basso. A farne le spese coloro che hanno creduto in una rappresentanza che purtroppo non ha saputo controllare questo passaggio. Quella fiducia tradita ha sconvolto anche le relazioni interpersonali e nella classe operaia si è riscontrata una perdita d’identità».

Possiamo ancora parlare di classe operaia oggi e che senso assume questa definizione alla luce dell’Italia post-Berlusconi?

«Esiste una classe operaia, non esiste l’operaismo, ma di questo ce ne eravamo già accorti tempo fa, nel bene e nel male. Non esiste più il rapporto tra classe operaia e proprietà, nascosta dal finazialcapitalismo. Mi chiedo come sia possibile che nella società dei consumi ci sia un problema di occupazione».

Quale dovrebbe essere per lei la funzione del cinema oggi e il ruolo dell’intellettuale?

«L’intellettuale come uno stalker con il coraggio di portarci dentro La zona dove non tutto può essere spiegato con il solo raziocinio. Il cinema come espressione di punti di vista su ciò che siamo e che non riusciamo ad esprimere».

È possibile fare cinema indipendente in Italia?

«Direi di no, ma poi se penso ad alcune esperienze credo di sì. Certo serve grande passione e tanto, forse troppo sacrificio».

Lei è originario di Marradi e nei suoi film affronta spesso le dinamiche della provincia, dove le relazioni umane assumono spesso toni esasperati avendo a che fare spesso con mondi ristretti. Cosa ricorda della provincia?

«Ricordo una provincia che ha cercato per anni di omologarsi e da questo nasceva una sorta di frustrazione. Oggi mi sembra che la provincia possa diventare territorio di sperimentazione civica. Una sorta di piccolo prototipo per un’idea di vita migliore ».

Il film è stato presentato proprio in concomitanza della vicenda dell’Ilva di Taranto, crede sia stato importante il contributo della pellicola per poter affrontare il tema del lavoro con maggiore determinazione?

«Spero che qualcosa sul tema e sulla siderurgia italiana che in Acciaio è stato trattato, serva come spunto di riflessione. Credo che il cinema sia utile a questo, ma non sempre ci si riesce».

Pensa che oggi la fabbrica possa essere interpretata ancora alla luce della famosa frase produci consuma crepa?

«No, non credo. Penso che oggi si possa interpretarla con la frase Soltanto non ci hanno ucciso».

Un flash mob in difesa delle donne

0

Svegliatevi, ballate, partecipate! Fate quel che volete ma il 14 febbraio battete un colpo. Perché se «Un miliardo di donne violate è un’atrocità, Un miliardo di donne che ballano è una rivoluzione». Questo lo slogan del V Day di One Billion Rising, la giornata mondiale che contrasta la violenza sulle donne. Ravenna farà la sua parte. Si parte alle 12 in piazza del Popolo: il mondo della scuola si incontrerà per un flash mob di ballo sulle note dell’inno mondiale break the chain, letture, brevi performance e tanta creatività. Potete ballare come vi pare, massima libertà, l’importante è condividere il gesto finale della mano alzata e i colori rosso e nero. Alle 16.30, sempre in piazza del Popolo: danza, performance, letture, per tutta la cittadinanza. Alle 18 presso l’ESP di via Bussato 74 un altro flash mob di musica e performance.

14 febbraio, V Day di One Billion Rising, Ravenna. Info: mauriziap@gmail.com, pontidiva@ libero.it, http://obritalia.livejournal.com

Roba vecchia, buona

0

L’ultima parte dell’inverno in Romagna è forse la più difficile per alcuni, quelli che sono stati concepiti solo per rosolarsi sul lettino mentre da sotto agli occhiali da sole guardano le ragazze passare in riva al mare. Il tempo al chiuso non passa mai (e le occasioni di vedere una bella ragazza in costume scarseggiano). Io ovviamente adoro questa stagione. Idealmente proietto i miei piedi dentro ad un paio di pedule, appoggiati al bordo di un camino acceso di cui mi godo la fiamma e il caldo irregolare (faccia in fiamme e culo gelato) dopo una bella passeggiata solitaria al freddo.

Il momento migliore per raccontare/leggere/ ascoltare storie. Magari vecchie storie. Capita a fagiolo (alla gionuein) il Dizionario delle cose perdute di Francesco Guccini. Il maestrone voleva un diverso titolo, Quando al cinema pioveva, non si tratta infatti di palloso glossario con auliche spiegazioni, ma del racconto di cose che non ci sono più, oggetti e situazioni sospese in un delicato equilibrio di nostalgia, ironia e desiderio di non dimenticare tutto alla velocità della luce. Le siringhe di vetro per la penicillina, il flit, le fionde, le cerbottane, la carta moschicida, le sale da ballo, i liquori fatti in casa con le boccettine di estratti, le braghe corte, i pennini per l’inchiostro e le sigarette senza filtro (Nazionali Esportazione, che sul pacchetto verde avevano il veliero che si trova sulla copertina del libro). Non necessariamente a fermarsi un attimo a guardare indietro ci si trasforma in statue di sale, può essere l’occasione per riflettere su come le cose oggi passano in fretta e ce le godiamo di meno mentre c’è stato un tempo in cui ci si poteva godere di più le cose perché non erano usa e getta. Si, godere. Per quanto si possano godere un paio di mutande di lana fatte a mano.

“Temo che mia figlia stia diventando anoressica”

0

Cara dottoressa, sono la mamma di una ragazza di 13 anni e sono molto preoccupata perché in seguito allo sviluppo temo che mia figlia stia cadendo nell’anoressia. In un paio di occasioni l’ho sentita vomitare in bagno dopo un pasto abbondante, è molto dimagrita, dice di vedersi grassa… Non so come affrontare la cosa con lei e mi sento in colpa.
Grazie per il consiglio.

A., Ravenna

Cara A.,
per informazione passo ad elencarti i criteri specifici per fare diagnosi di anoressia nervosa, anche se ovviamente l’accertamento deve essere effettuato da uno specialista sulla base dei colloqui e degli esami su tua figlia. Il manuale statistico dei disturbi diagnostici (DSM-IV) impone che siano rispettati contemporaneamente dei set di criteri per poter parlare del disturbo in questione, ovvero: A) Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per età e statura (per esempio perdita di peso che porta a mantenerlo al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto, oppure incapacità di raggiungere il peso previsto durante il periodo di crescita in altezza, con la conseguenza che il peso rimane al di sotto dell’85% rispetto al previsto), B) Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando si è sottopeso, C) Alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo o eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima, o rifiuto di ammettere la gravità dell’attuale condizione di sottopeso e D) nelle ragazze dopo il menarca, amenorrea, cioè assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi (in assenza di altre condizione in grado di giustificare l’assenza).

Detto ciò ti consiglio di parlare con uno specialista di tua fiducia per conoscere le dinamiche psicologiche del disturbo – nel caso dovesse essere diagnosticato poi a tua figlia – e per evitare inutili autocolpevolizzazioni che non hanno – credimi – ragione di esistere. L’anoressia è un disturbo che incute molta paura, soprattutto nei famigliari, ma non pensare che la battaglia contro questo male (qualora tua figlia dovesse esserne afflitta) sia persa in partenza, l’importante è non isolarsi e chiedere gli aiuti opportuni.

articolo rubrica con-divisione

0

Pellentesque habitant morbi tristique senectus et netus et malesuada fames ac turpis egestas. Vestibulum tortor quam, feugiat vitae, ultricies eget, tempor sit amet, ante. Donec eu libero sit amet quam egestas semper. Aenean ultricies mi vitae est. Mauris placerat eleifend leo. Quisque sit amet est et sapien ullamcorper pharetra. Vestibulum erat wisi, condimentum sed, commodo vitae, ornare sit amet, wisi. Aenean fermentum, elit eget tincidunt condimentum, eros ipsum rutrum orci, sagittis tempus lacus enim ac dui. Donec non enim in turpis pulvinar facilisis. Ut felis. Praesent dapibus, neque id cursus faucibus, tortor neque egestas augue, eu vulputate magna eros eu erat. Aliquam erat volutpat. Nam dui mi, tincidunt quis, accumsan porttitor, facilisis luctus, metus

Fruit of the book

0
fruit-of-the-book
il particolare di un’esposizione al Fruit 2012

L’editoria è in crisi? La carta stampata ormai da museo? Forse approfittando del secondo appuntamento con Fruit. self-publishing exhibition in programma a Bologna dal 23 al 26 marzo qualcuno cambierà idea.

L’evento si svolgerà in concomitanza e sinergia con la Fiera del Libro per Ragazzi ed il suo nucleo è rappresentato dalla mostra mercato di editoria self-publishing italiana ed internazionale che riunisce eccellenze editoriali di diverse dimensioni spaziando dall’illustrazione alle arti visive, dalla grafica alla fotografia, fino al fumetto ma proponendosi anche e soprattutto quale strumento di indagine, promozione ed esposizione delle molteplici forme che assume la stampa contemporanea.

«L’intero progetto – spiega la curatrice Anna Ferraro – a partire proprio dalla scelta della concomitanza con una grande fiera, fa leva sull’incontro tra il grande e il piccolo, vale a dire il grande editore incontra il microeditore, il grande illustratore viene intervistato dall’emergente e così via. Inoltre organizziamo incontri e conferenze, laboratori per bambini e adulti ed un tour di micro case editrici e spazi di autoproduzione bolognesi o convogliati in città».

Si tratta dunque di un progetto concreto e al contempo ambizioso per i tempi di magra che corrono, nato fattivamente nell’estate di due anni fa ed esordiente nella città felsinea nel marzo 2012.

road
jhvjh ufukyfg ui fuy ofguy o

«Se dovessimo fare un bilancio del primo anno ci diremmo piuttosto soddisfatti del percorso intrapreso – continua – Il progetto ha avuto un riscontro immediato da parte degli editori, del pubblico e anche delle Istituzioni che hanno fortemente creduto in noi come ad esempio Comune e Provincia di Bologna che hanno sostenuto il progetto sin dal primo momento. I feedback sono stati indubbiamente positivi. Siamo consapevoli che si possa ancora migliorare, ci stiamo impegnando molto in questo senso e i risultati ci auguriamo si potranno apprezzare già in questa seconda edizione. Inoltre si è consolidata e ampliata la rete di collaborazioni con una serie di realtà che stimiamo e si è intensificata la sinergia con la fiera, cosa che rappresenta per noi un traguardo importante». Le aspettative sono dunque di tutto rispetto. Dato l’esordio per l’edizione 2013 il pubblico di appassionati si augura di poter ammirare e acquistare progetti editoriali mai visti prima a Bologna mentre l’organizzazione auspica che gli sforzi fatti conducano all’inizio di nuove interessanti collaborazioni che forniscano arricchimento per la città e per tutti i fruitori, oltre che implementare il numero dei paper addicted, ovvero di avvicinare e appassionare all’editoria creativa un numero di persone sempre maggiore. «Purtroppo anche Fruit si inserisce in un momento di incertezza generale – conclude Ferraro – che impedisce di fare previsioni. Certamente vorremmo che diventasse un appuntamento cittadino atteso e partecipato come accade per altri festival. Come obiettivi abbiamo sicuramente quello di viaggiare proponendo dei focus in altre manifestazioni e di programmare incontri e percorsi didattici durante tutto l’anno». Insomma un inizio niente male per questa operazione di resistenza e salvaguardia di un’editoria tradizionale e dell’autoproduzione.

 

CONTAGIOSA EVOLUZIONE CULTURALE

0

Vuoi dare un senso al tuo fine settimana? Iscriviti a Meme – unità contagiosa di evoluzione culturale, tre laboratori di teatro o teatro danza proposti dalle compagnie Menoventi, In_ocula, gruppo Nanou. Tre sguardi differenti pensati secondo una logica comune: accompagnare i partecipanti attraverso un iter pluriforme, che sappia far interagire le differenti proposte, senza tentare fusioni ma rispettandone differenze attingendo forza proprio dal confronto comune. Ogni laboratorio (articolato in due week end) si svolgerà venerdì sera e sabato e domenica pomeriggio presso gli spazi della Casa del Teatro di Faenza. Il primo sarà esercizi di stile (1/3 e 8/10 febbraio) guidato da Gianni Farina e Consuelo Battiston (Menoventi), per poi procedere con gruppo Nanou e dancing hall project (1/3 e 8/10 marzo) e concludere con reexistence di Inocula (22/24 marzo e 5/7 aprile). Ognuno dei tre esiti sarà presentato al pubblico in un unico evento finale, il 14 aprile al Masini di Faenza.

Info: 331 9528553, lab@inocula.it, laboratori_ meme@hotmail.it, e-production.org

La struttura del desiderio

0

LA-STRUTTURA-DEL-DESIDERIODue meritatissimi premi (Ubu e Hystrio) alla regìa di Antonio Latella per Un tram che si chiama desiderio, drammone di Tennessee Williams del 1947 che molti ricordano per l’omonimo film di Elia Kazan (con Vivien Leigh e Marlon Brando) o, in anni più recenti, per Tutto su mia madre di Pedro Almodóvar, pellicola in cui il dramma ha un ruolo focale. Antonio Latella, che da anni vive e lavora tra Berlino e l’Italia, in questo spettacolo assembla un congegno in cui la struttura e il linguaggio usati sono continuamente dichiarati, messi in evidenza, allo scopo di raffreddare, e dunque di intensificare (McLuhan docet!), una vicenda così carica di pathos che, altrimenti, facilmente potrebbe scadere nell’eccesso enfatico e appiccicaticcio. Il regista campano raffredda e opacizza il linguaggio, mostra il meccanismo, dichiara la finzione, insomma, ad esempio facendo recitare a un attore tutte le didascalie del copione, o creando precise sfasature drammaturgiche, come racconta la protagonista Laura Marinoni (Blanche): «la didascalia recitata descrive un personaggio che si abbottona la camicetta, mentre l’attrice resta immobile». O lasciando la platea illuminata e accogliendo una scenografia composta da scheletri di mobili, cavi, aste di microfoni, fari e macchinerie che ingombrano il palco e che sono azionati a vista dagli attori. Certo c’è Brecht, dietro a tutto questo, e il suo rifiuto dell’immedesimazione dello spettatore, per un teatro inteso come strumento di consapevolezza sociale e affilata arma di lotta politica. In Latella, figlio di un’epoca affatto diversa, resta una grande, preziosa, sapienza teatrale. E non è poco. (michele pascarella)

17 gennaio, Un tram che si chiama desiderio, regìa di Antonio Latella. Teatro Alighieri, Ravenna. Info: ravennateatro.com/prosa

BUONE NOTIZIE DA FORLÌ

0

BUONE-NOTIZIE-DA-FORLiIl 2013 forlivese inizia bene: il Teatro Diego Fabbri, il luogo di spettacolo più istituzionale della città, accoglie per la prima volta una rassegna dedicata al teatro e alla danza contemporanei. Quattro appuntamenti doppi (alle ore 20.30 e alle 22.30) in due teatri della città: il Diego Fabbri e Il Piccolo. Il primo appuntamento della rassegna, affidato all’apocalittico e compassionevole Displace (nella foto di Luigi Angelucci) di Muta Imago e a Il giro del mondo in 80 giorni di MK, grande prova di maestria e capacità visionaria dell’ensemble romano, ha portato a Forlì appassionati, studiosi e giornalisti da tutta la regione (tra cui numerosi esponenti del Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna): rara quanto preziosa occasione data alla città dalla nuova direzione artistica, formata da Ruggero Sintoni e Claudio Casadio (Accademia Perduta/Romagna Teatri), Lorenzo Bazzocchi (Masque Teatro) e Claudio Angelini (Città di Ebla). Nel programma a venire: Santasangre (Bestiale improvviso), Carlotta Sagna (Tourlourou), Accademia degli Artefatti (My Arm), Ivo Dimchev (I-On), Virginio Liberti/ Gogmagog (Non è quel che sembra) e Maria Donata D’Urso (Pezzo O [due] e Strada étude). Esempi di come l’arte performativa possa essere espressione di un articolato e critico pensiero sul mondo, e al contempo proposta di una coraggiosa alternativa. (michele pascarella)

Fino al 12 aprile, Teatro Diego Fabbri e Teatro Il Piccolo – Forlì, Stagione Contemporaneo. Info: teatrodiegofabbri.it/contemporaneo

TESORI IN SOFFITTA

0
un momento delle Brigate teatrali Omsa a cura del Teatro Due Mondi
un momento delle Brigate teatrali Omsa a cura del Teatro Due Mondi
un momento delle Brigate teatrali Omsa
a cura del Teatro Due Mondi

«Avvengono miracoli, se siamo disposti a chiamare miracoli quegli spasmodici trucchi di radianza»: i versi di Sylvia Plath vengono in mente, a leggere i titoli della 25ª rassegna di teatro, danza, musica e cinema promossa dal Centro La Soffitta dell’Università di Bologna. È davvero miracoloso il programma che, nonostante i tagli forsennati e implacabili, il responsabile scientifico Marco De Marinis, assieme ai suoi collaboratori, è riuscito a costruire: 24 spettacoli di teatro e danza, 7 concerti, 4 presentazioni di libri di musica e 2 di teatro, 10 incontri con gli artisti, 5 convegni e seminari, 2 rassegne video, una mostra e 5 laboratori. Per di più, quasi tutto è a ingresso gratuito.

Alcune segnalazioni dal ricchissimo calendario (con l’invito a visionarlo per intero con l’attenzione che merita). Si celebrano i primi vent’anni della compagnia Le Belle Bandiere con una serata d’onore, a cura di Gerardo Guccini, in cui i fondatori, Elena Bucci e Marco Sgrosso, sono protagonisti dello spettacolo La pazzia di Isabella. Vita e morte dei comici gelosi.

Un’intera giornata, nel mese di marzo, è dedicata a Claudio Meldolesi, professore di Drammaturgia e Storia dell’attore all’ateneo bolognese: alla mattina un convegno e al pomeriggio una Festa, con la regìa di Claudio Longhi, cui sono invitati artisti ex allievi di Meldolesi, tra cui Andrea Adriatico, Anna Amadori, Kassim Bayatly, Elena Bucci, Stefano Casi, Elena Guerrini, Angela Malfitano, Marco Martinelli, Francesca Mazza e Ermanna Montanari.

Tornano a Bologna il mitico Odin Teatret di Eugenio Barba e, in collaborazione con l’Arena del Sole, Enzo Moscato (di cui si segnala, tra le altre cose, Ritornanti, recital/reading dai suoi spettacoli Spiritilli, Trianon e Cartesiana). La compagnia romana O Thiasos Teatronatura, che da anni con rigore incarna e reinventa la tradizione grotowskiana, realizzando spettacoli e azioni in natura alla ricerca del genius loci, presenta gli spettacoli La donna scheletro e Demetra e Persefone, oltre al laboratorio (riservato agli studenti) Natura dentro: il mito, il canto e l’azione narrante.

Nell’ambito del progetto Teatro e comunità, curato da Cristina Valenti, oltre al commovente Pinocchio presentato da Babilonia Teatri/ Compagnia Gli Amici di Luca, si segnalano due coraggiose proposte del Teatro Due Mondi: Lavoravo all’Omsa, spettacolo con la regìa Alberto Grilli in cui, in un allestimento scenico minimale, attori e attrici della compagnia sono in scena assieme a una delle operaie che hanno vissuto la chiusura della fabbrica faentina e, con riferimento alla stessa vicenda (attorno alla quale il gruppo si è enormemente speso in questi anni), le Brigate teatrali Omsa: azioni di strada con la partecipazione di ex operai Omsa, attori e non attori, realizzate per l’occasione nel tratto pedonale di via d’Azeglio, in centro città.

Danza: il progetto di quest’anno, a cura di Elena Cervellati, è dedicato al coreografo Enzo Cosimi, che presenta, tra l’altro, la sua prima creazione coreografica, riallestita a trent’anni dal debutto, Calore. A proposito dei «trucchi di radianza» di cui parlava Sylvia Plath: questi lampi, queste piccole scintille, queste preziose fiammelle, in mezzo al buio feroce degli anni che stiamo vivendo, ci fanno davvero ben sperare. E ringraziare.

MICHELE PASCARELLA

Curzul a la Canténa

0

CURZUL-A-LA-CANTeNASulla strada che da Faenza volgerebbe a Modigliana, basta prendere invece a destra e si raggiunge Brisighella passando per la parrocchia di Sarna. Qui, negli anni ’60, il Botteghino di Sarna, con una di quelle licenze di una volta che ci vendevi di tutto, dalle scarpe, agli alimentari, alle bombole del gas, cominciò a preparare merende per i gitanti domenicali, che ci presero gusto e di lì a poco ci vennero proprio a pranzo e a cena e il botteghino cambiò nome.

Divenne la Canténa d’Sêrna. Da quasi quindici anni la sfoja lorda in brodo, la trippa, i tagliolini colle regaglie di pollo, le pezze di sacco coi canellini e il rosmarino, te li serve il signor Benedetti. La sua mamma, Elena Neri, il coniglio lo mette in casseruola, con l’olio, alle nove di mattina. Gli fa fare l’acqua e poi ci aggiunge cipolla e aglio triti, prezzemolo, sale, pepe e lo fa cuocere prima coperto e poi no, sulla piastra per la piadina. Pianino. All’una è pronto. D’estate, sotto il pergolato ci si starà anche in centocinquanta che ci vengono per mangiare anche la carne ai ferri. Col castrato, il cuoco, Endreo Bosi, ci fa pure i curzul, dei grossi tagliolini all’uovo, autoctoni faentini, che prendon nome dalle stringhe degli zoccoli di un tempo. Nel trito di aglio e cipolla, col loro filo d’olio, ci butta il ragù di castrato, tagliato al coltello. Si bagna con un po’ di rosso, si aggiungono i pelati e poi si lascia cuocere per un paio d’ore. Chi vuol esagerare con un dolce casalingo, d’estate è consigliabile ci arrivi in bicicletta per poi smaltire gli inevitabili eccessi con la pedalata di ritorno. A febbraio, invece, si può solo sperare di non dover bruciare le calorie in eccesso spalando una di quelle calme nevicate che sanno rendere morbida tutta la bella campagna attorno.

La Canténa d’Sêrna, via Sarna 221, Faenza (RA). Info: 0546 43045, info@lacantinadisarna.it

Magico couscous

0

MAGICO-COUSCOUSTipico non solo dei Paesi desertici: il couscous, curiosamente, fa parte anche della tradizione italiana. Ne parla perfino l’Artusi nell’irrinunciabile la Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene chiamandolo cuscussù. «È un piatto d’origine araba – si legge alla ricetta n°46 – che i discendenti di Mosè e di Giacobbe hanno (…) portato in giro pel mondo (…). Ora è usato in Italia per minestra dagli israeliti, due dè quali ebbero la gentilezza di farmelo assaggiare e di farmi vedere come si manipola». Multietnico e gustoso, pietanze a base del piatto più diffuso del pianeta, insieme a pasta e riso, si trovano un po’ in tutto il Mediterraneo ed in molte zone del nostro Meridione, soprattutto della Sicilia. Non male per un cibo inventato dalle tribù Berbere del Magreb, le cui prime testimonianze scritte risalgono all’Andalusia del XIII secolo.

«Fatto sta che proprio noi ne siamo i massimi produttori – sottolinea il giornalista gastronomade chef Kumalé alias Vittorio Castellani nelle sue tante conferenze/degustazioni di cucina internazionale – grazie alla bella realtà emiliana di BIA». Il pastificio Bacchini Industrie Alimentari, infatti, ogni anno fa uscire dagli impianti di Argenta oltre 18.000 tonnellate di biondi chicchetti in confezioni che si possono trovare davvero in ogni dove.

«Pur se semplice, serve perizia nel farlo e comunque occorre materia prima d’eccellenza e tanta sensibilità. Alla fine diventa un cibo completo, un vero e proprio piatto unico. Gli ingredienti sono pochissimi: grano duro e acqua per trasformare la farina in una sorta di sabbia a grana grossa. Lo stesso nome sarebbe onomatopeico col ritmico suono dei bracciali portati dalle donne indigene mentre, appunto, girano tra le mani l’impasto».

Tuttavia questo cibo ha, culturalmente parlando, una ricchezza ben più grande del suo potere nutrizionale, che sta nell’eccezionale significato ambientale dettato dai luoghi di origine. Dovendo servire come vettovaglia nei lunghi spostamenti nel deserto, oltre ad essere facilmente conservabile perché esclusivamente essiccato, non spreca acqua come la pasta in quanto, per cucinarlo, basta l’equivalente del suo peso in liquido. Si reidrata ed insaporisce cuocendo al vapore di verdure o carni con cui può essere accompagnato, nell’enorme versatilità di pietanze in cui riesce a trovare impiego.

MONICA ANDREUCCI

LA CHIOCCIOLINA

0

LA-CHIOCCIOLINAQuando voglio darmi arie da esperto, io la chiamo at, ma in Italia è più nota come chiocciola o chiocciolina. Oggi i grafici ne abusano, è utilizzata come segno di tecnologia e modernità. Se in un logo scrivono c@ffè invece che caffè, significa che quello è un bar per nativi digitali, con il wi-fi gratis e tutto il resto…

Invece io mi ricordo che era l’unico segno incomprensibile sulla tastiera del mio primo personal computer, a metà degli anni Ottanta.

Fu un ingegnere americano di nome Ray Tomlinson, uno dei padri di Internet, a darle improvvisa e universale notorietà. Tomlinson infatti sviluppò un sistema di posta elettronica da utilizzare su Arpanet, la rete antenata del Web. Gli serviva un simbolo da inserire tra il nome del destinatario e il nome del server ospitante, e l’occhio gli cadde su quel segno lì.

Erano gli anni Settanta, ma il simbolo @ si trovava sulle tastiere delle macchine da scrivere anglosassoni già dalla fine dell’Ottocento. Si usava in ambito commerciale ed aveva il significato di at the price of, al prezzo di.

La sua storia però parte da lontano. Secondo alcuni, era una contrazione grafica del latino ad (verso) usata dai monaci medievali, molto adusi alle abbreviazioni per risparmiare inchiostro e pergamena…

Di altro parere è Giorgio Stabile, docente alla Sapienza di Roma, che nel corso di una ricerca svolta per la Treccani, ha documentato che il misterioso simbolo appare solo in testi che adottano la scrittura mercantesca, cioè la grafia commerciale usata dai mercanti italiani – in particolare fiorentini e veneziani – a partire dal tardo medioevo. Nel suo articolo L’icon@ dei mercanti sostiene che in origine il simbolo indicasse in realtà la parola anfora nel significato specifico di unità di misura, di capacità e di peso, usato già nell’antica Grecia e a Roma. Nei secoli successivi l’uso dell’@ si diffuse, nel linguaggio contabile anglosassone, come commercial at col significato di at a price of, seguito da un valore numerico indicante la quantità di moneta. E così finì sulle tastiere delle macchine da scrivere e dei computer.

Nel 2010 il dipartimento di Dipartimento di Design del MOMA di New York, diretto dalla leggendaria Paola Antonelli, ha inserito la chiocciolina nella propria collezione.

Per la Antonelli questa acquisizione apre una nuova era, che decreta la fine del possesso fisico dell’opera d’arte: la chiocciola del web appartiene a tutti, ed è un simbolo che merita di essere tutelato da uno dei più importanti musei d’arte moderna del mondo.

@ccidenti.

BILBOLBUL, FUMETTI AD ARTE

0

BILBOLBUL-FUMETTI-AD-ARTEDa giovedì 21 a domenica 24 febbraio Bologna torna ad essere capitale della graphic novel e del fumetto d’autore. Si alza il sipario sulla 7ª edizione del BilBOlbul, coinvolgente festival internazionale di fumetto, punto d’incontro/confronto tra grandi artisti e giovani talenti di quest’arte. L’intera città ne è coinvolta (tante sono le location interessate), con incontri, proiezioni, performance, concorsi, laboratori e soprattutto mostre che metteranno in relazione il fumetto e gli altri linguaggi della cultura contemporanea. Le mostre sono la punta di diamante della rassegna. Si potranno ammirare le opere (e incontrarne gli autori) di Vittorio Giardino, Jason, Henning Wagenbreth, Aisha Franz, Lorenzo Mattotti, dei Tonto Comics, dei Mamut Comics, dei Peso Alle Immagini, di Berliac, Allegra Corbo, Luca Vanzella e Luca Genovese, Andrea Zoli, Michelangelo Setola, Silvia Rocchi, Tomi Um, Nicolò Pellizzon, Sam Alden, Sharmila Banerjee, Laura Scarpa, Lorena Canottiere, Alice Milani e Michela Osimo, Marta Iorio, Tracciamenti, Manuele Fior, Emiliano Ponzi, Liliana Salone, Yocci e Fabio Bonetti, di Amenità, dei Remake, dei Lök e di Eleonora Marton. Ma grande attenzione BilBOlbul dedica anche all’infanzia, per far emergere il grande potenziale pedagogico di questo linguaggio con iniziative di divulgazione del fumetto, formazione di nuovi lettori e attività laboratoriali nelle scuole e nelle biblioteche. La Cineteca di Bologna fungerà da polo delle attività per i più piccoli. Info: bilbolbul.net

Udine contemporanea

0

UDINE-CONTEMPORANEADormire in centro: Hotel Vecchio Tram; Hotel Clocchiatti Next; zona fiera: Hotel Continental. Udine Città del Tiepolo (4ª edizione): nella seicentesca Villa Manin (Passariano, Codroipo), eccezionale mostra: Giambattista Tiepolo. Luce, forma, colore, emozione (fino al 7 aprile); I colori della seduzione. Giambattista Tiepolo e Paolo Veronese (fino all’1 aprile, Castello di Udine); Museo Diocesano e Gallerie del Tiepolo; Oratorio della Purità. Musei: Casa Cavazzin recente restauro su progetto di Gae Aulenti (Metamorfosi. Le collezioni Moroso fra design e arti visive). Gallerie: Galleria Tina Modotti (all’interno dello storico mercato del pesce, in stile liberty); Gallerie del Progetto (Palazzo Valvason Morpurgo) è una sezione della Galleria d’Arte Moderna dedicata al tema della progettualità in architettura e nel design in Friuli. Visite: Arco Bollani di Andrea Palladio; Monumento alla Resistenza (dell’architetto friulano Gino Valle); Banca Popolare di Gemona del Friuli e Casa Veritti (del veneziano Carlo Scarpa); Ville Venete in provincia di Udine: Villa Elodia (Trivignano Udinese); Villa Beria (Manzano); Castello di Villalta (Fagagna). In provincia di Pordenone: Villa Varda (Brugnera); Castello di Cordovado (Cordovado). In provincia di Gorizia: Villa Locatelli (Cormons); Villa della Torre Hohenlohe (Sagrado). Escursioni: Strada dei sapori e del Friuli collinare (turismofvg.it); Cividale per la visita al Tempietto longobardo. Librerie: Libreria Antiquaria; La Tarantola. Enograstromia: Wolf Sauris (prosciuttificio dal 1862). Locali d’autore: Caffè Contarena in stile Art Nouveau (opera dell’architetto friulano D’Aronco); per un taglio al banco: Osteria al Cappello; per cena a Udine: la Ghiacciaia; nei colli: Osteria Da Toso (Leonacco di Tricesimo) con griglia magica; Agli Amici (Godia), uno dei migliori ristoranti della regione (organizzano anche corsi di cucina). (Roberto Bosi)

*piccoli viaggi culturali consigliati da ProViaggiArchitettura